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 2015  gennaio 04 Domenica calendario

NAZIONALE - 04 gennaio 2015 CERCA 38/39 di 64 R2 Spettacoli L’incontro. Combattenti Figlia di un pittore, nata a Berlino, ha vissuto in Francia e a lungo anche in Italia

NAZIONALE - 04 gennaio 2015 CERCA 38/39 di 64 R2 Spettacoli L’incontro. Combattenti Figlia di un pittore, nata a Berlino, ha vissuto in Francia e a lungo anche in Italia. Ha iniziato come attrice ma presto è diventata una regista dura e coraggiosa. “Ingmar Bergman mi disse che voleva smettere di girare, ma vedendo il mio Anni di piombo aveva ritrovato la spinta per continuare”. Conserva ancora un legame forte con il nostro paese, anche se i suoi ultimi lavori hanno avuto maggior fortuna altrove: “La forza economica della Germania non suscita simpatia, ma forse non sono i tedeschi a essere meno incisivi in campo culturale: sono gli altri che hanno meno voglia di ascoltarci” Margarethe von Trotta ELENA STANCANELLI FIRENZE MARGARETHE VON TROTTA HA UN LEGAME forte col nostro paese, parla italiano molto bene, ha vissuto qui a lungo. «Ero a Roma anche il giorno della caduta del Muro, tanto per dire». È una donna bella e minuta. L’ho incontrata a Firenze, al Festival internazionale di cinema delle donne. In quell’occasione si è visto il suo ultimo film, Hannah Arendt, quasi inedito in Italia. «Una strana scelta della distribuzione», mi spiega. «È uscito soltanto per un giorno, il Giorno della memoria, l’anno scorso. Meglio così», ride, «ci hanno creduto così poco che per fortuna neanche l’hanno doppiato... almeno quello!». Ha ragione, sarebbe stata una barbarie. Barbara Sukowa, che interpreta la filosofa con superba intelligenza, parla in un americano molto sporcato dal tedesco. Così come la cerchia degli intellettuali suoi amici passa dall’una all’altra lingua, a seconda dell’intensità della conversazione. Hannah Arendt ha avuto successo ovunque, dal Festival di Toronto, dove è stato presentato, a tutti i paesi in cui è stato distribuito. Tranne che da noi, appunto. Figlia di un pittore, Alfred Roloff, la von Trotta è nata a Berlino durante la guerra, settantadue anni fa, e dopo aver studiato arte, germanistica e lingue romanze, si è trasferita a Parigi negli anni Sessanta. Ha iniziato a lavorare nel cinema come attrice, per Fassbinder e per Volker Schlöndorff, che poi sposerà. E insieme al quale dirigerà il suo primo film, Il caso Katharina Blum, tratto da un romanzo di Heinrich Böll. Nel 1981, quando esce Anni di piombo — il suo film che racconta la storia delle due sorelle, Christiane e Gudrun Ensslin, la terrorista morta nel 1977 nel carcere di Stammheim insieme agli altri componenti della banda Baader-Meinhof — diventa una regista di culto. «Ero in giuria a un festival », racconta. «Il presidente era Ingmar Bergman. Lui mi aveva voluto, insieme a Jeanne Moreau e Suso Cecchi d’Amico. Mi prese da parte e mi disse che qualche tempo prima aveva pensato di lasciare il cinema. Era stanco, demotivato, non gli piaceva più niente. Poi aveva visto Anni di piombo . Non solo lo aveva amato moltissimo, ma gli aveva dato il coraggio di continuare, l’entusiasmo per riprendere a lavorare. Quasi non ci credevo, lo ascoltavo e pensavo lo dicesse per lusingarmi. Considero Bergman il mio maestro, da sempre, immenso, inarrivabile. Due anni più tardi, gli chiesero per il festival di Göteborg quali fossero i suoi dieci film preferiti. Tra Fellini e Kurosawa mise, di nuovo, Anni di piombo ». Protagonista del film era Barbara Sukowa (scopro che si pronuncia Sùkowa) e non si può parlare del cinema della von Trotta senza parlare di questa attrice, che è parte di lei. «Abbiamo appena finito di girare il nostro settimo film insieme. Del resto anche Bergman lavorava sempre con gli stessi attori, Fellini aveva Mastroianni. Sono degli alter ego, delle proiezioni. Eppure tra me e Barbara non è stato facile all’inizio. In Anni di piombo lei si comportava in modo scostante. Era violenta, rabbiosa. Soltanto dopo ho capito che faceva così per via del suo personaggio. Era diventata una specie di terrorista, era diventata Gudrun Ensslin. Infatti quando abbiamo girato Rosa L. si è trasformata nella Luxemburg. Barbara Sukowa è una delle attrice più intelligenti che conosca. Non avrei potuto fare Hannah Arendt con nessun’altra. Quando si prepara, legge tutto quello che ho letto io, e anche di più. In Rosa L. c’è un discorso contro la guerra, che io avevo trovato negli scritti politici della Luxemburg e l’avevo messo nella sceneggiatura. Barbara è venuta e mi ha detto: “Ne ho trovato un altro, secondo me è più bello”. Ed era vero, così