Gabriele Romagnoli, la Repubblica 4/1/2015, 4 gennaio 2015
NAZIONALE - 04 gennaio 2015 CERCA 52/53 di 64 R2 CULT-Cultura La capitale del Libano è una città dove puoi essere stato molto prima di andarci Quel posto era stato ridotto a uno scheletro durante la “battaglia degli alberghi”, ai tempi della guerra civile, quarant’anni fa MONDOVISIONI DI GABRIELE ROMAGNOLI L’Holiday Inn di Beirut un luogo della verità IN PRINCIPIO era un sogno
NAZIONALE - 04 gennaio 2015 CERCA 52/53 di 64 R2 CULT-Cultura La capitale del Libano è una città dove puoi essere stato molto prima di andarci Quel posto era stato ridotto a uno scheletro durante la “battaglia degli alberghi”, ai tempi della guerra civile, quarant’anni fa MONDOVISIONI DI GABRIELE ROMAGNOLI L’Holiday Inn di Beirut un luogo della verità IN PRINCIPIO era un sogno. Un sogno ricorrente: camminavo per le strade deserte di una città sconosciuta, scorgevo sotto di me, in lontananza, il mare, ma continuavo a salire, richiamato da un presentimento. Finché vedevo un palazzo in fiamme: lingue di fuoco uscivano dai piani bassi e salivano. Anche l’edificio mi era ignoto, una struttura alta e abbandonata: cavità, sfregi, ira del tempo e degli uomini. Una terrazza fantasma aveva pietà del panorama e da lì giungeva il grido, quello di una bambina intrappolata. Il fuoco prendeva ascensori guasti per arrivare fino a lei. Nessuno rispondeva al suo urlo, c’eravamo soltanto il vuoto e io, incapace di decidermi: la trappola si annunciava mortale, ma il dovere di affrontarla inevitabile. Il grido saliva e mi svegliavo. Quando il sogno tornava, ero qualche passo più vicino al palazzo in fiamme, qualche istante più prossimo alla scelta. “Deadline”, pensavo, continuando a riaprire gli occhi. Poi, un giorno di mite inverno, in una città dove mi ero trasferito da poco, mi sono lasciato davvero un mare alle spalle, ho preso una strada che saliva e ho visto l’edificio, lo stesso del sogno: lo scheletro di un albergo, quel che restava dell’Holiday Inn di Beirut. L’avevano ridotto così durante la “battaglia degli alberghi”, ai tempi della guerra civile. Era inverno anche allora. Oggi, sono trascorsi quarant’anni. Lo occuparono i falangisti cristiani. Dalla terrazza fantasma sparavano un cecchino, arabsniper: a uomini e donne, a una bambina. I combattenti musulmani impiegarono tre mesi a riconquistarlo. Il costo fu elevato, ma non poteva non essere pagato. Beirut è una città dove puoi essere stato molto prima di andarci, senza neppure sognarla. Molti anni prima di quel trasloco ero in un bar di New York, a Soho. Si chiamava Milady, pareva fuori posto, dicevano ci venisse, talvolta, Bruce Springsteen per giocare a biliardo. Bevevo al bancone, da solo. Due donne mature e vaporose che gestivano il negozio vintage dall’altra parte della strada attaccarono discorso, come fossi un turista che aveva sbagliato percorso. Se guardi nel bicchiere finisce che racconti due o tre cose di te, quelle essenziali. Una delle donne disse all’altra: «Hey, the kid has been to Beirut!», il ragazzino è stato a Beirut. Sei a Beirut quando la casa in cui abitavi diventa un luogo della memoria, potrai ricostruirla sdraiato altrove, tutte le volte che vorrai, ma sarà soltanto architettura del ricordo e della fantasia, non ci dormirai mai più. Sei a Beirut quando passi sotto la traiettoria dei colpi, ti accorgi di essere rimasto vivo, il che ti sembra inutile, ma è se ti fermassi che lo diventerebbe. Sei a Beirut quando devi scegliere da che parte stare. È lì che lo capisci: la neutralità è un mito, lo alimentano i professionisti della noia e i cultori dell’indifferenza. Al cinismo va bene tutto, di qua o di là poco cambia. Invece sai che non è e non sarà così: anche quando gli schieramenti si mischieranno, gli amici ti venderanno e tutto ti sembrerà accettabile, purché ci sia un finale. Anche allora, per salvarti dovrai aver fatto una scelta. Dovrai essere diventato una scelta. La prima è tra la vita e la morte. Non è un caso che il giovane Osama bin Laden, prima di dirci «Noi amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita», abbia passato la gioventù a Beirut. Neppure che ci sia passato quel tristo criminale fascista a nome Massimo Carminati che proclamava: «A me non mi frega un cazzo della vita». Loro sono andati da quella parte, oltre la linea. Ce n’è sempre una a Beirut, un confine immaginario tra una scelta e l’altra, comunque una deadline, una scadenza urgente, terminale: decidi adesso, prima che lo faccia il fuoco per te. Molto tempo dopo ci sono tornato con un amico (prima che mi tradisse) e abbiamo sostato davanti allo scheletro dell’Holiday Inn. Anche lui come me era passato per quella città e aveva fatto le sue scelte. Gli raccontai il sogno, svanito da quando ne avevo trovato lo sfondo. Ma perché proprio qui, perché l’Holiday Inn, perché Beirut? Disse: «Perché è uno di quei luoghi della verità, lo è stato infinite volte e ancora lo sarà. Tutti noi ci raccontiamo una storia su noi stessi e ci assegniamo un ruolo decente, talvolta eroico. Per scoprire chi siamo davvero occorre il fuoco, occorre Beirut. Prima, la pietà, la crudeltà, la vigliaccheria, l’altruismo, non sono che ipotesi. È soltanto quando ci passi che capisci chi sei». La notte in cui me ne sono andato definitivamente era di nuovo inverno, ma pioveva. Il vento piegava le palme lungo la corniche. Il taxi sfiancato arrancava verso l’aeroporto. Nel retrovisore, una città di fantasmi, ma come la casa di un vecchio film con Nicole Kidman, dove i vivi non sono quelli che credono di esserlo. Scelta la vita, con inestinguibile amore, resta da capire che non è la propria quella che conta. © RIPRODUZIONE RISERVATA Sei lì quando la casa che abitavi diventa memoria, architettura del ricordo e della fantasia Sei lì quando devi decidere da che parte stare. Lì capisci che la neutralità è un mito DISEGNO DI PIERLUIGI LONGO