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 2015  gennaio 03 Sabato calendario

LA GRANDE FUGA

Inutili tanti discorsi: nel 2014 l’emorragia di risorse che ha colpito l’economia reale italiana è stata ancora più grave rispetto al 2013. Penalizzata da oltre trent’anni dal servizio di un debito pubblico straordinariamente elevato, è ormai priva anche del sostegno del credito bancario. Il nuovo risparmio si è finanziarizzato, allocandosi praticamente tutto all’estero. Di reinvestire nell’economia reale non se ne parla.
Bastano pochi numeri. I dati relativi al Canale Tesoro dimostrano che gli interessi sul debito pubblico determinano un onere insostenibile per il sistema economico: nel 2014 è stato di 76,7 miliardi di euro (pari al 4,7% del pil) che hanno assorbito il 17,7% delle entrate tributarie. Senza contare che la spesa per interessi è più che doppia rispetto agli investimenti fissi lordi, scesi ad appena 36 miliardi di euro. Il saldo primario della Pa, che consiste nella differenza tra le entrate e le spese al netto degli interessi, è stato di 27,4 miliardi di euro (1,7% del pil): rappresenta la somma prelevata con la tassazione che non viene reimmessa nel circuito economico attraverso la spesa. Con i Quantitative easing negli Usa, in Gran Bretagna e in Giappone, le rispettive Banche centrali hanno acquistato titoli pubblici di cui retrocedono al bilancio gli interessi percepiti: al di là della liquidità immessa nell’economia reale, è questo il beneficio maggiormente rilevante per i bilanci pubblici. Al drenaggio derivante dal saldo primario, occorre poi aggiungere le risorse destinate al sostegno finanziario dei Paesi in crisi.
I dati relativi al Canale Bancario e Finanziario dimostrano che non tutti i depositi bancari delle famiglie e delle imprese ritornano all’economia reale in termini di credito: nel 2014 (dati a novembre), la differenza tra depositi da clientela interna ed impieghi a favore di famiglie ed imprese è stato di ben 155 miliardi. La raccolta bancaria dalla clientela residente si è ridotta (-21,1 miliardi) e anche la raccolta estera è risultata in calo (-17,8 miliardi), ma gli impieghi bancari a favore del settore pubblico si sono mantenuti quasi stabili (-3 miliardi); nel complesso, ne è derivata una ulteriore riduzione del credito al settore privato (-39,8 miliardi). Tra i depositi della clientela domestica e i prestiti al settore privato, il gap si è allargato ancora: -155 miliardi di euro nel 2014, rispetto ai -138,1 miliardi del 2013. Meglio non parlare della qualità della raccolta bancaria, sempre più liquida: un disincentivo ulteriore rispetto a impieghi a medio-lungo termine.
Ben diverso è stato l’andamento dei fondi che raccolgono e gestiscono il risparmio: la loro raccolta netta è stata di 119,7 miliardi (7,3% del pil). Sugli impieghi, è impervio stimarne la destinazione: si può comunque rilevare che in questo stesso periodo è aumentata di 17,9 miliardi la detenzione in titoli di Stato italiani da parte delle Altre istituzioni finanziarie residenti e che si sono incrementate di 100,6 miliardi le Attività all’estero.
Attraverso il Canale Estero, a questo punto, è possibile rilevare quante risorse sono affluite all’economia dall’estero, per merito del saldo attivo degli scambi commerciali, e quante sono state impiegate per acquisizioni finanziarie degli italiani all’estero e degli stranieri in Italia. Il saldo netto delle partite correnti a fine ottobre, considerando il valore cumulato nei 12 mesi precedenti, è stato attivo per 27,3 miliardi di euro, con un miglioramento di 13,8 miliardi rispetto all’ottobre 2013, quando nei 12 mesi precedenti il saldo era stato positivo per 13,5 miliardi. Il debito estero lordo, che rappresenta le passività non azionarie verso l’estero, è arrivato a 1.943,8 miliardi di euro, in aumento di 32,8 miliardi rispetto alla fine del 2013. Mentre si è ridotto significativamente il debito della Banca d’Italia verso la Bce (-73,6 miliardi), il debito pubblico italiano in mani straniere è tornato ad aumentare (+111,4 miliardi): a ottobre è arrivato a 804,2 miliardi rispetto ai 692,8 di fine 2013. Si è riportato così, in valori assoluti, ai livelli di fine 2010, quando risultavano detenuti da non residenti 802 miliardi di debito pubblico. Gli italiani, nel 2014, hanno investito sempre di più oltre frontiera: l’aumento delle attività all’estero è stato, come già rilevato, di 100,6 miliardi di euro. La posizione italiana netta verso l’estero è conseguentemente migliorata di 4 miliardi. L’economia italiana si è finanziarizzata, investendo prevalentemente all’estero.
