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 2015  gennaio 04 Domenica calendario

PIÙ DI 200 ELEZIONI IN UN ANNO: REFERENDUM GLOBALE SULL’EUROPA

Non c’è solo la Grecia, ma è un buon esempio. Il 2015 sarà un anno ricchissimo di appuntamenti elettorali: 215 in tutto il mondo. La cosa riguarda anche e soprattutto l’Europa: uno stato su tre dell’Unione è chiamato a dire la sua, e proprio la chiave europea è una lente irrinunciabile con cui leggere tanto la motivazione quanto le conseguenze di questi appuntamenti. Le date, intanto. Sri Lanka e Croazia (presidenziali) aprono le danze l’8 e l’11 gennaio, ma il piatto forte viene servito ad Atene il 25: dopo il fallimento di tre tentativi di eleggere il capo dello Stato, la prassi prevede il ricorso al voto. Qui da tempo la democrazia è un accessorio vincolato ai programmi della troika. Come ha scandito il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, ci saranno «conseguenze spiacevoli» se la Grecia non rispetterà le condizioni dei prestiti Fmi e Bce, a prescindere da chi e come vinca. La cosa più probabile è che Syriza, il partito di sinistra radicale guidato da Alexis Tsipras, il 40enne nato 4 giorni dopo la caduta dei colonnelli, si confermi primo partito ma non abbia la maggioranza per governare. Dovrà probabilmente allearsi con altre forze per creare un esecutivo in cui l’unico vero punto del programma sarà quanto tirare la corda con i creditori. Tra i possibili alleati rispunta col nuovo partito George Papandreu, l’ex premier socialista fatto fuori - secondo il Financial Times - dall’ex presidente della Commissione Ue Barroso al vertice del G8 a Cannes nel 2011. Troppo pericolosa la sua idea di fare un referendum sull’euro: è partito per la Francia da premier, è tornato in patria dimissionario, sostituito dall’ex Bce Lucas Papademos a capo di una coalizione “montiana”. Gli occhi di mezzo mondo sono incollati ad Atene: se il nuovo governo sbattesse la porta in faccia alla Troika tutte le ipotesi (compresa un’uscita dell’euro, che però nessuno sembra volere) sono aperte. Compresa quella più pericolosa per l’Italia: se la Grecia non ripaga le tranche di prestiti, dovranno farlo gli altri. Noi compresi. A marzo si vota in Francia (per il rinnovo di qualche dipartimento: occhi puntati sulla Le Pen), Israele ed Egitto, con le ultime due elezioni che possono ridefinire il volto del Medio Oriente. Niente voto anticipato in Svezia: una grosse Koalition messa su in poche settimane a dicembre ha scongiurato elezioni già fissate dal premier per il 22 marzo, e poi annullate. Ad aprile urne aperte in Finlandia: poco più di 4 milioni di aventi diritto, ma dopo l’ascesa di partiti euroscettici anche qui conta Bruxelles. Il governo in carica infatti, tra i più forti sostenitori della linea tedesca, teme che eventuali cedimenti all’austerity scoprano il fianco a critiche. Finlandese ed ex premier è Jyrki Katainen, potente vicepresidente della commissione Juncker e, nella narrativa giornalistica, custode dell’ortodossia dei “falchi”. Ma è il 7 maggio a poter cambiare la storia dell’Europa. Di sicuro quella della Gran Bretagna, che si presenta al voto con una tripartizione che ricorda quella dell’Italia 2013. Il governo conservatore si presenta con discreti risultati economici ma fiaccato dalle ferite del referendum scozzese. I laburisti arrancano, mentre sarà da misurare la tenuta dell’Ukip, il partito anti-Europa che vuole l’uscita dal’Unione. Un primo successo l’ha già ottenuto: per cercare di farsi rieleggere, il premier Cameron ha vincolato il suo secondo mandato al referendum (previsto nel 2017) per la permanenza nell’Ue. Una buona affermazione di Nigel Farage, leader Ukip, potrebbe portare a una coalizione tra destra e sinistra per escluderlo dall’esecutivo. Prima dell’estate, altra tornata cruciale in Turchia (giugno), con Erdogan che cercherà i numeri per cambiare la costituzione e introdurre il presidenzialismo. In autunno elezioni in Portogallo (le prime dopo la “cura” della troika, col partito di centrodestra di governo che ne pagherà le conseguenze), Canada, Danimarca, Argentina, Svizzera e Polonia. Ma soprattutto Spagna. Il popolare Rajoy si gioca la possibile riconferma dopo aver dovuto applicare la ricetta Bce che ha salvato le banche. Il costo sociale (disoccupazione al 24%) ha però contribuito all’ascesa vertiginosa di Podemos, partito di sinistra radicale che in pochi mesi avrebbe superato sia il PP sia i socialisti. Grande coalizione anche qui? Il carosello 2015 si chiude con le presidenziali in Ucraina, tassello cruciale della guerra tra Occidente e Mosca. Poche settimane dopo partirà il circo delle primarie Usa in vista del post-Obama (novembre 2016). Ma sono in Europa, nello stagno della crisi, le elezioni più attese e pesanti. Con una caratteristica: sempre meno si parla di programmi, scelte politiche, direzioni da dare ai paesi su immigrazione, spesa, previdenza, demografia. Si vota coi “mercati” alle spalle, per o contro un’idea di Europa che forse in pochi saprebbero declinare, spesso percepita come distante dalla vita comune. Col rischio che la festa delle elezioni serva a questo schema, ma molto meno a chi la dovrebbe celebrare. E se in Italia cadesse il governo, sarebbe un altro esempio calzante.