Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 31/12/2014, 31 dicembre 2014
IL RISCHIO LIBOR ERA GIA’ NOTO ALLA THATCHER
Uomo, o meglio donna, avvisata…recita un vecchio adagio utile per rileggere, tre decenni più tardi, la dinamica innescata dal Big Bang nella City di Londra, fortissimamente voluto da Margaret Thatcher. Gli Archivi Nazionali del Regno Unito svelano, infatti, che il presagio di quanto sarebbe successo nel 2008 con la crisi Lehman, con quella di Royal Bank of Scotland e poi con le truffe sui benchmark, dal Libor al Forex, aveva illuminato l’intuito di una delle più lucidi menti del partito conservatore. All’epoca David Willetts, fino a pochi mesi fa ministro di Università e Ricerca nel governo di David Cameron, era uno scalpitante policy advisor di Downing street. Fu lui, confermano le carte uscite dal segreto degli archivi a scrivere che la deregulation dei servizi finanziari avrebbe potuto «spingere a comportamenti assai poco etici….a gloriosi boom e drammatiche cadute». E poi nel dettaglio: «Il nuovo sistema consentirà, almeno in teoria, alle società di scaricare le perdite sui clienti…Come dicono i più cinici ogni Muraglia Cinese (che dovrebbe dividere le aree di business delle istituzioni finanziarie n.d.r.) ha una pianta rampicante che si insinua...». Un presagio, dicevamo, alla luce delle raccomandazioni della Vickers commission sul futuro delle banche che fu scambiato per miraggio. Fu John Redwood capo della policy unit in cui lavorava David Willetts a liquidare l’ansia del suo collaboratore. «Il buon senso di noi britannici non si piegherà a logiche di rapido arricchimento», scrisse nel 1985.
A rileggere oggi le conversazioni on line e gli sms dei trader coinvolti nel fixing del Libor si ha la sensazione, anzi la certezza, che tanto «buon senso» non abbia arginato neppure la più sfrenata ambizione.
Eppure il progetto di piena liberalizzazione dei servizi finanziari secondo logiche di autoregolamentazione con il contemporaneo via libera alle istituzioni straniere di operare nel Miglio Quadrato e al London stock exchange di adottare il trading elettronico, il cosiddetto Big Bang appunto, esplose all’alba del 26 ottobre 1986. Margaret Thatcher e il Cancelliere dello Scacchiere di allora, Nigel Lawson, erano del tutto consapevoli dei rischi, ma li corsero, confermano i dossier liberati dal segreto, nella convinzione che una nuova straordinaria industria si sarebbe sviluppata nel Regno Unito. Se oggi i servizi finanziari continuano ad essere pietra angolare dell’economia nazionale è dipeso anche da quella scelta. Le conseguenze – nella straordinaria magnitudo del 2008 – si sono vissute decenni più tardi, aggravate dallo scandalo, irrisolto, della paga dei banchieri. Anche quella dinamica fu messa a fuoco anzitempo. Sir Robert Armstrong, cabinet secretary nell’esecutivo di Margaret Thatcher, fu esplicito nel mettere in guardia dalle dinamiche retributive e dalla logica “senza scrupoli” di arricchimento.
David Willetts si congratula ora con se stesso. «Considerazioni che resistono nel tempo» , ammette. Lasciandosi poi andare a un «non male» che s’appunta, giustamente, sul petto. In realtà non tutti concordano che i tempi precedenti la deregulation siano davvero assimilabili a un’Arcadia perduta nel mondo della finanza. Non ultimo Lombard, la rubrica del Financial Times che per mano di Jonathan Guthrie ricorda quanto i “vecchi tempi” odorassero di endemico insider trading e della garibaldina pratica di piazzare gli ordine “personali” prima di quelli dei clienti per godere delle conseguenti, favorevoli fluttuazioni del mercato. Pratica antica che si aggiorna ma no, non tramonta.