Notizie tratte da: Wendy Lower # Le Furie di Hitler # Rizzoli 2013 # pp. 343, 22 euro., 29 dicembre 2014
Notizie tratte da: Wendy Lower, Le Furie di Hitler, Rizzoli 2013, pp. 343, 22 euro.Vedi Libro in gocce in scheda: 2324884Vedi Biblioteca in scheda: 2301857Voto Le donne tedesche votarono per la prima volta nel 1939
Notizie tratte da: Wendy Lower, Le Furie di Hitler, Rizzoli 2013, pp. 343, 22 euro.
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Voto Le donne tedesche votarono per la prima volta nel 1939. Fino al 1908 erano bandite da ogni attività politica.
Perseguitate Nel 1933, pochi mesi dopo l’ascesa di Hitler, si contavano circa 8mila donne perseguitate. Erano perlopiù comuniste, socialiste, pacifiste o asociali.
Asociali Le asociali erano vagabonde, ladruncole, prostitute, insomma donne che «insudiciavano la strada». Prima venivano arrestate, poi sterilizzate e infine uccise. Dei 400mila tedeschi non ebrei che subirono la sterilizzazione la metà erano femmine.
Formazione La Croce Rossa tedesca addestrò 640mila donne nel corso dell’epoca nazista. Di loro circa 400mila prestarono servizio durante il conflitto. Le forze armate ne formarono 500mila a compiti di supporto, quali trasmissioni radio, registrazione dei voli, intercettazioni; la metà di loro fu attiva durante la seconda guerra mondiale.
Genocidio Le legioni di segretarie che assicuravano il funzionamento della macchina del genocidio avevano tra i 18 e 25 anni. L’età media delle guardie femminili nei campi di concentramento era di 26 anni ma la più giovane ne aveva appena 15. Della stessa generazione erano le infermiere che praticavano le iniezioni letali. Le amanti e le mogli dei membri delle SS dovevano essere in età fertile per garantire una prole ariana.
Volantini Il caso di Mina Cammens, parlamentare socialdemocratica uccisa dalla Gestapo durante un interrogatorio. Aveva distribuito volantini antinazisti.
Morigen La casa di correzione di Moringen fu trasformata nel primo campo del Reich per raccogliere tutte coloro che non vedevano in Hitler il loro salvatore. Il numero di guardie femmine aumentava man mano che si incrementava quello delle detenute. Non meno di 3.500 donne vennero addestrate. L’uniforme era bella, la paga era buona e l’idea di avere un po’ di potere era allettante. Tuttavia dopo l’addestramento quasi tutte perdevano la loro umanità.
Donna «Ciò che l’uomo offre in eroismo sul campo di battaglia, la donna lo eguaglia con infinita perseveranza e sacrificio, con infinito dolore e sofferenza. Ogniqualvolta mette al mondo un figlio, combatte una battaglia per l’esistenza del suo popolo… La comunità nazionalsocialista del Völk è fondata su solide basi proprio perché milioni di donne sono diventate nostri camerati più devoti e fanatici» (Hitler, al congresso del Partito nazista a Norimberga nel 1934).
Uomo «Soltanto l’uomo dev’essere e rimanere giudice, soldato e guida dello Stato» (Alfred Rosenberg, ideologo del Partito nazista).
Gioventù Già a 10 anni le bambine dovevano aderire alla vita politica frequentando la Gioventù hitleriana.
Trucco Il partito era contro la cosmesi. La bellezza doveva essere pura, il colorito di una donna dipendeva dall’esercizio fisico, non da un prodotto. All’allenamento si accompagnava un abbassamento del livello culturale. Non si insegnava più il latino ma si davano consigli su come scegliere marito. A partire dagli anni Trenta lo stato esigeva ovviamente che il Mein Kampf venisse usato per insegnare «l’essenza della purezza del sangue».
Mein Kampf Ogni coppia che si sposava riceveva in dono una copia del Mein Kampf.
