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 2015  gennaio 04 Domenica calendario

ECCO CHI HA TAGLIATO LE TASSE (E FATTO SALIRE IL PIL)

«I cittadini europei pagano tra il 45 ed il 55 per cento del loro reddito allo Stato. E questo si confronta con il 35 per cento degli Stati Uniti ed il 33 per cento del Giappone. Se non risolviamo il problema del fisco la nostra crescita è destinata a rimanere debole». Così Mario Draghi nella recente intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt ha messo il dito sul male che accomuna buona parte d’Europa. Basti citare al proposito le classifiche dell’Ocse per cui la media delle tasse sui redditi ammonta nel mondo al 36% circa dei guadagni. Ebbene, tutti i 20 Paesi che registrano dati superiori stanno in Europa. Guida la classifica il Belgio, con un carico complessivo del 55%. Al sesto posto figura l’Italia con il 47,8% complessivo, di cui il 16,3% di tassa sul reddito del dipendente, il 7,2% di contributo del lavoratore sulla busta paga e il 24,3% a carico del datore di lavoro. Ben diversa la situazione nel resto del mondo. Si va dal Giappone con il 31,6% al Canada, 31,1%, Australia (27,4%), Corea del Sud (21,4%), Israele (20,7%), Messico (19,2%). In fondo alla classifica ci solo la Nuova Zelanda con il 16,9% (tutto e solo basato sul reddito dei dipendenti mentre non esiste prelievo attraverso l’azienda) e il Cile: il 7% di imposta previdenziale pagata dai lavoratori sulla busta paga e zero tasse sugli individui e sul datore di lavoro. Insomma, la forbice è davvero ampia. Ma un confronto “grezzo” tra le varie legislazioni può risultare sterile se non si tiene conto delle prestazioni richieste al welfare, una caratteristica che distingue l’Europa dal resto del mondo. Per questo, lo sforzo dei governi per ridurre la pressione fiscale senza colpire lo Stato sociale appare una quadratura del cerchio sempre più difficile. FRANCIA La pressione fiscale francese, se si tiene conto dei contributi sociali, è la più alta d’Europa: il 45% sul Pil davanti all’Italia che, dati Ocse, arriva al 42,6%, contro il 36,7 della Germania ed il 32,6% della Spagna. Anche la spesa pubblica è al top del Vecchio Continente. In questa cornice il governo ha ribaltato la politica seguita negli ultimi anni: dopo aver inflitto alle imprese inasprimenti fiscali per 30 miliardi nel biennio 2012-2013, sono state approvate detrazioni nell’ordine di 26,5 miliardi di euro per il 2014, con una nutrita serie di agevolazioni per gli investimenti in tecnologia ed energia verde. Dal primo gennaio sono entrate in vigore norme che, secondo il governo, dovrebbero consentire di ridurre la pressione fiscale sui redditi più bassi, ovvero da celibi con un reddito di soli 17 mila euro fino alle famiglie con tre figli ed un reddito di 50 mila euro. SPAGNA Dal primo gennaio è in vigore la riforma fiscale applicata lo scorso agosto che prevede un insieme di misure finalizzate soprattutto ad abbassare il carico fiscale dei contribuenti con redditi medi e bassi, semplificare e modernizzare i principali tributi per favorire il risparmio e l’investimento, incentivare la competitività delle imprese e la crescita economica. Gli scaglioni dell’Irpef sono stati ridotti da sette a cinque. L’aliquota minima è stata ridotta al 20%, quella massima passa dal 52 al 45%. Per coloro che guadagnano meno di 12 mila euro c’è l’esenzione totale. Il Governo ha ampliato di un ulteriore 10% (da 50 a 60%) la possibile riduzione d’imposta sugli introiti derivanti dalla locazione di immobili destinati ad uso abitativo. La riforma contempla anche una riduzione generale della pressione fiscale sul reddito delle società dal 30 al 25% entro il 2016, nonché, per le piccole e medie imprese (PYMES) una possibile riduzione fino al 20% e per quelle di nuova creazione l’applicazione, almeno inizialmente, di un carico fiscale pari al 15% del reddito imponibile. La ritenuta fiscale per i lavoratori autonomi passa in linea generale dal 21% al 19%. GRAN BRETAGNA In vista delle prossime elezioni David Cameron ha lanciato un piano ambizioso: il taglio di 50 miliardi di sterline di spesa pubblica. Inoltre, il tetto ai sussidi non dovrà superare il tetto dei 119 miliardi di sterline, da considerarsi invalicabile anche per il futuro. In cambio è stato alzato il tetto per i risparmi esenti da imposte, salito a 15 mila sterline mentre è stata già messa in cantiere la riforma delle pensioni. Peccato che nessuno degli 87 economisti intervistati dal Financial Times (laburisti e conservatori) ritiene possibile che il governo riesca a centrare l’obiettivo. Di conseguenza, si dà per scontato che, dopo le elezioni di maggio, il nuovo esecutivo dovrà aumentare le imposte. GERMANIA La pressione fiscale tedesca si è mantenuta stabile negli anni attorno al 40-41%. Ma a Berlino tocca però una medaglia: nel corso degli anni la sèesa della pubblica amministrazione è scesa dal 54,8% del pil di fine anni Novanta al 44% circa. Ma questo successo è andato a scapito degli investimenti e della crescita. GIAPPONE Il taglio dell’imposta sulle società, fino a portarne l’aliquota al di sotto del 30%, rimane uno dei principali obiettivi di politica fiscale ed economica del Governo giapponese, dopo le elezioni. La corporate tax, dopo i primi tagli voluti dal premier Shinzo Abe è già scesa dal 39 al 36%. Troppo poco per rilnciare gli investimenti in patria da parte delle grandi società. Nel frattempo il premier ha fatto marcia indietro sull’aumento dell’Iva dall’8 al 10%, dopo la brusca caduta dei consumi collegata al primo rialzo. Per restituire fiducia alle famiglie il governo punta ora a sgravi fiscali sul lavoro femminile e all’istitutozione di zone economiche speciali, in grado di attrarre investimenti o di incentivare particolari comparti produttivi: per esempio la tecnologia medica nel Kansai (la zona centrale di Honshu, l’isola principale del Giappone) e il settore turistico nelle isole di Okinawa. USA Meno tasse sulle imprese per sostenere l’occupazione e la crescita. Il presidente americano Barack Obama presenta la propria riforma del sistema fiscale, che prevede un taglio al 28% dall’attuale 35% delle tasse sulle aziende oltre ad una revisione delle deduzioni; grazie ai risparmi si potranno ridurre le imposte sulle società del settore al 25%, incoraggiando allo stesso tempo la ricerca e lo sviluppo e la produzione di energia pulita. Il sistema fiscale non deve incentivare lo spostamento della produzione e dei profitti all’estero, sostiene la Casa Bianca, ma deve favorire gli investimenti negli Stati Uniti. La riforma prevede una tassa minima sugli utili esteri. Infine, una stretta sulle multinazionali: per evitare "giochi contabili" verrà imposta una tassa minima sui profitti realizzati all’estero. Barack Obama non dispera di condurre in porto la riforma anche con la maggioranza repubblicana: «Il Congresso è serio sulle questioni fiscali, si potrà arrivare a risultati», ha detto Obama, spiegando che «il diavolo sta nei dettagli» e si dovrà fare in modo che sul fronte fiscale «ci sia maggiore semplicità ed equità». Ci sono aziende che «pagano un’aliquota del 35%, il massimo possibile, e altre che versano quasi zero, perché hanno commercialisti migliori».