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 2015  gennaio 06 Martedì calendario

Martedì 6 Gennaio, 2015 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA Quel prestito ai tedeschi nel ’52 con la garanzia dell’Italia e di Carli La discesa del cambio vista da Francoforte MILANO In qualche modo ne fu il garante

Martedì 6 Gennaio, 2015 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA Quel prestito ai tedeschi nel ’52 con la garanzia dell’Italia e di Carli La discesa del cambio vista da Francoforte MILANO In qualche modo ne fu il garante. Nei confronti di inglesi e francesi restii, riottosi a concedere quel prestito da 120 milioni di dollari perché «i tedeschi portano il bambino in fasce e lo abbandonano sui gradini della chiesa...», sintetizzò allora con una metafora l’economista belga Hubert Ansiaux. Prestito che si convertì in ossigeno per le casse teutoniche, alle prese con il fardello delle riparazioni di guerra e chiamate a dover ripagare gli aiuti generosi del piano Marshall. La ricostruzione della Germania passò anche per un’opera di «moral suasion» dell’italiano Guido Carli. Correva l’anno 1952. All’epoca colui che sarebbe diventato governatore della Banca d’Italia per 15 anni presiedeva il comitato esecutivo dell’Unione Europea dei pagamenti, un accordo multilaterale per i pagamenti internazionali sottoscritto da 17 Paesi. Un’intesa che nei fatti realizzava la convertibilità delle monete tramite un sistema di crediti sostenuto dai fondi americani. E che fungeva da stanza di compensazione nella bilance commerciali: ogni Paese comunicava mensilmente i propri saldi bilaterali con i partner, che venivano appunto «compensati» presso la Banca dei regolamenti internazionali. Carli concedendo quel prestito alla Germania a patto di «una stretta creditizia immediata, la tenuta del cambio che non doveva svalutarsi e l’aumento delle tasse» – scrisse nella sua autobiografia a quattro mani con il giornalista Paolo Peluffo («Cinquant’anni di vita italiana», editore Laterza) – fu così il «facilitatore» degli accordi (rileva lo storico di finanza Giuseppe Di Taranto) che vennero firmati un anno dopo nella conferenza di Londra. Nei quali il Paese guidato da Konrad Adenauer ottenne la parziale cancellazione dei debiti contratti dal governo tedesco tra il 1919 e il 1945 che ammontavano complessivamente a 32 miliardi di marchi. Sedici furono cancellati con un tratto di penna, i restanti furono dilazionati a trent’anni presupponendo una possibile (ma non certa, allora) riunificazione tra l’Est e l’Ovest. Potremmo definirla una «fideiussione» a futura memoria nei confronti di un Paese che aveva imparato a conoscere nel suo anno accademico (1936-1937) all’università di Monaco di Baviera. Esperienza che gli permise di parlare la lingua di Goethe senza particolari patemi. Un’affinità linguistica e culturale che si protrasse per tutta la sua vita. Racconta il nipote Federico Carli nel libro-testimonianza sull’opera e la figura del nonno un aneddoto interessante. Anno 1978. Bruxelles. Consiglio dei presidenti delle confidustrie europee. Rivalità. Invidie. Per ruoli e poltrone. Entra l’allora cancelliere Helmut Schmidt, vede Carli, lo prende sotto braccio e con lui confabula tre quarti d’ora con gli astanti in trepidante attesa. Tutto si risolse. Una prova di riconoscenza che i tedeschi – suggeriscono diversi osservatori – replicarono anche nei negoziati che permisero la nascita della moneta unica e prima ancora nella stesura del Trattato di Maastricht. Carli si spense un anno dopo. Ma la sua credibilità consentì all’Italia di ottenere condizioni più miti dato l’alto debito pubblico. Un europeismo convinto, seppur attenuato dal prevalere delle teorie monetariste della Bundesbank inaugurate da Emminger e preponderanti anche ora. Teorie che subordinano l’economia reale (e la crescita) al rigore. Le stesse che lui non seguì con quel prestito. Fabio Savelli