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 2015  gennaio 02 Venerdì calendario

«IL MIO AMICO GIORGIO, RE LEAR SOLITARIO MA SEMPRE IN SINTONIA CON GLI ITALIANI»

ROMA «Giorgio - così ne parla il suo amico da sempre, Raffaele La Capria - ha trovato una meritata sintonia con gran parte degli italiani. Lo hanno capito nel suo sforzo maggiore: quello della misura che è, come diceva Albert Camus, una tensione. Lo sforzo, ben ripagato in termini di stima e perfino di affetto, è stato quello di proporre un dialogo fondato sulla razionalità in un Paese nel quale, nel campo politico, imperano i battibecchi animaleschi, lontani dalla ragione». La Capria, soprannominato Duddù, è lo scrittore di «Ferito a morte» e di altri romanzi e saggi che lo hanno reso famoso per il suo sguardo sulla realtà italiana filtrato attraverso la sua napoletanità, che è l’opposto della napoletaneria, come ha spiegato in alcune sue pagine memorabili.
Che tipo di presidente è stato Napolitano?
«A volte, nelle difficoltà profonde nella politica italiana che egli si è trovato ad affrontare durante questi quasi nove anni, mi è sembrato il personaggio di una tragedia shakespeariana. Un Re Lear solitario».
Come lo conobbe?
«Ci siamo conosciuti 70 anni fa al regio liceo ginnasio Umberto I di Napoli, il cui preside, il professor D’Alfonso, era considerato un crociano e dunque sospetto di antifascismo. Questo sospetto si estese a tutto il liceo, e noi che lo sapevamo ne eravamo orgogliosi. Era per noi un segno di distinzione».
Che tipo di scuola era la vostra?
«Giorgio Napolitano non era nella mia classe perché di me più giovane di tre anni, appunto, e a quell’età tre anni contano molto. Ci incontravamo all’uscita delle classi, finite le lezioni, poi ci incontrammo al Guf, che come tutti sanno diventò inavvertibilmente man mano per molti di noi una scuola di antifascismo. Fu lì, al Guf, che si stabilirono le nostre affinità elettive. Fu lì che ci scambiammo idee e sentimenti sulla letteratura, sui grandi scrittori, sul teatro, e fu lì che si strinsero amicizie che sarebbero durate nel tempo: con Antonio Ghirelli, Francesco Rosi, Patroni Griffi, Massimo Caprara, Maurizio Barendson e tanti altri».
Lei non è mai stato comunista. Che impressione faceva, a lei e ai vostri amici, quella scelta di vita di Napolitano?
«Da ragazzi eravamo tutti di sinistra. Tutti sognavamo un cambiamento generale del Paese e delle coscienze, e dunque il fatto che Giorgio Napolitano avesse scelto la via del partito e nel partito avesse un ruolo di prim’ordine, non ci impressionava affatto. Anzi, ne eravamo orgogliosi. In quel tempo, se si diceva comunista, non si pensava ai lager e alle Siberie, ma al rinnovamento della società italiana. Eravamo allo ”stato nascente”, quando l’ideologia non era ancora una chiusura ma un’apertura verso un futuro che speravamo migliore».
Lei ricorda in quel periodo Giorgio Amendola, il maestro di Napolitano?
«Giorgio Amendola non l’ho mai conosciuto di persona, so che era uno dei capi comunisti più dialogante e meno rigido degli altri. Ma allora io non mi occupavo di politica, pensavo più ai libri che volevo scrivere, la letteratura mi sembrava più importante della politica».
Che cosa univa un ragazzo come lei e uno come
Napolitano?
«Il teatro e i grandi libri erano il vero legame in quegli anni: più Conrad, Melville, Hemingway che Marx».
A che tipo di cultura si è attenuto il suo amico Giorgio in questi anni sul Colle?
«Non è stato nè un socialista nè un pragmatico. E’ stato quello che è da sempre: un crociano. Cioè uno che ha appreso la lezione di Croce e l’ha svolta a modo suo».
Nelle vostre conversazioni di questi anni che cosa lo ha colpito di più del presidente?
«La preoccupazione per la disparità economica che oggi in Italia sta diventando insostenibile».
E’ stato un presidente freddo o passionale?
«Napolitano non è mai stato un politico freddo. Si è rivelato, ma noi che lo conosciamo lo sapevano fin dall’inizio, un politico consumato, di grande e affidabile esperienza. Ha dovuto attraversare acque agitate. Curzio Malaparte, quando eravamo giovani, gli dedicò il suo libro ”Kaputt” con questa dedica: ”A Giorgio Napolitano che mantiene la calma anche nell’Apocalisse”. Mi sembra una dedica profetica. Anche nei momenti più difficili l’ho sempre visto tranquillo. Come un timoniere con lo sguardo fisso in avanti».