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 2014  dicembre 30 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - PREVISIONE PER L’ANNO NUOVO


REPUBBLICA.IT
CHE COSA DICE L’ISTAT
MILANO - La statistica ci dice che la fine del tunnel della recessione è dietro l’angolo, ma per il mercato del lavoro la ripresa è di là da venire. "La fase di contrazione dell’economia italiana è attesa arrestarsi nei prossimi mesi, in presenza di segnali positivi per la domanda interna", afferma l’Istat nella Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana. L’Istituto di Statistica spiega che nel Belpaese, nel terzo trimestre, "l’attività economica ha continuato a mantenersi debole. Il prodotto lordo è risultato ancora in flessione (-0,1% su base congiunturale) a seguito dell’accentuarsi della contrazione del valore aggiunto sia nella manifattura sia nelle costruzioni (rispettivamente, -0,6% e -1,1%) ma in presenza di una stazionarietà nel settore dei servizi". Quanto all’ultima parte dell’anno, "l’indicatore composito anticipatore dell’economia italiana confermerebbe una sostanziale stazionarietà della crescita nel trimestre finale dell’anno".

Nel complesso, lo scenario macroeconomico permane frammentato. Tra le economie avanzate, gli Stati Uniti mostrano vigorosi segnali di crescita mentre nell’area euro gli indicatori anticipatori evidenziano i primi segnali di miglioramento. L’assestamento del prezzo del petrolio ai bassi livelli attuali è previsto influire moderatamente, in senso positivo, sulla crescita economica dei principali paesi europei. Sul punto c’è però cautela, a differenza di quanto ha sostenuto anche Pier Carlo Padoan: l’effetto "per l’area dell’euro sarebbe stimato pari a 0,1 e 0,3 decimi di punto, rispettivamente, nel 2015 e 2016. Nel 2015, l’impatto sarebbe nullo in Italia e Germania e pari a 1 decimo di punto in Francia e Spagna". Anzi, fa presente sempre l’Istat, il calo dei prezzi dei prodotti energetici potrebbe accentuare "le spinte disinflazionistiche con un impatto negativo sulle aspettative. In questo contesto, i paesi maggiormente indebitati vedrebbero aumentare il costo reale del debito".

In Italia, in questo contesto, "le condizioni del mercato del lavoro rimangono difficili con livelli di occupazione stagnanti e tasso di disoccupazione in crescita".

Proprio nel passaggio dedicato all’occupazione, l’Istat annota che "la stasi del mercato del lavoro italiano si è riflessa anche nell’andamento del tasso di posti vacanti: i dati destagionalizzati relativi al terzo trimestre mostrano che l’indicatore di domanda di lavoro è rimasto ancorato ai valori di inizio anno". Il tasso di disoccupazione "ha continuato a salire: in ottobre, i dati destagionalizzati hanno evidenziato una crescita di tre decimi di punto rispetto a settembre, raggiungendo il valore massimo di 13,2%, sensibilmente più elevato rispetto alla media europea (11,5%). La crescita del tasso di disoccupazione - si legge - è visibile anche nei dati non destagionalizzati: si è verificato un incremento di cinque decimi di punto rispetto allo stesso trimestre del 2013".

L’andamento si deve - ed è un’annotazione positiva - alla crescita delle persone in cerca di occupazione (+5,8% l’aumento tendenziale) e tra queste è aumentata soprattutto la quota di disoccupati in cerca di prima occupazione (+17,6%). La crescita delle persone in cerca di lavoro si accompagna comunque ad un allungamento dei periodi di disoccupazione: l’incidenza dei disoccupati di lunga durata (quota di persone che cercano lavoro da più di un anno) è salita nell’anno in corso dal 56,9% al 62,3%.

Questo gruppo di individui, generalmente considerati poco appetibili dalle imprese, "costituisce un fattore di freno alla discesa della disoccupazione soprattutto nel Mezzogiorno. Alla crescita dei disoccupati si è aggiunta anche quella delle persone definite più vicine al mercato del lavoro (+8,3% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente). Tra gli inattivi, inoltre, sono cresciuti coloro che non hanno cercato attivamente lavoro perchè ritengono di non riuscire a trovarlo (lavoratori scoraggiati, +6,5%)". Nel complesso "la ricerca del posto di lavoro risulta caratterizzata da elementi contrastanti: da un lato nuovi attori si muovono alla ricerca di un posto di lavoro, dall’altra le persone già sul mercato sperimentano difficoltà crescenti nel trovare una occupazione".

AUMENTANO BIRRA E
MILANO - Capodanno amaro per gli amanti della birra che da giovedì prossimo dovranno dividere la loro "bionda" a metà con il fisco. Dal primo gennaio scatta, infatti, il nuovo aumento delle accise, il terzo negli ultimi 15 mesi segnando un incremento complessivo del 30% dall’ottobre del 2012. Tradotto: da giovedì per ogni euro di birra, 45 centesimi se li berrà lo Stato. "Un aumento frutto di un errore tecnico del governo Letta" dice Alberto Frausin, presidente di Assobirra, che spiega: "Due diversi provvedimenti, piano scuola e beni culturali, sono stati coperti con la stessa misura, portando la tassazione alle stelle".
Errore o no i risultati del provvedimenti implementati in tre scaglioni sono già evidenti: la scorsa estate i consumi di birra sono calati del 26%, non poco per un settore che ormai da 10 anni rimane fermo. Anche per questo l’associazione dei produttori fa suonare il campanello d’allarme ricordando che il compartao vale 3,2 miliardi di euro e con oltre 200mila imprese - indotto compreso - garantisce 136mila posti di lavoro. A sostegno dei produttori sono arrivati anche 9 emendamenti firmati da 100 senatori, ma senza ottenere alcun risultato.

Nuove accise per tabacchi e sigarette elettroniche

D’altra parte le tesi sostenuta da Assobirra è che le accise abbiano un effetto recessivo; distruggano posti di lavoro e riducano gli introiti per lo Stato. Proprio come succede con la benzina. Secondo uno studio recente, se a gennaio le tasse anziché aumentare si attestassero a livello di Germania (4 volte inferiori alle nostre) e Spagna (3 volte inferiori), il settore sarebbe in grado di generare 7.000 posti nell’intero 2015. Di più, con una flessione dei consumi del 5% (stima prudenziale) dovuta agli aumenti che si riverseranno, quasi interamente, sui consumatori, lo Stato rischia di incassare solo 68 dei 177 milioni previsti (-62%).

Sventato l’aumento di imposte sulla benzina

"Manca un lavoro di squadra - rilancia Frausin -. L’esecutivo ha fatto bene ha stanziare un fondo per il latte di qualità, ma dovrebbe fare lo stesso con i settori strategici. In sei anni le esportazioni di birra sono triplicate e potrebbero ancora raddoppiare, il potenziale è enorme grazie ai marchi del made in Italy. Potremmo dare al Paese il contributo che il governo chiede, invece, rischiamo di non poterlo fare". Frausin non lo dice, ma se davvero i consumi calassero del 5% i posti di lavoro a rischio sarebbero diverse centinaia, forse gli stessi 2.500 del 2014, quando invece, il settore delle birra è uno di quelli che a livello di piccoli imprenditori ha registrato i migliori successi, "basti pensare alle decine di microbirrifici nati negli ultimi anni".

L’aumento delle accise potrebbe anche spingere i produttori a rivedere la loro politica di investimenti che negli ultimi anni hanno portato alla realizzazione in Italia - da parte di Carlsberg - dei primi fusti di birra senza emissioni di anidride carbonica. C’è poi il tema dell’indotto che va dall’agricoltura - dove la produzione di birra satura l’intera raccolta nostrana di orzo - al commercio: la "bionda" pesa, infatti, in media il 12% degli incassi dei pubblici esercizi. "Gli investitori internazionali - conclude Frasusin - si convincono solo con grandi cose straordinarie, eppure gli italiani sono tra i più apprezzati, peccato che in casa nostra non riusciamo mai a dare il meglio".