Marco Sodano, 2014 – La Stampa 31/12/2014, 31 dicembre 2014
IL PREZZO DEL PETROLIO È SCESO AI MINIMI DA 5 ANNI: COLPA DEL CALO DELLA DOMANDA E DEL BOOM DELLO SHALE NEL BREVE TERMINE FAVORIRÀ LA RIPRESA DEI CONSUMI, AUMENTANDO PERÒ GLI SQUILIBRI TRA PAESI MA NEL 2015 IL BARILE PUÒ TORNARE A 100 DOLLARI
I prezzi non erano così bassi dal 2009. Cosa sta succedendo?
Giusto ieri il prezzo del barile ha toccato quota 52,72 dollari a New York, il minimo degli ultimi cinque anni. Nel corso di quest’anno è sceso di circa 40 dollari. Le ragioni sono essenzialmente due da una parte un forte calo dei consumi e - di conseguenza - della domanda. La crisi pesa, l’industria mondiale non corre come prima, consuma meno energia e quindi meno petrolio. In secondo luogo, c’è stata la crescita vertiginosa dello shale oil americano: estratto dalle rocce e non con le trivellazioni tradizionali, ha permesso agli Stati Uniti di sfiorare, nel giro di due anni, il primato tra i produttori mondiali di oro nero. Nel 2012 si pensava che gli Usa ce l’avrebbero fatta nel 2017, un anno dopo le proiezioni parlavano già del 2015. Secondo le ultime stime, il sorpasso è invece già avvenuto: sia come sia, sul mercato c’è una grande quantità di petrolio che prima non era disponibile. Insomma, il 2014 è stato l’anno dello choc ribassista per il prezzo del petrolio.
Per i consumatori è una buona notizia. O no?
Nel breve termine può essere senz’altro una buona notizia: costi energetici bassi favoriscono la ripresa in un momento di rallentamento globale come quello atteso almeno per l’inizio del prossimo anno. Il centro studi di Intesa Sanpaolo, per esempio, accredita ai corsi bassi del petrolio il merito di quel poco di crescita (+0,4%) che prevedono per l’economia italiana nel corso del 2015, grazie al calo di tutte le voci di spesa legate al petrolio. La crescita di un’economia non può però trarre vantaggio a lungo da una situazione depressiva come il calo dei prezzi. E a lungo andare gli squilibri si farebbero sentire a cascata, provocando altri fronti di crisi.
Cosa dicono le previsioni?
Entro la fine del 2015 il prezzo del barile dovrebbe tornare intorno ai cento dollari. Questa però è la cifra che fa comodo a quasi tutti i produttori: i paesi al momento più danneggiati. Nigeria e Venezuela, per esempio, faticano a sostenere le loro produzioni anche quando possono vendere a cento dollari, figuriamoci a sessanta. Della crisi russa nelle ultime settimane s’è parlato lungamente: welfare e pubblico impiego non stanno più in piedi. E se traballano quelli, vacilla anche il sistema di potere di Putin. E anche negli Stati Uniti le quotazioni del greggio stanno facendo danni pesanti: soprattutto ai produttori di shale gas (considerato remunerativo da 70 dollari al barile in su). Le società che producono shale sono molto piccole e lavorano su giacimenti che si esauriscono in tempi brevi (circa un anno), dunque hanno bisogno di un flusso di cassa continuo per sostenere il ritmo degli investimenti necessari per aprire i nuovi giacimenti. Nell’ultimo trimestre del 2014 queste società hanno cominciato a indebitarsi non più per le nuove estrazioni ma per pagare i debiti contratti per avviare impianti già sfruttati. Ci sono tutte le premesse per una nuova bolla finanziaria, insomma: e il mondo ricorda quanto male ci fa fatto l’ultima bolla esplosa negli Stati Uniti.
Quindi il prezzo risalirà. E sarà un vantaggio?
C’è un livello fisiologico di crescita dei prezzi che è indice di un’economia in buona salute, e la regola non vale solo per il petrolio. La Banca centrale europea, per esempio, considera il 2% un tasso di inflazione “buono” e combatte per riportare l’indice dei prezzi vicino a quella soglia. Chiaro che se lo squilibrio si riproduce all’altra estremità della forchetta (come quando il barile arrivò vicino a 140 dollari) gli squilibri si riproporranno: semplicemente, saranno rovesciati.
Il greggio è ancora indispensabile?
Le fonti energetiche alternative e una forte propensione al risparmio hanno ridotto i consumi, ma per le grandi quantità di energia necessarie all’industria, nessuna fonte alternativa, al momento, è in grado di competere. Gli idrocarburi continuano a costare meno.
Marco Sodano, 2014 – La Stampa 31/12/2014