Pogrom Durante il pogrom [la sollevazione popolare contro le comunità ebraiche meglio nota come la notte dei cristalli, ndr] del novembre del 1938 il bilancio ufficiale parla di 91 vittime ma lo storico Richard Evans ha stimato una cifra che va dai mille ai duemila morti di cui 300 suicidi.
Madre «Nel mio Stato, la madre è il cittadino più importante» (Hitler)
3K Kinder, küche, Kirche – bambini, cucine e chiesa – lì dove il partito voleva ricacciare le donne adulandole.
Subumani Secondo il Piano generale per l’Est, circa 35milioni di slavi «subumani» dovevano essere deportati e sterminati per fare spazio ai coloni tedeschi. Quelli rimasti avrebbero servito i nuovi padroni.
L’Operazione Fieno Il piano di rapimenti di bambini ariani della campagne autorizzato dallo stato. Questi piccoli biondi dagli occhi blu sequestrati sarebbero poi cresciuti con donne sterili. Il numero di bambini rapiti viene stimato tra i 50 e i 200mila. A capo di questa operazione c’era Himmler.
Insegnanti Ingelene Ivens, insegnante, che sognava di esercitare all’estero, all’Aia o Parigi, e si ritrovò assegnata all’amministrazione della scuola pubblica, per soli tedeschi, di Reichelsfelde, distretto di Pozen (Polonia). Per quanto fosse delusa arrivò a Posen in treno e poi, dopo una ventina di chilometri in bicicletta, raggiunse la scuola. Allo scoppio della guerra 2.500 donne tedesche si occupavano dell’educazione di bambini di razza ariana nell’Est nazista.
Sassate Un giorno Ingelene Ivens guardò fuori dalla finestra e rimase sconvolta perché vide i suoi alunni urlare contro due bambini ebrei smunti e spaventati, fuggiti da un campo vicino. Un ragazzino cominciò a prenderli a sassate mentre scappavano.
Aiuto Quella volta che una bambina ebrea di sette anni si avvicinò a Josefine Block, piangendo e implorando per la propria la vita. E lei le rispose: «Ti aiuterò!». Poi la agguantò per i capelli e la prese a pugni, la spinse a terra e le calpestò la testa. Dopo la madre della bimba sollevò tra le braccia il piccolo corpicino ormai senza vita, tentando invano di rianimarlo.
Carrozzina La Block vista usare la carrozzina del suo piccolo per investire gli ebrei che incontrava nelle strade di Drohobyc.
Sarta Regina Katz, che era stata la sarta personale della Block a Drohobyč, fu una delle testimoni che la accusarono. Si era rivolta alle autorità per ritrovare la figlia. Quando gli ebrei del ghetto erano stati sterminati nel 1943, lei e sua figlia avevano rischiato la vita. La Block aveva tenuto la Katz al proprio servizio, ma non la bambina, che all’epoca aveva solo un anno.
Vittima La Block, sedicente amica degli ebrei – sostenne che la vera assassina era l’accusatrice ebrea, la sua ex sarta: costei, spiegò, aveva abbandonato la figlia – una bambina di un anno – nel ghetto per salvarsi la pelle. E questa spudorata strategia di difesa fu presa sul serio in quell’aula del tribunale di Vienna nel 1949, e la Block fu assolta.
Acqua Quella volta che, nella cittadina ucraina di Bucac, la moglie di un sovrintendente agricolo notò che l’acqua aveva un strano sapore e si rese conto che i cadaveri degli ebrei avevano inquinato la falda acquifera.
Odio «L’odio è nobile» (così un’educatrice alla sua allieva infermiera a Erfurt).
Accoppiamento Heinrich Himmler, nominato da Hitler nel 1939 Commissari del Reich per il rafforzamento della germanicità, dettava regole in materia di sangue e non. Con lui il rapporto sessuale divenne una forma di accoppiamento razziale che doveva essere approvato dallo Stato Nazione. Ogni coppia formata da un Ss e da una sua aspirante sposa doveva presentare richiesta di autorizzazione al matrimonio. In allegato doveva esserci l’attestato di origine ariana, con tanto di genealogia risalente almeno al 1750, quello di fedeltà ideologica, di forma fisica e di fertilità.
