Paolo Tomaselli, Corriere della Sera 30/12/2014, 30 dicembre 2014
VERRATTI: OK, LA SCELTA È GIUSTA
Lui non torna, non ci pensa nemmeno. È partito da Manoppello e sta conquistando Parigi. Marco Verratti, andare via dall’Italia l’ha legata di più alla sua terra?
«Sì, anche se vivo in una città bellissima non cambierei mai il mio Paese con nessun altro posto al mondo».
Le manca la A, dove non ha mai giocato, o forse è alla serie A che manca Verratti?
«Per me adesso il calcio è qualcosa di più internazionale. E non mi lamento: sto in una delle società più importanti del mondo».
Qualcuno dei suoi parenti era partito da Manoppello per le miniere del Belgio?
«No, ma sulla piazza intitolata ai caduti di Marcinelle ho iniziato a giocare a calcio. I miei parenti avevano scelto la Svizzera, mia madre è nata là. Ma so bene quanto ha sofferto questa terra, anche nell’ultimo terremoto».
I ragazzini italiani pensano davvero troppo ai videogiochi come ha accusato il c.t. albanese De Biasi?
«Per me esisteva solo il calcio. Anche il giorno di Natale, uscivo a giocare vestito a festa e tornavo sporco, sudato e magari coi pantaloni strappati. Ma mi rendo conto che la società cambia in fretta».
Prima di Natale è stato in ospedale per una visita speciale?
«Sì, ho perso un amico quattro anni fa per la leucemia. E ogni volta che ritorno vado all’ospedale dove c’era lui e porto dei regali ai bambini malati».
Nella sua crescita ha contato di più il talento o la fame?
«Ho fatto molti sacrifici. Ma per me andare in gita scolastica e perdere un allenamento era impensabile».
Nel 2014 è migliorato in tutto: duelli vinti (8,6 invece di 6,5), precisione dei passaggi (92,2% contro 91,5%), palloni toccati (116 a 110). Si sente cresciuto?
«Sì, perché quando giochi con grandi campioni e per una società così forte, dipende tutto da te. Io faccio di tutto per crescere e ci sono i presupposti per migliorare ancora molto».
Se pensa a chi le diceva «ma dove vai», oggi cosa gli risponderebbe?
«Io stesso la pensavo così, è normale: quando ho sentito del Psg pensavo fosse uno scherzo, perché quando non ti confronti con certi giocatori pensi che tu non potrai mai arrivare a quei livelli. Non era facile adattarsi e riuscire a giocare così tanto, ma adesso posso dire che ho fatto la scelta giusta. Ed è una grande vittoria personale».
Nel 2014 ha giocato il suo primo Mondiale. È stata una delusione?
«Il mio sogno da bambino era fare il Mondiale. Ce l’ho fatta, ma allo stesso tempo è stata una delle delusioni più grandi, perché nessuno si aspettava che uscissimo al girone».
Da Prandelli a Conte. Verratti diventerà fondamentale anche per la Nazionale?
«In azzurro è un po’ diverso dal club, perché è difficile trovare sempre delle gerarchie ben definite. Ma so che se il mister mi chiama è perché punta su di me».
A volte si sente sottovalutato?
«Penso di no, perché se ho davanti Pirlo o De Rossi che hanno fatto la storia, non c’è nulla di strano se devo guadagnarmi il posto, piano piano. Anche guardarli giocare per me è un momento di crescita».
In Champions ritrovate come un anno fa il Chelsea di Mourinho che vi aveva eliminato ai quarti. Che ne pen- sa?
«Affrontare una squadra così agli ottavi può essere anche un vantaggio, perché se passi il turno hai grandissima fiducia e puoi arrivare fino in fondo».
Ancelotti diceva che per capire Verratti bisogna vederlo accanto a Ibrahimovic: ovvero la faccia tosta di un ragazzo a suo agio tra i grandi campioni. Si rivede in questa immagine?
«Sì, ma il merito è stato dei miei compagni che mi hanno fatto sentire a casa. A me, che venivo dal Pescara e li vedevo solo in tv...».
Per il 2015 potrebbe essere un obiettivo emulare Pogba ed entrare nella lista dei 20 candidati al Pallone d’oro?
«Sicuramente, vorrebbe dire che sto facendo davvero bene. Come i più forti al mondo».
Si sente inferiore a Pogba?
«Facciamo due ruoli un po’ diversi e lui è molto più decisivo di me. Fa molti gol e per i prossimi dieci anni sarà tra i più forti. Io ci sto lavorando».
Pogba ama il ballo, lei che passioni ha?
«Il timballo di mia nonna! Quando torno a casa, anche se sono le 5 del pomeriggio me lo fa trovare pronto».
Se non avesse fatto il calciatore...
«Mi sarebbe piaciuto fare il barista».
Come durata e soldi del contratto (20 milioni per 5 anni), lei è il giocatore italiano che oggi vale di più. Sente la responsabilità?
«Sì ed è giusto che sia così: siamo ragazzi fortunati e dobbiamo essere d’esempio, per chi vorrebbe essere al nostro posto, per i soldi che guadagniamo e per chi ci viene a vedere».
Di lei si dice che rischia troppo con i passaggi. Ma cosa è per lei il rischio?
«Qualcosa che riguarda mestieri più delicati del nostro: non credo che lo sia un dribbling al limite del area. Ho sempre avuto la fortuna di pensare al calcio come un divertimento e se mi devo preoccupare di quello che mi dicono e fare il compitino, allora può darsi che mi passi pure la voglia di giocare. So che se sbaglio mi tirano le orecchie, ma vale la pena provarci sempre».
Oggi giocate contro l’Inter. L’ha sorpresa la crisi nerazzurra?
«Un po’ sì. Ma con Mancini mi sembra che siano cambiate un po’ di cose: possono ancora arrivare terzi».
Ancelotti la voleva al Real. Era solo un abboccamento?
«Mi sento molto spesso con lui e lo ringrazierò tutta la vita. Ma queste sono trattative difficili. Un giorno mi piacerebbe essere di nuovo allenato da Ancelotti, però penso che non sia ancora il momento giusto».
Nel ruolo di padre di Tommaso come si trova?
«È la cosa più emozionante che mi sia mai capitata. Basta vederlo sorridere e non penso più a niente. Quando sto con lui mi sembra di avere tutto».
Però, ora che si è portato l’attrezzatura per cucinare gli arrosticini a Parigi, chi viene a trovarla deve per forza portarle la carne?
«Certo. Altrimenti non lo faccio entrare!».