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 2015  gennaio 04 Domenica calendario

AMAZON CONTRO TUTTI LA GUERRA DEI

VENT’ANNI –
In luglio cadranno i vent’anni dell’inizio della prima guerra mondiale digitale. Una guerra che comincia con un clic e un titolo: Fluid Concepts and Creative Analogies di Douglas Hofstader. È quello il primo libro ordinato su Amazon, l’azienda che Jeff Bezos ha fondato a Seattle nel 1994. Sembrava solo una bizzarra idea — un sito dove comprare libri — e invece fu l’inizio di una rivoluzione che ha sconvolto per sempre il mercato editoriale. Anche perché, e questo si capisce subito, non si tratta semplicemente di vendere libri (a basso prezzo) ma soprattutto di raccogliere dati. È sulla base di quel patrimonio — i dati di chi si collega al sito — che Amazon poi venderà anche (e soprattutto) altro: tv, frigoriferi, droni, spazzolini da denti, pentole.
Ora si calcola che il business dei libri valga non più del 7 per cento del bilancio dell’azienda, eppure il nome di Amazon rimane legato indissolubilmente a quelli. È con i libri che l’azienda di Bezos entra nel dibattito culturale, scatena discussioni, reazioni, confusioni, risentimenti ed è per questo — ha scritto sul «New Yorker» George Packer — che continua a coltivare un mercato che ormai, nel suo bilancio, è diventato marginale. Ad Amazon infatti si può attribuire, senza paura di essere smentiti, la corresponsabilità di tutto ciò che è successo nella filiera editoriale negli ultimi dieci anni. Declinano le librerie nella loro forma tradizionale, cambiano i profitti degli editori, gli autori si autopubblicano: Amazon è sempre al centro di ogni battaglia. Il suo obiettivo è dimostrare che tra libro e lettore non c’è più bisogno di intermediazione. È un fronte continuo, al di là del quale si alternano (e spesso si alleano) gli avversari. Per alcuni è il nemico pubblico numero uno, per altri il paladino dei diritti dei lettori. «Amazon è davvero il diavolo?» si chiedeva «Publisher Weekly» in giugno, nel pieno della battaglia con Hachette. No, naturalmente. Non lo è.
Lettori e consumatori
Amazon ha sempre condotto le sue battaglie in nome dei lettori, anzi dei consumatori. Almeno fino alla disputa con Hachette, l’ultima delle grandi querelle conclusa a fine novembre, che segna la prima volta in cui a qualcuno è venuto il dubbio che il modo di concludere affari dell’azienda di Seattle non fosse dalla parte dei lettori. Amazon avrebbe voluto vendere i titoli elettronici di Hachette (che costano tra 12,99 e 19,99 dollari) a un prezzo unico di 9,99 con una nuova ripartizione dei diritti, a favore della libreria online . Per fare pressione sul gruppo editoriale durante la negoziazione, Amazon mette in atto tattiche di disturbo sui volumi pubblicati da Hachette: consegna ritardata, cancellazione dei titoli dalle liste dei volumi consigliati, prevendite impossibili. Pratica che a molti è sembrata una violazione della filosofia del gruppo di Seattle: il lettore prima di tutto.
A novembre la battaglia si conclude, l’accordo (del quale nessuno dei due colossi ha fornito i dettagli) si è siglato: l’editore decide il prezzo degli ebook ma il rivenditore ha un margine per gli sconti. Il caso, però, ha mobilitato gli scrittori (non solo quelli pubblicati da Hachette): in 900 (tra cui Douglas Preston, Paul Auster, Donna Tartt, Stephen King), riuniti sotto l’etichetta Authors United, firmano un manifesto durissimo contro il distributore. «È stata la prima volta da quando sono in questo business — ha commentato l’agente Andrew Wylie — che gli interessi degli scrittori e quelli degli editori si sono trovati in perfetto allineamento».