Corpi Capitava sovente di vedere corpi di ebrei appesi a pali o balconi a Charkov, Kiev, Minsk e ÿytomyr. Per non guardarli, e per timore che potessero caderle addosso, a ÿytomyr Erika Ohr, infermiera, camminava all’interno dei passaggi pedonali, vicino agli ingressi delle case e lontano dalla strada.
Ohr Verso la fine della guerra, la Ohr si era ormai abituata a curare e seppellire i soldati tedeschi. Ma era meno preparata a occuparsi dei civili infermi. Tra i feriti e i malati, c’erano donne, bambini e anziani di etnia tedesca, che affollavano un ospedale allestito in una ex scuola, nei pressi di Brünn (l’odierna Brno, nella Repubblica Ceca), che si trovava ad affrontare un’epidemia di morbillo. Ogni notte morivano dei bambini tedeschi. La Ohr non sapeva bene che cosa fare dei piccoli corpi senza vita. Finché, vicino alla stanza principale, la donna non scoprì una stanza piena di ganci: era il guardaroba, dove fino a qualche settimana prima gli alunni avevano lasciato le giacche e gli stivali. La Ohr decise di appendere i bambini morti ai ganci.
Refurtive Il personale che lavorava nei territori occupati era solito inviare treni carichi di merci rubate alle famiglie in Germania e in Austria – casse di uova, farina, zucchero, indumenti e suppellettili. Le tedesche furono tra le principali artefici e beneficiarie di queste refurtive, un ladrocinio non perdonato dal regime poiché gli averi degli ebrei erano ufficialmente proprietà del Reich. Alcuni saccheggiatori, tra cui delle donne, vennero puniti e persino giustiziati per aver derubato il Reich.
Bottino La moglie di un poliziotto, a Varsavia, accumulò così tanta roba rubata agli ebrei da non avere più spazio per nasconderla; perciò non fece altro che ammassare il bottino all’aperto, attorno alla casa; un’altra a Leopoli aprì un negozio, nella stessa via in cui si trovava la centrale dove lavorava il marito funzionario di alto rango, per vendere il frutto delle sue razzie.
Uccidere «Non avrei mai commesso un furto. So che non bisogna farlo. In quel brutto periodo [gli anni della Depressione prima della guerra] facevo la commessa, e a quei tempi avevo molte occasioni per farlo. Ma non ho mai fatto una cosa del genere, semplicemente perché sapevo che non era permesso. Sin da bambina ho imparato che non si deve rubare. Somministrare farmaci allo scopo di uccidere una persona malata di mente, invece, lo consideravo un mio dovere, qualcosa che non potevo rifiutarmi di compiere» (così un’infermiera del genocidio).
Eutanasia L’operazione Reinhardt, il programma nazista di eutanasia per eliminare da 1,7 a 2.000.000 di ebrei polacchi (e di altre nazionalità) nelle camere a gas di Bełzec, Sobibor e Treblinka, produsse uno dei più grandi depositi di beni depredati dell’Europa occupata.
Reinhardt A capo dell’operazione Reinhardt c’era il generale delle Ss Odilo Globocnik, circondato dalle sue «signore».
Killer Pauline Kneissler, meglio nota come l’infermiera killer. Nata in Ucraina nel 1900, riparò in Germania per sfuggire ai bolscevichi. Diplomata infermiera nel 1920 a Duisburg, riuscì ben presto a trovare lavoro in una casa di cura di Berlino. Attivista nazista dal 1937, amava cantare nel coro di una chiesa protestante.
