Tonia Mastrobuoni, 2014 – La Stampa 31/12/2014, 31 dicembre 2014
IL VECCHIO CONTINENTE NON È ANCORA STATO IN GRADO DI USCIRE DALLA CRISI UN ALTRO ANNO SENZA POLITICHE DI CRESCITA SAREBBE UNA CONDANNA L’UOMO DELLA SVOLTA È DRAGHI, CHE È PRONTO A SFODERARE IL BAZOOKA
Come è andato il 2014?
Per il genio delle previsioni Nate Silver bisogna imparare a distinguere i segnali dai rumori in cui spesso affogano. E il 2014 è stato un anno di rumori talmente caotici che in pochi sono riusciti a cogliere i segnali che nascondevano. Ad esempio, la fine del mondo di Sykes-Picot, i diplomatici che un secolo fa disegnarono le carte geografiche tra il Mediterraneo e la Persia e che inventarono l’Iraq, la Siria, il Libano o la Giordania. Oggi il califfato di Isis attraversa alcuni di questi confini come se non esistessero e ha gettato nell’ansia l’intera area. Insieme ad un’altra lesione delle vecchie carte geografiche, quella dell’annessione della Crimea da parte della Russia, la nuova fiammata jihadista in Medio Oriente ha gettato nell’incertezza anche le prospettive economiche dell’Europa. Per la prima volta dalla fine della Guerra fredda, il Vecchio continente si ritrova con conflitti e guerre civili alle porte. Il crollo del rublo e del prezzo del petrolio e le conseguenze delle sanzioni Ue alla Russia, non hanno fatto che aggravare il quadro.
Come sarà il 2015?
La prima, amara constatazione è che la più grande economia del mondo, cioè l’Europa, fatica a uscire dalla Grande Crisi e rischia nel 2015 di ammalarsi della sindrome giapponese, una lunga stagnazione combinata con una dolorosa deflazione. La seconda constatazione è che in un mondo sempre più multipolare, le economie più potenti sembrano sempre meno in sintonia: il turbo del 5% di crescita dell’ultimo trimestre americano sembra non aver riflessi sul languido Pil europeo. Le previsioni concordano nel dire che l’Europa può aspirare a crescere nel 2015 di un punto circa: una miseria. Ed è evidente che l’austerità senza politiche di stimolo della domanda, come ha sottolineato Mario Draghi in un discorso ormai storico a
Jackson Hole, rischia di trasformarsi in una condanna.
Quali saranno gli eventi più importanti?
Due si concentrano già nei primi tre mesi e condizioneranno il resto dell’anno, se non del decennio. Il 25 gennaio, dalle elezioni greche potrebbe uscire vincitore Alexis Tsipras. Per certi versi, una sfida interessante, se i governanti europei si mostreranno all’altezza e capiranno che è il capo di Syriza è l’ultimo leader populista con cui è possibile dialogare. Non tutto quello che chiede - a partire di una soluzione credibile per l’immenso debito ellenico - è insensato e la Grecia ha effettivamente bisogno di un cambio di passo per risollevare la testa. Dietro di lui, si stagliano le ombre di ben altri populisti, il britannico Ukip e il Front national di Marine Le Pen, molto meno dialoganti, a cui la Ue rischia di regalare altre valanghe di voti se si mostrerà sorda alle sofferenze e alle richieste di un Paese ridotto allo stremo. In ogni caso, Atene spaventa meno che negli anni scorsi: perché c’è lo scudo anti spread Omt della Bce che dal 2012 protegge gli altri Paesi europei dal contagio. Ma anche perché è un Paese meno alla deriva, rispetto all’inizio della crisi.
Mario Draghi farà il Quantitative Easing?
Sì, probabilmente non subito, proprio per attendere l’esito delle elezioni greche, ma a marzo. Soprattutto, è fondamentale che l’acquisto di titoli pubblici avvenga (come da indiscrezioni) senza che i rischi vengano addossati, in proporzione alla situazione dei conti pubblici, agli stessi Paesi. Che senso ha, altrimenti, una moneta unica?
Tonia Mastrobuoni, 2014 – La Stampa 31/12/2014