La guerra con le librerie
Le librerie sono state le prime vittime del fenomeno Amazon, ma bisogna arrivare al 2010 per rendersene veramente conto. A quel momento l’azienda vende più libri cartacei di tutti, più ebook di tutti ed è il sito di riferimento per chi cerca consigli, suggerimenti, informazioni. È nel 2010 che, dopo quarant’anni di attività, per Borders, la catena che con Barnes & Noble controllava circa un quarto del mercato librario americano, inizia il declino (l’anno dopo chiuderà). Non è solo la fine di un marchio; ma di un modello. Ricorda Keith Gessen in un articolo sull’edizione Usa di «Vanity Fair» che quando Amazon nasce le grandi catene hanno un potere enorme nel determinare il successo di un libro e riescono a dettare le condizioni agli editori. E infatti tutti, nell’ambiente editoriale, conoscono Sessalee. Il cognome, Hensley, è superfluo: lei è la responsabile acquisti della fiction per Barnes & Noble e, nei primi anni Duemila, può decretare il successo o il flop di un titolo, semplicemente decidendo la misura dell’ordine. Con l’avvento di Amazon tutto questo cambia. L’America d’altronde è il posto adatto per saggiare le enormi potenzialità della libreria online. I grandi negozi sono nelle grandi città, ma ovunque tu sia, la carta di credito ti porta in pochi minuti nella più grande libreria del mondo: Amazon. Oggi i due terzi dei libri venduti online in America passano da lì, e la stessa proporzione vale nel mercato digitale.
Kindle: la seconda rivoluzione
Nel 2007 Amazon lancia il Kindle. È la seconda rivoluzione: l’ebook. Non è il primo lettore che arriva sul mercato, ma è con il Kindle che le vendite dei libri digitali crescono in maniera esponenziale. Ed è con il Kindle che scaturisce il conflitto con le case editrici che fino a quel momento avevano guardato con estremo favore ad Amazon. Perché, per lanciare l’ereader, Amazon fa dumping sugli ebook che vende a prezzo di fabbrica se non addirittura in perdita. Inizialmente i prezzi degli editori sulle versioni digitali sono di qualche dollaro inferiori rispetto all’edizione cartacea, ad Amazon le forniscono all’ingrosso a circa il 50%. Così la libreria di Seattle acquista libri a un prezzo medio di circa 12 dollari e li vende a 9,99 e anche a meno. E da lì non si schioda. Non lo fa quando gli editori alzano i prezzi dell’ingrosso per costringere Amazon ad alzare i prezzi di vendita né quando iniziano a posticipare la pubblicazione della versione digitale dei titoli.
È allora che entra in campo Apple. Quando, nell’aprile 2010, l’azienda di Cupertino lancia iBooks cinque dei sei grossi gruppi editoriali (Hachette, HarperCollins, MacMillan, Penguin e Simon&Schuster; resta fuori Random House) si accordano e offrono a Apple una commissione del 30%, tenendo per sé la possibilità di fissare il prezzo di vendita. L’idea degli editori è, poi, di imporre le nuove condizioni anche ad Amazon. Non va così. Anche perché quel prezzo fisso degli ebook di (quasi) tutti i grandi editori (tra i 12,99 e i 14,99 dollari), è il punto di partenza di una class action intentata dall’avvocato Steve Berman per conto dei consumatori. Amazon procede con un esposto. Nell’aprile 2012 il Dipartimento di giustizia americano apre un procedimento per violazione delle leggi antitrust.