abbiamo usato quello che aveva trovato lei. Quando hanno proiettato il film in Israele, durante questo discorso sulla pace la gente in sala ha iniziato ad applaudire. È stato incredibile: parole scritte contro la Prima guerra mondiale sembrava parlassero della loro situazione, di questi anni». E infatti la Sukowa per quell’interpretazione ha vinto la Palma d’oro a Cannes nell’86. Sono gli anni in cui la von Trotta vive nel nostro paese, anni di grandi accadimenti storici che non possono non influenzare la sua opera. Nel 1988 esce un film fascinoso girato a Pavia, Paura e amore. Scritto con Dacia Maraini, interpretato da Fanny Ardant, Greta Scacchi e Valeria Golino, tre cechoviane, malinconiche sorelle. «Lo aveva prodotto Angelo Rizzoli il quale era reduce dalle sue faccende giudiziarie. È stato il primo film che ha prodotto quando è uscito dal carcere. Mi chiesi perché in quella situazione volesse fare un film con una tedesca. Forse per tenersi un po’ in disparte, laterale rispetto alla realtà italiana. Non a caso il suo secondo film l’avrebbe poi fatto con Michalkov. Adesso penso che Rizzoli, in quegli anni, avesse paura dell’Italia, degli italiani. Avremmo dovuto fare un altro film insieme, ma lui ha avuto di nuovo problemi con la giustizia. Era il 1992, e l’Italia era sotto assedio. Dopo gli attentati in cui morirono Falcone e Borsellino, io e il mio compagno di allora (il produttore Felice Laudadio) ci chiedemmo cosa fare, come esprimere la nostra rabbia. Eravamo cineasti, e dunque avremmo fatto un film. Facemmo Il lungo silenzio , lavorando tutti gratis. Il film non è mai uscito. Era la storia di un magistrato ucciso dalla mafia e facemmo un’anteprima a Palermo. In un cinema, il Lux, che era già stato bruciato due volte dai mafiosi. Tra il pubblico c’era la vedova del giudice Terranova che mi aveva dato il suo testamento, perché lo usassi nel film. E la moglie di Bonsignore, un funzionario della Regione anche lui ucciso dalla mafia. Lei si è alzata in piedi e ha detto “mio marito non era giudice, era solo un impiegato normale ma è stato assassinato anche lui”. Poi si è guardata intorno e ha aggiunto “e tutti voi sapete chi l’ha ammazzato”. La gente si è spaventata, così i gestori, i distributori. E il film è sparito. Il lungo silenzio è stato il mio ultimo progetto italiano. Sono tornata in Germania, e ho fatto un film sul Muro: La promessa. L’ho scritto insieme a Felice Laudadio e al mio amico Peter Schneider». Anche la mattina in cui cadde il Muro, Margarethe von Trotta era in Italia, a Roma nella sua casa di via del Pellegrino. «Qualche settimana prima avevo parlato con la mia cara amica Christa Wolf, la scrittrice scomparsa alcuni anni fa. Ci vedevamo ogni tanto, e parlavamo del nostro paese, del futuro, delle nostre speranze. Cinquant’anni, mi disse lei, non ci vorranno meno di cinquant’anni prima che il Muro possa essere abbattuto. Quella notte tra l’8 e il 9 novembre del 1989, mi addormentai ignara di tutto. La mattina comprai il giornale e quasi svenni. Poi sono scoppiata piangere». Si commuove ancora mentre racconta, le trema la voce. «Singhiozzavo, e la gente mi guardava, chiedevano se avessi bisogno di aiuto, forse pensavano che avessi delle terribili pene d’amore». Le chiedo del suo ultimo film, appena finito di montare, protagonista sempre Barbara Sukowa. È una biografia? «No, per un po’ basta con donne che hanno fatto la storia. Stavolta parlo di me, della mia famiglia. Si intitolerà Ich bin der Welt abhanden gekommen ( Sono ormai perduto al mondo ), come un famoso lieder di Mahler. Musicalmente fratello dell’adagetto della quinta Sinfonia, quello usato da Visconti in Morte a Venezia ». Ancora un riferimento, l’ennesimo, all’Italia. Non le sembra che, in corrispondenza dell’esplosione economica, la Germania abbia perso un po’ della sua potenza culturale? Come se lo spiega? «Mi sa che esser forti economicamente non susciti gran simpatia. Ma forse non siamo noi a essere meno incisivi, sono gli altri ad aver meno voglia di ascoltarci». © RIPRODUZIONE RISERVATA LA MIA PROSSIMA OPERA SI CHIAMERÀ SONO ORMAI PERDUTO AL MONDO, COME UN FAMOSO LIEDER DI MAHLER STAVOLTA PARLERÒ DI ME, DELLA MIA FAMIGLIA: PER UN PO’ DI TEMPO BASTA CON LE DONNE CHE HANNO FATTO LA STORIA OGNI AUTORE HA UN SUO ALTER EGO E LA MIA È BARBARA SUKOWA. LEI DIVENTA LA PERSONA CHE INTERPRETA: QUANDO FECE LA TERRORISTA ENSSLIN ERA VIOLENTA CON TUTTI. SI PREPARA A FONDO E ALLA FINE NE SA ANCHE PIÙ DI ME DOPO GLI ATTENTATI A FALCONE E BORSELLINO ESPRESSI LA MIA RABBIA CON IL LUNGO SILENZIO LAVORANDO GRATIS ALL’ANTEPRIMA DI PALERMO LE REAZIONI SPAVENTARONO TUTTI E IL FILM SPARÌ