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 2014  dicembre 31 Mercoledì calendario

Non riesco a comprendere la posizione politica di Giovanni Ansaldo. Fu amico di Piero Gobetti e collaborò alla rivista La Rivoluzione liberale ; fu tra i firmatari del «Manifesto degli intellettuali antifascisti» di Benedetto Croce

Non riesco a comprendere la posizione politica di Giovanni Ansaldo. Fu amico di Piero Gobetti e collaborò alla rivista La Rivoluzione liberale ; fu tra i firmatari del «Manifesto degli intellettuali antifascisti» di Benedetto Croce. Successivamente fu nominato vicedirettore del Lavoro e scrisse articoli sulla politica estera del regime fascista. Grazie all’amicizia di Galeazzo Ciano divenne direttore del Telegrafo . Dopo la guerra fu imprigionato e passò dal campo di Coltano, poi a Firenze e quindi nell’isola di Procida. Ma quale era il suo pensiero? Porfirio Russo porfirio.russo@live.it 
 Caro Russo, A l suo breve profilo aggiungo che Ansaldo fu anche altre cose. Come ho ricordato in passato su questa pagina, scrisse tra l’altro una bella biografia di Giovanni Giolitti ( Il ministro della buona vita ) e una «Guida pratica di belle maniere» ( Il vero signore ); fu con Indro Montanelli uno dei principali collaboratori del Borghese , la rivista di Leo Longanesi; terminò la sua carriera giornalistica al Mattino di Napoli, quando Alcide De Gasperi, allora presidente del Consiglio, volle che ne divenisse direttore. Ai mesi trascorsi in alcuni campi d’internamento italiani, dopo la fine della guerra, occorre aggiungere quelli passati in Germania dopo l’8 settembre 1943 quando cadde nelle mani dell’esercito tedesco e rifiutò di aderire alla Repubblica sociale italiana. Come vede, la gamma delle contraddizioni è ancora più larga e varia di quanto lei pensasse. Ansaldo ne era consapevole. Quando un giornalista, nel 1938, gli fece domande imbarazzanti sul suo passato antifascista, non si sottrasse all’interrogatorio e gli rispose: «Nell’intimo della coscienza sono sicuro del fatto mio; perché so di essere sincero e di avere messo la mia firma sotto articoli che esprimevano la mia opinione vera». Non era propriamente una risposta, ma è certamente vero che Giovanni Ansaldo, nelle sue diverse incarnazioni, rimase fedele alla sua natura. La fedeltà al fascismo e la direzione del giornale della famiglia Ciano non gli impedirono di conservare lo stile scettico, con una vena di cinismo, che era proprio dei grandi cortigiani e intellettuali francesi fra il Settecento e l’Ottocento. Non è tutto. Quando ci chiediamo perché tanti scrittori e giornalisti siano passati con grande naturalezza dall’antifascismo al fascismo e viceversa, muoviamo implicitamente dalla convinzione che fra questi due momenti della loro vita vi fosse una netta contraddizione. Saremmo molto meno sorpresi, invece, se constatassimo che tra prefascismo, fascismo e post fascismo vi fu spesso più continuità che rottura. Mussolini governò lo Stato con i prefetti di Giolitti, De Gasperi e Scelba lo governarono con i prefetti di Mussolini. Le grandi dinastie industriali — dagli Agnelli ai Pirelli, da Giuseppe Volpi a Vittorio Cini — lavorarono nel sistema e col sistema. La rete dei rapporti tra politica, industria, finanza e alta burocrazia passò quasi intatta da un regime all’altro. Tra la direzione del Telegrafo , offertagli da Galeazzo Ciano, e quella del Mattino , offertagli da Alcide De Gasperi, Giovanni Ansaldo non dovette avvertire una grande differenza.