Massimo Gramellini, 2014 – La Stampa 31/12/2014, 31 dicembre 2014
GRANDE BELLEZZA [E BRUTTEZZA]
[Intervista a Paolo Sorrentino] –
Scorrono i titoli di coda sull’anno della Grande Bellezza e della Grande Bruttezza. Paolo Sorrentino le contempla entrambe dal finestrone del suo studio romano, che si affaccia su un giardino affidato alle cure della cooperativa protagonista di Mafia Capitale. «Da quando è scoppiato lo scandalo si adoperano come svizzeri. Hanno scoperto un’abnegazione da martiri».
Il 2014 è stato il suo anno. L’anno dell’Oscar, che vigila discreto all’ingresso della stanza, dentro una scarpiera riciclata in contenitore di trionfi. «Prima di partire per Los Angeles, e quindi prima di sapere se lo avrei vinto, spostai gli altri premi per fargli spazio sulla mensola».
Un napoletano non scaramantico.
«Sono gli scaramantici che portano sfortuna».
La Grande Bellezza, la Grande Bruttezza. Non ne potrà più.
«Io volevo pomposamente chiamarlo L’apparato umano».
Ma questa Grande Bellezza, alla fine, cos’è?
«La fatica di vivere degli uomini. Non un film sulla decadenza italiana».
Lo è diventato.
«Perché nei film che ti riguardano vuoi trovare solo una conferma alle tue convinzioni. All’estero, invece, il film ha commosso per l’avventura umana di personaggi meravigliosi e disperati, perché siamo tutti meravigliosi e disperati».
E dove sono i Buzzi, i Carminati, la Grande Bruttezza?
«Il vicino di casa di Gambardella, che dice: mentre voi organizzate feste, io faccio andare avanti questo Paese. Poi viene arrestato e si scopre che era latitante. Al mondo di debosciati sfibrati, che trovano ristoro solo in una mondanità un po’ stantia, si contrappongono criminali che rivendicano una patente di serietà non edonista».
Li ha trattati solo di sfuggita.
«Da cittadino mi spaventano, ma da regista non li trovo affascinanti. Anche il male ha bisogno di una sua grandezza, per avere dignità di rappresentazione. E qui, quella grandezza latita».
Anche Gambardella ha rinunciato alla grandezza?
«Niente affatto. Lui si appoggia al passato perché spera ancora di trovare un futuro. In Italia invece si sta consolidando un’impassibilità disperata».
A furia di scattare a vuoto, la molla dell’entusiasmo si è inceppata.
«La disillusione arriva da lontano. La Prima Repubblica era un pantano. Una botola di raccomandazioni e corruzione. Ma qualcosa sta cambiando».
Lei ha appena girato un film in Svizzera. Non starà confondendo Paese?
«Riaffiora un vago senso di decenza nel chiedere la raccomandazione».
Di sicuro non nel chiedere la mazzetta.
«Mani Pulite era solo il primo tempo. Dopo l’intervallo di Tangentopoli il film è continuato con un’evoluzione narrativa, ma senza cambiare tema».
Nel primo tempo, almeno, gli attori si vergognavano.
«La perdita del senso del pudore è il secondo tempo del film. Ed è una perdita gravissima. Perché ci vuole molto tempo per ricostruire il senso del pudore di un Paese. Inoltre, la corruzione, in Italia, è più antica dell’onestà. E noi, a certe tradizioni, siamo indissolubilmente affezionati».
Come scrivono i bravi editorialisti, Serve un cambio di mentalità.
«E la perseveranza di un progetto. A Roma il sindaco è anche una brava persona, ma procede tamponando falle ed è troppo poco per Roma».
La crisi non è bastata a risvegliarci. Occorre un altro choc?
«Ancora? Mi sembra che ne abbiamo avuti abbastanza e molti non si sono più ripresi. Si sono assopiti nelle frasi fatte e persistono in un disfattismo difficile da scalfire. I pochi che ci provano sono eroici, ma percepiti come ingenui».
Si sente parte della categoria?
«Pensavo, ingenuamente, che i risultati del mio film e del cinema italiano avrebbero innescato un effetto domino, una reazione, che non c’è stata. Anche se il ministro Franceschini viene dalla politica, potrebbe sapere dove mettere le mani».
Osa forse dire che servono le competenze in politica?
«Sul prossimo Presidente della Repubblica sento persone che dividono i candidati in simpatici e antipatici. Sono folli e stanchi e vedono la competenza come un dato marginale».
Perché da noi tutti pensano di poter fare il politico, l’allenatore, il regista?
«Perché siamo il Paese della recitazione. Chi riesce, agli occhi di quelli che lo guardano, sta recitando. Non associano la bravura alla competenza, ma alla capacità attoriale che è coniugata, per ignoranza, all’attività di un giullare».