I primi a cedere sono gli editori che patteggiano ed escono dalla causa pagando cifre stratosferiche per un mercato che cerca disperatamente di mantenere dei margini decenti (Macmillan sborsa 20 milioni di dollari, Penguin addirittura 75). Apple viene condannata sulla base di email, telefonate, pranzi e cene con gli editori: la prova dell’accordo. La casa di Cupertino fa appello ma in attesa della sentenza in estate conclude un accordo impegnandosi a pagare 450 milioni di danni (la richiesta era di 840) nel caso in cui il nuovo verdetto confermi la condanna. Ciò che la sentenza non dice è che effettivamente fino all’accordo dei Big Five con Apple, Amazon ha un monopolio sugli ebook e che dopo quell’accordo la fetta di Amazon scende al 65% del mercato lasciando il resto ad Apple e a Barnes & Noble, che vende il lettore digitale Nook. La decisione della corte però guarda alla questione dell’antitrust dal punto di vista del consumatore, non di quello del produttore. Insomma, l’importante è che il prezzo sia più basso possibile, anche a spese della concorrenza.
Agenti e diritti
Il rapporto di Amazon con gli editori si era già surriscaldato nel 2010, quando l’azienda di Bezos si era alleata con il più potente agente letterario americano, Andrew Wylie, detto lo Squalo. Il quale fonda una casa editrice digitale, la Odyssey Edition. Comincia con 20 titoli, tra cui Il lamento di Portnoy di Philip Roth, Finzioni di Jorge Luis Borges, Il nudo e il morto di Norman Mailer, pubblicati direttamente (e in esclusiva) da Amazon nella versione digitale. L’agente letterario da tempo minacciava di tagliare fuori i grandi editori colpevoli di offrire agli autori margini troppo esigui (tra il 15 e il 25%) per i diritti degli ebook. Gli editori, Random House in testa, reagiscono contestando all’agente il diritto a vendere legalmente i titoli da loro pubblicati mentre Wylie ne fa una questione di «democrazia letteraria» affermando che è importante portare i classici della letteratura nel mercato degli ebook. Wylie è costretto a fare marcia indietro, ma sarà sempre parte della battaglia, anche sul fronte opposto. Così, dopo essere sceso a patti con il diavolo Amazon, l’agente ne diventa il più accanito avversario, fino al caso Hachette in cui gioca un ruolo chiave, organizzando di fatto quell’associazione di 900 scrittori che firma l’appello contro Amazon.
Visto, si pubblichi
Dimostrato che si può fare a meno degli editori, il passo successivo, e quasi naturale, per il colosso di Seattle, è dimostrare di poter fare l’editore. Fa le prove nel 2010 con AmazonCrossing (con cui traduce in inglese e pubblica libri poco conosciuti di letterature straniere) e AmazonEncore (che ripropone volumi autopubblicati), poi nell’estate 2011 arriva Amazon Publishing. Prima recluta Laurence Kirshbaum, ex numero uno del Time Warner Book Group, che scippa a Random House il guru del fai-da-te Timothy Ferries (ma il suo libro 4 ore alla settimana: ricchi e felici lavorando dieci volte meno , acquistato all’asta per un milione di dollari non darà i risultati sperati e nemmeno le memorie dell’attrice Penny Marshall, quella di Laverne & Shirley ). Segue boicottaggio delle librerie Barnes & Noble, allarmi e critiche, ma nel corso degli anni le collane di Amazon editore si moltiplicano, occupando tutti i generi dal mistery al romance al fantasy , fino alla piattaforma di self publishing .
Kirshbaum se ne va a gennaio 2014 sostituito da Daphne Durham, nata e cresciuta professionalmente ad Amazon senza che Amazon abbia scovato bestseller e con i grandi nomi della letteratura rimasti fedeli ai loro vecchi editori. Amazon è riuscita a conquistarsi un ruolo vero solo nell’editoria fai da te. Ma anche qui cominciano ad esserci problemi. Il lancio di Kindle Unlimited che, sul modello di Spotify per la musica e Netflix per i video, permette — con 9,99 dollari al mese — di leggere quello che si vuole scegliendo tra 700 mila titoli (sugli oltre tre milioni del catalogo), ha suscitato il disappunto di molti autori di self publishing che sostengono di aver visto diminuire bruscamente i loro guadagni per l’aumento della concorrenza.
Ma Amazon è un’officina sempre aperta, questa non sarà l’ultima battaglia.