Professionista Nel 1939, Pauline Kneissler finì per far parte dell’operazione di eutanasia e venne spedita, con una ventina di colleghe, nel castello di Grafeneck, vicino Stoccarda. Era solita andare negli istituti circostanti e prelevare una settantina di pazienti per portarli a Grafeneck dove, nel giro di 24 ore, venivano gasati e cremati. Le ceneri venivano mischiate e poi divise in urne singole da rispedire ai familiari. Nel 1940 con questo sistema vennero sterminate 9.839 persone. La Kneisless era diventata una professionista: collaborava alla gassazione, somministrava iniezioni letali o più semplicemente lascia morire di fame i suoi pazienti. Così entrò a far parte di un’unità speciale di killer approvata da Hitler.
Hanweg L’8 maggio del 1942, a due chilometri da Lida, 5670 ebrei furono costretti a spogliarsi e inginocchiarsi davanti a una fossa, e poi vennero abbattuti. Una squadra di lavoratori ebrei ricoprì di calce viva e terra i cadaveri. Poi Hermann Hanweg, commissario del distretto, e il suo vice, obbligarono gli operai, che avevano appena seppellito i loro cari, a inchinarsi e a ringraziare per essere stati risparmiati.
Meier Tra le amanti di Hermann Hanweg, la segretaria ventunenne Liselotte Meier. Quest’ultima fu costretta dal suo capo e amante Hermann Hanweg a stare vicino alla famiglia di lui. Tanto che i bambini la chiamavano «vice mamma» mentre la moglie l’aveva soprannominata «Brutus».
Parrucchiere Alle officine del ghetto, per compiacere Hanweg, un gruppo di artigiani ebrei realizzò un elaborato trenino elettrico per il compleanno di suo figlio. Il commissario ricevette in regalo anche una serie di anelli, uno per ciascun componente della famiglia. I lavoratori ebrei soddisfacevano qualunque richiesta della Meier e di Hanweg, costruendo una piscina per il loro tempo libero, ristrutturando una villa e servendo loro squisitezze post-coito mentre erano distesi nudi a letto. La segretaria-concubina di Hanweg divenne anche la sua confidente. Lui le consentiva libero accesso al suo ufficio, dove venivano custoditi gli ordini più segreti e lei poteva firmare ordini di lavoro. Per un ebreo, infatti, l’unico modo per non finire nelle fosse comuni, a parte la fuga o il suicidio, era garantirsi un posto di lavoro. Il commissario e il suo staff avevano l’autorità di certificare chi era ebreo e chi no. Per cui la Meier poteva decidere chi doveva essere ucciso e chi invece risparmiato: e lei ne salvò ripetutamente uno, il parrucchiere che andava a farle i capelli nel suo alloggio privato.
Rapporti Per molte coppie la violenza dell’Olocausto faceva parte delle dinamica del loro rapporto. Naturalmente, queste relazioni non causarono l’Olocausto, ma furono parte integrante del terrore che gli ebrei e le loro famiglie guardavano in faccia tutti i giorni nei ghetti, nei campi e nei luoghi delle fucilazioni di massa.
Processi Al culmine dei procedimenti giudiziari in Germania e in Austria – cioè nel primo decennio dopo il conflitto – 26 donne furono condannate a morte per i crimini commessi in strutture mediche e campi di concentramento. Con un’unica eccezione famosa (la poliziotta delle Ss che aveva messo Anna Frank e la sua famiglia sulla lista di deportazione per Auschwitz), le tedesche non furono perseguite dopo la guerra per il loro ruolo di esecutrici dell’Olocausto negli uffici della Gestapo e negli avamposti regionali nell’Est o nei territori occupati.
Ferri Erna Reichmann, segretaria del commissario distrettuale di Slonim (Bielorussia), salvò da una colonna di 2000 ebrei in marcia verso la fucilazione solo una donna, perché «non aveva ancora finito il maglione che doveva farle ai ferri».
Caccia Quella domenica in cui i funzionari di alto rango, tra questi anche Hanweg e la Meirm sbronzi, diedero la caccia agli ebrei, mandati nella foresta per stanare i conigli. Dalle carrozze, accompagnati da mogli e amanti impellicciate, c’era chi li frustava e chi gli sparava. «Erano diventati facili bersagli che davano immediata gratificazione a tiratori inesperti, sovente ubriachi. Pochi fortunati schivarono i proiettili e trovarono riparo nella foresta, mimetizzandosi nella vegetazione. La Meier non poteva immaginare che, un ventennio più tardi, gli ebrei di Lida sarebbero riapparsi per identificarla e accusarla».