Si era sperato che quantomeno i tecnici...
«Monti ci ha dato la sensazione che un po’ di politica serve».
Infatti è tornata e si chiama Matteo.
«Renzi lo seguo quando dice: giudicatemi alla fine. E allora io, adesso, non lo giudico. I giudizi perentori, si sa, sono emotivi e si basano sulla scortesia e sul pregiudizio».
La Grande Bruttezza abita nel linguaggio umorale dei social?
«Sì, mi fa paura il giudizio lapidario. Prevalgono battute infelici e disonestà intellettuale. La molla è l’esibizione della frustrazione, che una volta era una dimensione repressa, segreta e misteriosa. L’anticamera dell’ulcera. Adesso invece è ostentata. Era bello dover indovinare la frustrazione degli altri, frugare nei complessi d’inferiorità».
Il bello o il brutto delle emozioni è che evaporano in fretta. Grillo scende...
«È fisiologico compattarsi nella critica e sfaldarsi nella costruzione».
... e Salvini sale.
«Io starei attento a non commettere l’errore fatto con Berlusconi. Salvini non è solo una macchietta che si fa fotografare nudo con la cravatta verde. Raccoglie un consenso non necessariamente razzista che la sinistra fatica a capire. Io vivo in un quartiere multietnico e l’insofferenza verso le persone è legata solo a comportamenti illegali e incivili».
Considerate le premesse, urge messaggio di speranza per l’anno nuovo.
«Ciascuno di noi racchiude tutto, dalla depressione allo slancio ottimistico. E gli italiani possiedono il dono dell’imprevedibilità. Chissà, i tempi di cambiamento potrebbero anche essere insolitamente repentini».
E stavolta non dovremo aspettare una guerra per cambiare.
«Basterebbe anche una lieve guerra interiore».
Seguita da una pace stabile con se stessi?
«La pace stabile con se stessi è un’utopia noiosa. Pungolo i miei figli quando vedo affiorare l’apatia. Da orfano, so che il pungolo funziona. Perdita e abbandono alimentano un sano senso di rivalsa».
Per questo i suoi personaggi inseguono sempre la giovinezza perduta?
«Alle volte inseguono la giovinezza, altre volte la vecchiaia. Perché inseguono una forma di purezza perduta, è il caso della gioventù, o una meravigliosa inutilità, è il caso della vecchiaia. Sono le sole età della vita in cui puoi dire i no e i sì senza rimpianti. E spero che la generazione dei miei figli non debba vivere la nostalgia di ciò che non si è vissuto».
Chi può vive, ma va a farlo altrove.
«Perché il governo non mette delle risorse per richiamare i cervelli in fuga? Sarebbe un gesto simbolico, però aiuterebbe a creare un cambio di mentalità. Nel mio piccolo, anch’io avrei più opportunità all’estero, ma non ci vado. Per pigrizia. A una certa età, dovrebbe essere un diritto-dovere di tutti, la pigrizia».
La nostra malattia più profonda?
«Un certo tipo di arrogante ignoranza che si ha quando le logiche del potere sono sganciate dalla creatività e dal dinamismo».
La cura?
«Io non la possiedo, ma sarebbe interessante mettere più giovani nelle posizioni di comando».
Renzi ci si è messo da solo.
«Ma non basta. Sarebbe sano che anche in Italia gli anziani cedessero il passo. Altrove, il mio interlocutore più attempato ha 28 anni. Se parlo di un film con lui, nei suoi occhi leggo l’entusiasmo del futuro. Il suo parigrado italiano ha solo l’entusiasmo del passato e, prima che io apra bocca, mi ribadisce come in un mantra che quarant’anni fa ci stavano Fellini e Visconti ed erano più bravi. Però sto generalizzando, che è un altro male nazionale».
Tra quarant’anni diranno che quarant’anni prima ci stava Sorrentino.
«Con i miei figli sto attento a non fare mai la parte di chi dice che “prima” era meglio. Anche perché non è vero. Io sono un fanatico di calcio, in tv guardo anche tre partite di seguito. E per me il calcio è molto più bello adesso che ai tempi di Rivera e Mazzola».
Cos’altro guarda in tv?
«MasterChef. L’incongruità tra il contenuto e la forma è un dispositivo narrativo formidabile, il contrasto tra un sugo sbagliato e il tono drammatico con cui lo si condanna contiene il meglio del nonsense».
Dopo La Grande Bellezza, col titolo di quale suo film chiamerebbe il 2015?
«Il prossimo ha per protagonisti due anziani. E si intitola La Giovinezza».
Massimo Gramellini, 2014 – La Stampa 31/12/2014