Stefano Rizzato, 2014 – La Stampa 31/12/2014, 31 dicembre 2014
UN VIRUS SEPOLTO NELL’AFRICA PIÙ PROFONDA COLPISCE D’IMPROVVISO E SI DIFFONDE RAPIDAMENTE, RIVELANDO TUTTE LE DIFFICOLTÀ DI GESTIRE LE NUOVE PANDEMIE. LA GLOBALIZZAZIONE, PARADOSSALMENTE, CI HA RESI PIÙ FRAGILI E RISVEGLIA LE PAURE DEL MONDO AVANZATO, CHE PENSAVA DI AVER DEBELLATO GLI INVISIBILI KILLER CHE MINACCIANO LA NOSTRA SPECIE
Il 2014 è stato segnato dall’epidemia di Ebola scoppiata a marzo in Africa occidentale: com’è la situazione oggi?
Il virus non è ancora sotto controllo e il bilancio delle vittime deve continuamente essere aggiornato. Al 28 dicembre, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, i morti accertati sono 7.693 su un totale di 19.695 casi registrati nei tre Paesi colpiti: Liberia, Sierra Leone e Guinea. Fuori da queste tre nazioni l’epidemia non si è mai davvero diffusa e ci sono state otto vittime in Nigeria, sei in Mali e una negli Usa.
Qual è la zona più critica?
Il Nord della Sierra Leone, che negli ultimi cinque giorni dell’anno è stata costretta - per decisione del governo - a una sorta di coprifuoco permanente. L’obiettivo è provare ad arginare i contagi, come nel Sud del Paese si sta faticosamente riuscendo a fare. In Liberia ci sono motivi di ottimismo, il virus non si espande più e sabato scorso è stato possibile tenere le elezioni per il Senato.
Come sta il medico italiano contagiato?
È fuori pericolo, dopo settimane in cui si è temuto molto. Medico di Emergency, catanese, Fabrizio ha contratto il virus in Sierra Leone ed è tornato nella notte tra il 24 e il 25 novembre, anche tra le ingiustificate polemiche di chi paventava l’arrivo di Ebola in Italia. Invece i dispositivi di sicurezza hanno funzionato e così le cure ricevute allo Spallanzani di Milano. E il 26 dicembre Fabrizio ha potuto scrivere, attraverso la pagina Facebook di Emergency, un messaggio per raccontare la sua storia: «Non credo di essere un eroe, ma nemmeno un untore: sono un soldato che si è ferito nella lotta contro un nemico spietato».
Com’è iniziato il contagio?
Bisogna tornare a oltre un anno fa e al dicembre 2013. Il «paziente zero» è stato Emile Ouamouno: un bimbo di due anni di Meliandou, un villaggio del Sud della Guinea, vicino al confine con Sierra Leone e Liberia. È stato lui la prima vittima, seguito in pochi giorni dalla sorella e dalla madre. Purtroppo i sintomi dell’Ebola - febbre alta, emicrania, dissenteria - sono comuni ad altre malattie endemiche e il virus non è stato riconosciuto subito. Tanto che tra i primi 15 morti quattro erano personale sanitario.
Perché si è poi diffuso in modo così violento e rapido?
Ci sono tante ragioni. La principale è la natura del virus, che si trasmette attraverso i fluidi corporei - anche con una stretta di mano - e per il quale non c’è cura. A diffonderlo hanno contribuito i rituali di sepoltura locali, che includono il contatto con il corpo del defunto. E poi il contagio è arrivato in Liberia e Sierra Leone attraverso confini che esistono solo sulle mappe.
Quando la situazione è precipitata?
Durante l’estate, quando il virus ha iniziato a interessare le più grandi città dell’area. Come Monrovia, la capitale dove vive un quarto della popolazione della Liberia e dove Ebola è arrivato ad agosto. E qui va menzionato un altro aspetto critico e decisivo: la debolezza del sistema sanitario dei Paesi colpiti. Prima dell’epidemia, in Liberia c’era un medico ogni 70 mila persone, in Sierra Leone uno ogni 45 mila. In Italia il rapporto è di uno ogni 250 abitanti.
Quando si fermerà l’epidemia?
Proprio l’Italia e altri Paesi europei hanno contribuito a gestire il contagio, con ospedali e centri d’isolamento resi possibili da Ong internazionali come Emergency e Medici Senza Frontiere. Anche la Sierra Leone potrebbe superare presto la fase più critica, ma è difficile mettere una data alla fine della crisi. E i danni sociali - basti pensare ai tanti orfani resi «intoccabili» dalla paura del contagio - dureranno a lungo.
La ricerca di una cura come procede?
Al momento ci sono una serie di trattamenti sperimentali, che vengono già usati per i casi più gravi e di cui prosegue lo sviluppo. Ma si lavora anche alla ricerca di un vaccino. Il più promettente - unico oggi in fase di test clinici - è quello individuato da Okairos, azienda svizzera fondata da un gruppo di ricercatori italiani e acquisita da GlaxoSmithKline. Per un secondo vaccino, sviluppato dall’azienda tedesca Merck, la sperimentazione si è fermata l’11 dicembre, dopo che alcuni dei partecipanti ai test hanno manifestato effetti collaterali imprevisti.
Stefano Rizzato, 2014 – La Stampa 31/12/2014