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 2015  gennaio 02 Venerdì calendario

Potrebbe trattarsi di una forma sui generis di rassicurazione collettiva, un esempio di patriottismo alla rovescia

Potrebbe trattarsi di una forma sui generis di rassicurazione collettiva, un esempio di patriottismo alla rovescia. Chiunque si incontri, non importa a quale ceto egli appartenga, quali siano la sua professione o il suo livello di istruzione, egli se ne uscirà invariabilmente con frasi come questa: "Che fine faremo?", "Non potrebbe andare peggio di così", "Abbiamo toccato il fondo". Sono anni, forse decenni, che le persone usano frasi come queste quando si incontrano. Sembra che gli italiani siano tenuti a rispettare particolari regole di etichetta o di bon ton quando danno inizio a una conversazione. Quasi che non si possa parlare di alcunché senza avere prima partecipato a un rito: abbiamo bisogno di parlare male di noi, dell’Italia pubblica, per riconoscerei reciprocamente come appartenenti alla stessa comunità. L’obiezione, naturalmente, è che sono le notizie che ci arrivano dalla politica che ci costringono a esprimere continuamente le nostre pessimistiche valuta/ioni su noi stessi. E se fosse vero il contrario? Se la politica e i mass media non facessero altro che rispondere a una richiesta collettiva di autofustigazione? Abbiamo raccontato a noi stessi, e al mondo intero, che a Roma c’è la mafia, trasformando così una grave vicenda di malversazione pubblica in qualcosa d’altro, e di ancora più grave. Perché stupirsi se poi gli inglesi prendono la palla al balzo e dicono che no, non si possono fare le Olimpiadi a Roma perché quella città è in mano alla mafia? Che gli italiani adorino autofustigarsi è provato dalle reazioni che molti di loro hanno quando si imbattono in qualcuno che non crede affatto che l’Italia sia il Paese più corrotto del mondo occidentale. Parlo per esperienza. So con quanto livore certe persone reagiscano quando si tocca questo tabù. Non siamo, secondo me, il Paese più corrotto. Siamo però l’unico Paese in cui sia un dovere sodale definirsi come il Paese più corrotto. Ma non ci sono forse così tante inchieste contro la corruzione? Come no. Ma il punto è: quante di queste inchieste portano a condanne in via definitiva? E se tante inchieste, annunciate con la grancassa sui mass media, finiscono poi, dopo qualche anno, per perdersi per strada, ciò dipende sempre e soltanto dalle manovre dei corrotti che riescono a farla franca o dipende invece, almeno in parte, da un cattivo funzionamento del sistema giudiziario, dal fatto che non paga mai dazio, non subisce punizioni, quel magistrato che mette in piedi un’inchiesta senza avere in mano elementi sufficienti? E se fosse quest’ultima la principale differenza fra l’Italia e gli altri Paesi occidentali? Non c’è alcuna separazione fra la politica e la società. Sono della stessa pasta e sono fra loro abbracciate. E lo sono anche quando la "società" (coloro che si definiscono società) pretende di non aver nulla a che fare con la politica. Uniti anche dalla convinzione, continuamente riaffermata, secondo cui noi italiani "Siamo i peggiori di tutti". I peggiori no, ma i più masochisti certamente.