600mila Alla fine del 1941, queste squadre della morte avevano ucciso più di 600.000 ebrei sovietici.
Investigatore Georg Heuser, ex studente di legge, investigatore professionista e navigato killer dell’Einsatzgruppe A. In seguito, sarebbe stato condannato da un tribunale tedesco occidentale per l’assassinio di 11.103 persone.
Langefeld Himmler era convinto che «un campo femminile deve essere diretto da una donna». Così Johanna Langefeld fu la prima donna nominata sorvegliante capo delle SS di stanza Birkenau: fu lei ad accoglierlo occasione della sua visita ad Auschwitz il 18 luglio 1942.
Stermini Moglie, amanti e segretarie dei funzionari di alto rango solite dare feste nei luoghi degli stermini. E quando assistevano a una deportazione o a una fucilazione spesso veniva servito loro caffè e pasticcini.
Pacifico Vera Stähli, che in seconde nozze sposò un ufficiale della Ss, Julius Wohlauf, comandante di una delle compagnie protagoniste del massacro di Miedzyrzec Podlaski, il 25 e il 26 agosto 1942, che dopo aver assistito, incinta di due mesi, alla deportazione di 11.000 di cui più di 950 giacevano ormai cadaveri sparpagliati in mezzo alle strade, descrisse la scena come un «insediamento pacifico, dall’atmosfera quasi idilliaca nel campo di lavoro situato a Oriente».
Accusa Vera Wohlauf non finì sotto indagine. Non esistevano prove chiare che avesse ucciso o contribuito a uccidere. Julius Wohlauf, che aveva continuato a far carriera nella polizia di Amburgo dopo la guerra, fu arrestato nel 1964 e quindi condannato a otto anni di carcere per favoreggiamento nello sterminio di oltre 8.000 ebrei in Polonia. Vera, tuttavia, dichiarò di non aver avuto assolutamente la minima idea di questi fatti durante la guerra o almeno finché suo marito era stato arrestato. Dopo il conflitto, i crimini di Liesel Willhaus non passarono inosservati: fu una delle 16 persone incriminate per la strage di oltre 400.000 ebrei nella regione di Leopoli. Lei e Fraulein Hanna furono tra le pochissime naziste a essere accusate di omicidio nella Germania occidentale.
Assassina La prima assassina di massa nazista non fu una guardia dei campi di concentramento, ma un’infermiera.
Umani Con il sostegno di Hitler, équipe di medici e tecnici esperti svilupparono nuove competenze in materia di genocidio, che applicarono a sempre più vaste operazioni di sterminio nei territori orientali più remoti. Tra la fine del 1941 e l’inizio del 1942, scienziati, ingegneri, «fuochisti dei crematori», autisti e personale medico vennero trasferiti in Bielorussia e in Polonia per mettere in pratica i metodi di gassazione dapprima testati sui prigionieri di guerra sovietici e poi utilizzati contro gli ebrei a Bełzec, Sobibór e Treblinka. Gli esseri umani diventarono carichi, cavie, e ceneri.
Medico Il medico di Hitler, il dottor Karl Brandt, co-responsabile del programma di eutanasia nel Reich, fu promosso alla carica di commissario generale per la Sanità.
