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 2015  gennaio 04 Domenica calendario

Tutto cambiò la notte del 10 dicembre, in un angolo disabitato dell’estrema periferia romana, in un quartiere chiamato Laurentino 38

Tutto cambiò la notte del 10 dicembre, in un angolo disabitato dell’estrema periferia romana, in un quartiere chiamato Laurentino 38. Da pochi giorni si era scoperto che, per anni a Roma la cosa pubblica era stata manipolata da una cricca «bipartisan» di ex estremisti di destra e di sinistra e proprio lì, a Laurentino, si erano dati appuntamento militanti e dirigenti del Pd romano per una sorta di purificazione pubblica. E invece il mondo si ribaltò: andò al microfono Matteo Orfini, romano ma dei quartieri «bene», da poche ore commissario di Renzi nella capitale. Disse: «In questo partito è in corso una guerra per bande!». E uno gli urlò: «Parla della tua!». Poi disse la sua Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, da anni il beniamino di quel che resta del Pci. Un discorso circondato dal gelo. Poi prese la parola il sindaco Ignazio Marino, per un anno dipinto dal Pd e dai giornali come un gaffeur-seriale e fu il tripudio. Applausi scroscianti, osanna, aiutati anche dalle consuete dosi di demagogia che per mesi il sindaco-chirurgo aveva sparso nella speranza di proteggersi dalle ondate di contestazioni. Da quella notte, il sindaco gaffeur è diventato una sorta di eroe cittadino, il Pd lo ha «riscoperto» e la nemesi si è completata per effetto della riconciliazione con Renzi: il «marziano a Roma» è diventato quasi un modello per il governo, che prendendo spunto dai «malati immaginari» della capitale, ha promesso un’accelerata alla riforma della Pa. In queste ore Marino confida agli amici: «Se in quei mesi difficili non fossi andato dritto, se avessi ceduto a compromessi anche “ragionevoli”, oggi non sarei così libero». C’è una storia, inedita in alcuni significativi dettagli, che aiuta a capire la metamorfosi che sta investendo Roma e la sua opinione pubblica: è la storia della Panda rossa di Ignazio Marino. Appena il suo proprietario arriva in Campidoglio, nell’estate 2013, l’auto viene vandalizzata. Pubblicamente non se ne sa nulla. Il prefetto «per motivi di sicurezza» dispone che l’auto continui ad essere parcheggiata negli stalli protetti riservati al Senato, del quale Marino era stato componente fino a qualche settimana prima. Mentre la Panda per qualche mese resta al sicuro, nel frattempo il «marziano a Roma» - tra qualche scivolata amministrativa e una quotidiana dose di narcisismo - propone una raffica di novità oggettivamente destabilizzanti per il «sistema-Roma». Marino chiude una delle più grandi discariche della terra, Malagrotta, di proprietà di Manlio Cerroni, monopolista da decenni (successivamente arrestato); viene imposta una scadenza agli interminabili lavori della Metro C; oltre cento delibere di cementificazione dell’agro sono cancellate; impone alla florida Acea una nuova governance e da quel momento l’azienda ha un boom in Borsa; licenza l’ad dell’Ama Franco Panzironi (poi arrestato); chiede ai sindacati di rivedere il salario accessorio per i dipendenti comunali, una richiesta che è all’origine dell’assenteismo «organizzato» del 31 sera. E la Panda rossa? Sull’onda di una campagna dell’Ncd romano l’auto viene «sfrattata» dal Senato perché il sindaco e la sua famiglia, dicono al Viminale, non corrono più pericoli. La Panda, nel frattempo guidata dalla moglie, resta senza permesso Ztl e i vigili iniziano a notificare le multe prima all’Anagrafe e poi all’autoparco del Comune. Sorprendentemente mai a casa Marino. Per chiedere conto di queste multe il consiglio comunale qualche settimana fa chiese al sindaco di riferire «urgentemente» in aula. Sullo scandalo di Mafia-Capitale nessun partito ha notificato analoga richiesta.