Andrea Nicastro, Corriere della Sera 4/1/2015, 4 gennaio 2015
«DAI TALEBANI SOLO PROPAGANDA MA IN AFGHANISTAN SONO FINITI»
«I talebani non possono vincere. La loro leadership è frammentata, non sono stati in grado di disturbare le elezioni e dovunque esercito e polizia afghana riescono a lavorare assieme non ci sono talebani». Secondo il comandante in capo delle forze Nato in Afghanistan, generale John Campbell, gli uomini del Mullah Omar eccellono in una sola cosa: la propaganda. «Attaccano un paio di distretti, dicono di aver decapitato decine di governativi e i media riferiscono che stanno vincendo. Poi noi controlliamo e non è vero niente. L’unica cosa che possono fare è entrare in un processo politico».
Generale, da 13 anni ogni comandante che è stato al suo posto ha detto più o meno ciò che sta dicendo lei, che ancora molto resta da fare, ma la vittoria è sicura. Di fatto però ancora oggi è pericoloso viaggiare in Afghanistan, aprire cantieri, far circolare le merci. Anzi, a Kabul si respira un clima da stato d’assedio che ricorda i momenti peggiori. E tutto a causa della guerriglia talebana.
«Dice che ho le lenti rosa? Non nascondo nulla, i limiti e le difficoltà ci sono, le tocchiamo con mano tutti giorni».
Allora ce ne parli.
«La corruzione. Lo stesso presidente afghano Ashraf Ghani ne è consapevole. È il problema numero uno. Non solo nell’esercito, ma anche nell’amministrazione pubblica. Parlo due volte alla settimana con il presidente e con il premier Abdullah Abdullah e vedo una determinazione nuova nell’affrontare la questione che con la presidenza Karzai non percepivo».
Ecco un altro problema: la divisione etnica della società. «Qualcuno pensava che, viste le frizioni elettorali, anche le Forze armate si sarebbero fratturate lungo linee etniche, ma non è successo. C’è una vena nazionalistica nelle Forze armate che dice “non siamo pashtun, tagichi o uzbeki, ma afghani”. I vertici militari sono, a ragione, orgogliosi di ciò».
L’oppio e la guerra restano le principali voci del Pil afghano. Sono basi economiche accettabili?
«L’economia non si sostiene ancora da sola, è vero, e ciò non cambierà presto. I Paesi donatori dovranno continuare ad aiutare. Non solo per i due anni previsti da questa missione, ma per molti a seguire».
Altro problema: l’educazione. Avete regalato 20 aerei militari da trasporto e la maggior parte è già stata rottamata e venduta a peso per mancanza di manutenzione. Non è utopistico voler costruire un esercito moderno con questo materiale umano?
«Il presidente Ghani ha detto che la nostra migliore eredità sarà nelle procedure che sapremo insegnare e lasciare funzionanti. Ora l’esercito afghano ha i nostri mitra M16, visori notturni, cannoni, mezzi blindati, hanno un equipaggiamento migliore e più potente dei talebani. Ci sono problemi, ma noi continueremo a costruire i loro magazzini così come l’aviazione e l’intelligence. Con il passaggio dalla missione Isaf a Resolute Support, ormai non addestriamo più i fanti, ma gli ufficiali, gli Stati Maggiori. E questo perché non siamo più noi americani o italiani a pattugliare le strade, ma lo sanno fare gli stessi afghani».
Obama sembra aver cambiato idea all’ultimo momento. Proprio mentre finiva la missione di combattimento americana in Afghanistan ha detto che i bombardamenti e le operazioni delle forze speciali andranno avanti. Forse è stato lei a spiegargli che gli afghani non sono pronti?
«C’è stata molta confusione su quelle dichiarazioni. Quello che il presidente mi ha detto è che ho un poco più di flessibilità nell’usare le risorse che già era previsto avessi a disposizione. Obama è stato chiaro, non ci saranno combat operation dopo il 1° gennaio, ma continueremo a proteggere le nostre forze e coprire le lacune afghane di cui siamo consapevoli».
Cioè le ha chiesto di fare con 12 mila uomini quello che si faceva prima con 140 mila?
«Il supporto sarà solo per interventi strategici in cui sarà in gioco il futuro stesso dell’Afghanistan».
Basterà far alzare i caccia quando una colonna talebana attaccherà Kabul?
«I talebani possono inviare un paio di suicidi con giubbetti esplosivi, mettere un ordigno magnetico sotto un pullmino delle reclute, ma non possono controllare aree. Attaccano soft target , obbiettivi facili. In realtà, credo che siano piuttosto scoraggiati, perché Kabul ha firmato a settembre il “Sofa agreement” con gli Usa e la Nato. Sanno che continueremo a restare e perciò stanno pensando a qualcosa per far credere di essere ancora rilevanti, “ehi, siamo ancora qui”».
Lei continua a viaggiare tra Kabul e Islamabad. Cerca in Pakistan la soluzione?
«Per anni i talebani sono entrati in Afghanistan, hanno colpito e sono scappati in Pakistan senza che noi li si potesse inseguire. L’attentato alla scuola militare di Peshawar, con tanti bambini uccisi, potrebbe diventare per il Pakistan ciò che per noi è stato l’11 settembre. La collaborazione anti talebana di Kabul e Islamabad è un interesse reciproco. Ora potrebbero averlo capito meglio entrambi».