Meseritz Nel 1942, lo staff di Hitler che si occupava del programma di eutanasia organizzò le deportazioni di pazienti del Reich in un ospedale psichiatrico di Meseritz-Obrawalde, una cittadina sul confine tra Germania e Polonia. Tra il 1942 e il 1944 vi giunsero pazienti da 26 città tedesche. Tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944 si contavano 407 pazienti handicappati: 213 uomini, 189 donne e 5 bambini. In pochi sopravvissero. Meseritz avrebbe dovuto ospitare 900 pazienti, ma durante la guerra. Nell’edificio erano ammassate 2.000 persone, soggette a vessazioni simili a quelle di un campo di concentramento. Medici e infermieri uccidevano i pazienti sordomuti, malati, ostruzionisti, indisciplinati, e chiunque altro semplicemente disturbasse, come pure quelli che erano scappati o quelli sorpresi in relazioni sessuali sgradite. Secondo le stime, a Meseritz morirono tra le 6.000 e le 18.000 persone.
Bersaglio Il 30 settembre 1941, Wilhelm Westerheide, un omuncolo dalla vista acuta, da poco insediatosi come commissario regionale a Vladimir-Volynskij, si divertiva a fare il tiro al bersaglio contro degli ebrei intenti a caricare dei fusti di carburante nella stazione ferroviaria.
Fucilazioni Nell’estate del 1942 e nell’autunno del 1943, ondate di fucilazioni di massa condotte dai tedeschi ridussero il numero degli ebrei da 20.000 a circa 5.000
Tappetino Johanna Altvater, l’ambiziosa segretaria d’azienda di Minden, era una giovane ventiduenne quando arrivò a Vladimir-Volynskij, sul confine ucraino-polacco, al servizio di Wilhelm Westerheide. Il 16 settembre 1942, avvicinò due bambini ebrei, uno di 6 anni e l’altro ai primi passi, che abitavano vicino al muro del ghetto. Fece loro un cenno, come se volesse offrigli qualcosa. Il più piccolo le andò incontro. Lei lo sollevò tra le braccia, e lo strinse così forte che il bimbo prese a strillare e a dimenarsi. Afferrandolo per le gambe, Johanna lo capovolse e gli sbatté la testa contro il muro, come se fosse un tappetino impolverato. Poi gettò il corpicino senza vita ai piedi del padre, che in seguito raccontò: «Non avevo mai visto un tale sadismo da parte di una donna, non me lo dimenticherò mai».
Balcone In un ospedale di fortuna, la Alvater, assieme a Keller, un suo amico, fece irruzione nel reparto dove si trovavano i bambini. Lì passò in rassegna, di letto in letto. A un certo punto si fermò, ne sollevò uno, lo portò sul balcone e lo gettò di sotto. Poi fece uscire i bambini più grandi sul balcone del reparto e spinse anche loro nel vuoto. Non tutti morirono per l’impatto, ma quelli che sopravvissero rimasero gravemente feriti. Keller ordinò poi all’infermiera ebrea, Michal Geist, di scendere in strada e verificare che i bambini che giacevano immobili fossero davvero morti. I feriti e gli altri bimbi furono messi su un camion.
Maschio La Alvater, nota per la sua cattiva abitudine di uccidere i bambini, era solita attirarli con una caramella. Quando le si avvicinavano e aprivano la bocca, lei gli sparava in gola con la piccola pistola color argento che teneva sul fianco. Johanna non andava molto d’accordo con le altre donne di stanza in città, non avevano molta stima di lei, perché se ne andava sempre in giro impettita nella sua uniforme bruna del Partito nazista e si comportava come un vero maschio. Era di corporatura robusta e portava i capelli tagliati cortissimi. I sopravvissuti ebrei e i testimoni tedeschi ricordavano i suoi tratti mascolini, che associavano al suo comportamento aggressivo.
Piatydny Dal ghetto di Vladimir-Volynskij, gli ebrei furono trasportati nei campi di Piatydny, dove scoprirono delle grandi fosse a forma di croce. I lavoratori ebrei che erano stati portati laggiù in precedenza erano poi stati costretti a scavare le proprie tombe. Quindicimila ebrei vennero fucilati in quel luogo.
Banchetti Westerheide, Keller e altri luogotenenti, erano soliti banchettare in compagnia di alcune donne tedesche. Tra queste Johanna Alvater. Di tanto in tanto, uno di loro si alzava dal tavolo, andava a sparare a qualche persona, e poi tornava al festino.
