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 2015  gennaio 02 Venerdì calendario

Tuttora la Sardegna dà l’impressione di un mondo un po’ a sé. Per quanto sempre più conosciuta già a partire dagli anni di Giolitti, ai primi del Novecento, l’isola ha durato molto a integrarsi appieno nella vita italiana, e, ciò, nei modi più vari

Tuttora la Sardegna dà l’impressione di un mondo un po’ a sé. Per quanto sempre più conosciuta già a partire dagli anni di Giolitti, ai primi del Novecento, l’isola ha durato molto a integrarsi appieno nella vita italiana, e, ciò, nei modi più vari. Durante guerra del 1915-18 le gesta della Brigata Sassari richiamarono, ad esempio, su di essa una maggiore attenzione. Poi il premio Nobel di Grazia Deledda giovò molto al prestigio della sua terra sul piano culturale. Non che la storia sarda sia diventata oggi familiare in Italia come quella di altre regioni. Alla separatezza storica ha corrisposto una sconveniente separatezza storiografica, per cui perdura la convinzione che l’isola sia vissuta in un sostanziale isolamento storico, a mala pena interrotto da questo o quell’episodio (ed è stato pure osservato che, mentre l’Italia era visitata e illustrata da maggiori e minori protagonisti del Grand Tour, la Sardegna non ne fu quasi toccata). Certo, l’isolamento dell’isola è un dato storico innegabile. Ritenere, però, che esso abbia significato una vera segregazione da ciò che si pensava e si faceva in Italia e in Europa è un errore. Latente o no, non cessò mai la comunicazione dell’isola col mondo circostante, anche se come una lontana (nel pensiero più che nello spazio) periferia. I tempi suoi non furono quelli europei e italiani, ma essa seguì sempre, in una qualche misura, gli sviluppi della «grande storia» d’Italia e d’Europa. L’apparenza era quella di un immobilismo e un tradizionalismo propri di quella Nation Island , come la definì William S. Craig, console inglese negli anni intorno al 1860. Il suo predecessore George Bomeester scriveva, però, nel 1844 che il giudizio corrente sull’immobilismo sardo non poteva ignorare «il lento e quasi impercettibile progresso del commercio». È, questo, uno dei molti e interessanti dati che affiorano nel grosso volume degli atti di un convegno per il 150° dell’unità italiana, La Sardegna nel Risorgimento , curato da Francesco Atzeni e da Antonello Mattone (Carocci), in cui è facile selezionare i temi di più diretto interesse del lettore. Si possono notare, così, le «aspirazioni unitarie italiane» e i «tentativi “autoctoni” di rivolta» degli anni di Napoleone, quando da Torino vi si rifugiarono i Savoia; o la conferma dell’interesse di una figura come Emanuele Pes di Villamarina, che richiama quella del Bogino, illuminato governatore sabaudo dell’isola. Si colgono episodi di cultura scientifica, come per Patrizio Gennari, fondatore dell’Orto botanico di Cagliari, o casi di rilievo, come la scoperta del grande sito archeologico di Tharros, o di esponenti di una significativa cultura politica come i mazziniani Vincenzo Brusco Onnis e Giorgio Asproni. Decisivo emerge sempre il momento della fusione con gli altri Stati sabaudi, unificati sotto il nome di Regno di Sardegna, nel 1847. È allora, già prima dell’unità italiana, che sorgono pure la «questione sarda» e l’autonomismo dell’isola. Quella fusione rese più subalterna l’isola rispetto a Torino e, in specie, a Genova? È vero, ma non fu un prezzo eccessivo per la rottura del suo precedente, tradizionale assetto, benché sia significativo che sorgano proprio allora gli interrogativi che ancora aleggiano nell’isola. Quella del 1847 fu una vera fusione o una semplice unione? Il moto risorgimentale, così vivace nell’isola, si risolse in una «occasione perduta di un’élite virtuosa»? Che ne fu dell’identità «nazionale» sarda dopo il 1847 e nell’unità italiana? Interrogativi comuni alla storia risorgimentale e unitaria di ogni parte d’Italia, che confermano la sostanziale appartenenza e partecipazione della Sardegna a quella «grande storia», dalla quale ancora spesso la si ritiene emarginata.