In totale, nel 2014 non sono stati reimpiegati nell’economia reale ben 205,7 miliardi di euro, una somma pari al 12,6% del pil. Il trend è peggiorato rispetto al 2013, quando il mancato reimpiego era stato di 136,2 miliardi di euro (8,4% del pil). Questa somma sale, e di parecchio, se si computa l’intera spesa per interessi sul debito pubblico che viene pagata annualmente dai contribuenti e non solo l’avanzo primario.
Quattro considerazioni e una conclusione.
1) Canale Tesoro. In Italia, la finanza pubblica ha continuato a drenare cifre imponenti dalla economia reale per il pagamento degli interessi sul debito pubblico, anche se nel corso del 2014 si è registrata una tregua prolungata sui mercati finanziari che ha consentito di tenere sotto controllo la dinamica degli interessi. Il debito pubblico continua a crescere però a una velocità superiore a quella del pil nominale, tendendo per questa via a percorrere una dinamica difficile da gestire.
2) Canale Bancario e Finanziario. Il sistema bancario ha continuato a perdere appeal presso i risparmiatori, con conseguenze negative sul finanziamento dell’economia reale: gli impieghi nel settore privato a fine 2014 sono stati inferiori di 138,7 miliardi (-8,5% del pil) rispetto alla fine del 2011. Da allora, invece, la raccolta dalla clientela residente è diminuita di appena 25,9 miliardi (-1,6% del pil): sono stati gli acquisti di titoli di Stato da parte delle nostre banche ad avere spiazzato il credito all’economia reale. A partire dall’estate del 2011, infatti, i nostri istituti sono dovuti intervenire massicciamente per colmare il gap determinato dalle vendite dall’estero, alimentate dalla paura del default e della dissoluzione dell’euro. Se le Ltro decise dalla Bce sono state un rimedio decisivo, per quanto temporaneo e parziale, al fine di assicurare la tenuta del debito pubblico italiano, è stata l’economia reale a pagare il prezzo più pesante di una gestione miope e assurdamente punitiva della crisi dell’Eurozona. Infine, a ulteriore esito della lunghissima recessione, le banche italiane sono alle prese con una continua crescita delle sofferenze. La dinamica della raccolta da parte dei fondi conferma la tendenza alla debancarizzazione del risparmio e alla finanziarizzazione degli impieghi: l’accesso delle piccole e medie imprese alle risorse gestite dai fondi è ancora limitatissimo. Si è chiuso il tradizionale canale del finanziamento bancario delle imprese prima di avere messo a regime quello nuovo.
3) Canale Estero. Il settore produttivo votato all’export ha registrato una eccellente performance, con un attivo della componente commerciale ampiamente superiore a tre punti percentuali di pil. In Europa, solo la Germania sa fare meglio. Aumentano sia gli investimenti dall’estero, soprattutto quelli finalizzati all’acquisto del debito pubblico, sia gli investimenti finanziari italiani all’estero: si bilanciano, compensandosi.
4) Conclusione. Nonostante la pressione fiscale, le difficoltà burocratiche e le proclamate rigidità del mercato del lavoro, l’attivo commerciale sull’estero dimostra che non esiste un problema di competitività produttiva, bensì di organizzazione pubblica e di allocazione delle risorse finanziarie. Se l’economia reale non cresce è per colpa di due inefficienze speculari, quella dell’amministrazione pubblica e quella della intermediazione finanziaria. La prima è lenta, aggrovigliata, incapace di modernizzarsi, così come la seconda non è saputa andare oltre i prestiti commerciali e i mutui immobiliari. La riduzione del costo del lavoro e la flessibilità in uscita sono le àncore di salvezza per coloro che vogliono lo status quo: sono le uniche riforme strutturali che garantiscono la continuità.
Produrre è faticoso, intraprendere è rischioso, lavorare stanca: non sono novità. Per arricchirsi, c’è la finanza. Agli stranieri interessa soprattutto il debito pubblico italiano: più che l’industria, il turismo o il Made in Italy, il vero ruolo dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro sembra quello di assicurare una generosa rendita finanziaria. Il risparmio italiano è sempre più appetibile e ha altrettanto appetito: finita la lunga epoca in cui è stato destinato prevalentemente all’investimento immobiliare, ora non casualmente penalizzato da una micidiale tassazione, è libero e disponibile per qualsiasi avventura, in segmenti del mercato finanziario dove il bail-in, la partecipazione degli investitori al rischio senza alcuna protezione, è la regola del gioco.
Non è più solo il saldo primario del bilancio pubblico a drenare risorse all’economia reale, come è successo a partire dagli anni 80. Nel 2014 si è accelerata la tendenza alla debancarizzazione del risparmio e alla finanziarizzazione degli impieghi, allocati prevalentemente all’estero. Se il pil italiano continua a calare, una ragione c’è.
Guido Salerno Aletta, MilanoFinanza 3/1/2015