Baracche I 3.000 ebrei che sopravvissero furono stipati in piccole baracche dietro recinti di filo spinato. Costretti a dormire in più di uno per letto o sul pavimento, senza nulla per riscaldarsi, ricevevano una razione giornaliera di cibo pari a non più di 390 calorie, ossia meno di un etto di pane (circa tre fette); non era sufficiente a tenere lontane le malattie, e infatti nel ghetto scoppiò un’epidemia di tifo.
Burrone Quella volta che Erna Petri, moglie di Horst, un Untersturmführer delle Ss, solito picchiare braccianti e abusare sessualmente delle domestiche, non volle sfigurare davanti al marito. E quando incontrò un gruppetto bambini terrorizzati e se li portò a casa sua. Diede loro da mangiare qualcosa ma dato che il marito non rincasava, prese la pistola d’argento che le regalò il padre, condusse i bambini vicino a una fossa, e poi gli sparò uno dopo l’altro, finché non caddero tutti nel loro burrone.
Altezza Erna Petri non negò i suoi omicidi ma si difese affermandosi vittima, attribuì i suoi atti alle circostanze dell’epoca, non ultima l’influenza del marito, che senza dubbio era un individuo brutale: «A quei tempi, quando sparai a quelle persone, avevo appena 25 anni, ero ancora giovane e inesperta. Vivevo solo per mio marito, che faceva parte delle Ss ed eseguiva le fucilazioni degli ebrei. Di rado avevo contatti con altre donne, così durante quel periodo divenni più dura, insensibile. Non volevo stare indietro rispetto agli uomini delle Ss. Volevo provare loro che, come donna, potevo comportarmi come un uomo. Perciò ammazzai quattro ebrei, e sei bambini ebrei. Volevo dimostrarmi all’altezza degli uomini» (Erna Petri).
Condannata Erna Petri fu tra le poche tedesche – forse l’unica – a essere condannata per aver sparato agli ebrei. Fu una delle 12.890 persone che finirono sotto processo per crimini di guerra nazisti e per crimini contro l’umanità nella Germania orientale tra il 1945 e il 1989.
Janowska Nella primavera del 1942, Liesel Willhaus, la figlia cattolica di un operaio metallurgico della regione della Saar, giunse a Leopoli insieme alla figlia. Andò ad abitare nel campo di Janowska, di cui il marito, l’Untersturmführer delle Ss Gustav Willhaus, era stato nominato comandante. Liesel e Gustav abitavano una villa ai margini del campo di transito e lavoro forzato. A Janowska all’incirca 300.000 ebrei ucraini e polacchi morirono, altri vi transitarono prima di essere inviati a Bełzec nel campo di lavoro forzati.
Balcone 2 Gustav Willhaus, noto come il sanguinario comandante del campo, era un assassino nato. Uccideva senza esitare, ma anche senza particolare entusiasmo. Ammazzava le sue vittime come un trinciapaglia. La moglie Liesel si procurò una schiera di schiavi ebrei, che controllava dal balcone e quando gli ospiti venivano a trovare la famiglia Willhaus, e si sedevano nella spaziosa veranda della loro sfarzosa dimora, lei metteva in mostra la sua abilità di tiro sparando ai detenuti del campo per il diletto dei suoi ospiti mentre la figlioletta, Heike, applaudiva entusiasta.
Flobert1 L’arma preferita di Liesel era un Flobert, un fucile francese per il tiro da sala apparentemente costoso, ma in realtà piuttosto economico da produrre.
Flobert2 I fucili Flobert all’epoca erano molto diffusi e utilizzati di norma per esercitazioni di tiro al bersaglio. Era il classico esempio di arma domestica.
Generale Felix Landau era tristemente noto per le sue crisi di follia omicida. Una delle stragi più sanguinose di cui si macchiò fu quella del novembre del 1942, quando lui e i suoi uomini uccisero più di 200 ebrei, tra cui eminenti intellettuali e professionisti, come un professore ebreo di nome Szulc e il dottor Loew, dentista personale di un sergente della Gestapo. Landau era anche il famigerato generale degli ebrei, come lo chiamava la popolazione, che diresse massacri sin dai primi giorni dell’occupazione e durante il 1942 e 1943, riducendo gli abitanti ebrei da oltre 15.000 a qualche centinaio entro la fine del conflitto.
10% In una società pacifica, le donne commettono in media circa il 14 per cento di tutti i crimini violenti e più o meno l’1 per cento degli omicidi. Nell’Est genocida la percentuale saliva al 10. Il numero stimato di killer femminili era intorno a 3.000.
Stupri Il ministro della Propaganda nazista, Joseph Goebbels, tentò di mobilitare le masse facendo appello alla loro determinazione (e paura) con immagini di soldati dell’Armata Rossa, dipinti come orde asiatiche, che stupravano selvaggiamente le donne tedesche. Queste spaventose raffigurazioni divennero realtà. I rapporti su stupri di massa furono confermati dai milioni di sfollati tedeschi che arrancavano verso ovest in un caotico, umiliante dietrofront. Il numero stimato di donne che subirono violenza – e certamente non tutte erano tedesche – varia da 100.000 a 2.000.000.
7 milioni Alla fine della guerra Robert Kempner e la moglie, Ruth Kempner, pubblicarono uno studio ufficiale intitolato Women in Nazy Germany. I due stimarono in 7.000.000 il numero di donne e ragazze che erano state indottrinate nel movimento. Sedici milioni erano state mobilitate dal Fronte del lavoro del Reich. Collocandole in categorie a seconda del loro livello di pericolosità pubblica, i Kempner determinarono che circa 600.000 di esse rappresentavano ancora un pericolo in quanto indottrinatrici e leader politicamente attive.
Trattamenti Erika Raeder, l’influente e schietta moglie dell’ammiraglio Raeder, nel disperato tentativo di tirare fuori di prigione il marito malato, giunse al punto di sostenere che «il trattamento che abbiamo dovuto subire noi tedeschi è stato peggiore di qualunque cosa sia capitata agli ebrei».
Cervelli Il criminologo del Diciannovesimo secolo Cesare Lombroso, noto per misurare i crani dei suoi soggetti per determinarne la condotta, affermava che le donne criminali avevano cervelli più piccoli ed erano insolitamente pelose, paragonandole a primati sottosviluppati.
Pene Sigmund Freud presentava la condotta deviante delle donne come radicata nel loro desiderio di essere uomini, una forma di invidia del pene. Un’altra discutibile teoria postula che le donne abbiano commesso più crimini di quelli documentati, poiché sono «per natura false e riservate. Prova di ciò sarebbe la loro abilità nel nascondere le mestruazioni e fingere l’orgasmo».
Sorelle Durante il processo di Norimberga, alcuni imputati vennero sottoposti a una serie di test psicologici di gran moda all’epoca, come quello delle macchie d’inchiostro di Rorschach. Uno psicologo che esaminò il Gruppenführer Otto Ohlendorf, comandante dell’Einsatzgruppe D, un seguace di Hitler e di Himmler, istruito e ben informato, il quale aveva confessato l’uccisione di oltre 90.000 uomini, donne e bambini, concluse che Ohlendorf doveva essere «un sadico, un pervertito o un folle», poiché parlava delle atrocità commesse in tono distaccato, senza battere ciglio. Quando il giudice gli chiese se avrebbe ucciso sua sorella, nel caso gli fosse stato ordinato di farlo, Ohlendorf rispose di sì.
Maniaca Ilsa, la maniaca sessuale del film Ilsa: She Wolf of the SS (Ilsa, la belva delle Ss)
Numeri 10 le incriminazioni di tedesche colpevoli o complici di omicidio durante fucilazioni di massa e stermini nei ghetti. 220 il numero di naziste tedesche inquisite per omicidio o complicità in omicidio nella Germania orientale, processate tra il 1945 e il 1990.
Compassione Sul banco degli imputati, