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 2014  dicembre 30 Martedì calendario

AD ATENE? COMANDA BERLINO

Il premier greco Antonis Samaras ha perso la scommessa: ieri terza fumata nera per il rinnovo del presidente della Repubblica ellenica. Aveva giocato il tutto per tutto, Samaras, anticipando fra Natale e fine anno le votazioni rispetto al 10 marzo prossimo, quando sarebbe arrivato a scadenza l’incarico del presidente oggi in carica. La mossa serviva a rassicurare la Troika sulla tenuta della sua maggioranza parlamentare, al fine di far dichiarare quanto prima la conclusione del programma di assistenza internazionale, ma soprattutto a togliere una grossa pietra d’inciampo sulla strada che dovrebbe portare la Bce a varare il Quantitative easing nella prossima riunione, già calendarizzata per il 22 gennaio. Ora, in base alle disposizioni della Costituzione greca, il Parlamento verrà sciolto e si andrà a nuove elezioni politiche, fissate già per il prossimo 25 gennaio.

Il quadro che si prospetta è assai complicato per l’Unione Europea: nonostante il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble si sia affrettato ad ammonire la Grecia che i patti sottoscritti con la Unione Europea, il Fmi e la Bce (la ormai tristemente famosa Troika) vanno rispettati, è ben noto a tutti che la campagna elettorale si giocherà attorno alla proposta di Syriza di fissare un tetto massimo agli interessi da pagare annualmente sul debito pubblico e di ottenere una moratoria a lunghissimo termine sulla sua restituzione. La questione è tutta politica, visto che la quasi totalità dei 307 miliardi di euro del debito pubblico greco (pari al 174% del prodotto interno lordo) non è sul mercato: tre anni fa, dando seguito della condizione posta per procedere con il salvataggio internazionale, il governo greco propose una Cac (Collective action clause) agli investitori privati, rimborsando immediatamente i titoli in loro possesso a condizione che accettassero una salata penalizzazione (haircut). E così da allora il debito pubblico di Atene è nella mani del Efsf, il Fondo salva-Stati europeo, per 142 miliardi di euro, mentre altri 26 miliardi sono di pertinenza del Fmi. Ci sono poi 61 miliardi di euro di aiuti versati da parte degli Stati europei che hanno stipulato con la Grecia accordi bilaterali nell’ambito del programma deciso dalla Uem (Unione Economica e Monetaria Europea). La Bce infine ha in portafoglio titoli greci per 27 miliardi. I titoli del debito pubblico emessi dopo la Cac (Psi e New Greek Government Bond), pari a ulteriori 36 miliardi, sono perlopiù sottoscritti dalle banche greche, che però li girano come collaterali alla Bce a fronte della liquidità corrispondente, sulla base di plafond preventivamente definito dalla medesima Bce. Ci sono infine buoni di tesoreria per 13 miliardi di euro.

È chiaro che la partita del debito pubblico greco, se dovesse vincere la alleanza Syriza-Socialdemocratici, si gioca tutta sul piano politico. L’Italia è creditrice della Grecia per circa 35,4 miliardi di euro, tenuto conto della sua quota nell’Efsf e dei 10 miliardi del prestito bilaterale deciso ai tempi del governo Berlusconi. La Germania si trova in una condizione particolare: è doppiamente creditrice. Oltre alla quota dell’Efsf il sistema bancario tedesco è oggi l’unico grande finanziatore dell’economia greca. Secondo i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali, a giugno scorso le banche dell’Eurozona vantavano complessivamente crediti verso la Grecia per 37,3 miliardi di dollari. Di questi, ben 21,2 miliardi sono di pertinenza di banche tedesche. In questi anni, dopo la crisi, tutte le banche dell’Eurozona hanno ridotto drasticamente i propri impieghi verso Atene: il totale è crollato dai 196 miliardi di dollari del secondo trimestre del 2008 ai già citati 37,3 miliardi di quest’anno. Le banche tedesche, sebbene abbiano ridotto la propria esposizione in valori assoluti (44,4 miliardi di dollari nel 2008), oggi sono le vere protagoniste, con una quota sul totale del credito dell’Eurozona accresciutasi dal 23% del 2008 all’84% di quest’anno. Le banche francesi, che invece erano leader nel 2008 con 86,1 miliardi di dollari (cifra allora pari al 44% del credito totale dell’Eurozona verso la Grecia), quest’anno sono risultate esposte per appena 2,2 miliardi di dollari (6% del credito complessivo). Le banche italiane, sempre molto prudenti, sono scese a 1,5 miliardi di dollari rispetto ai 9,3 miliardi del 2008. Il salvataggio della Grecia, comunque, è costato caro all’Italia: 35,4 miliardi di euro, tre volte l’esposizione delle nostre banche nel 2008.

La Germania, con il suo ministro delle Finanze, anche stavolta non ha perso l’occasione per fare la voce grossa contro la Grecia: se è giustamente preoccupata per la preannunciata richiesta di moratoria sul debito di Atene, lo è sicuramente ancor più per quanto riguarda la tenuta complessiva dell’intera economia ellenica e per i crediti delle banche tedesche. Come già nel 2008, anche stavolta si sono spinte forse un po’ troppo in là con la Grecia. Non hanno cambiato il pelo né tantomeno il vizio: sono abituate a rischiare grosso, ma non hanno paura delle perdite. A ripianarle, nel caso, ci penserà ancora una volta «Mutti» Angela (Merkel). Prevedibili imprevisti: la colpa, comunque, è dei greci.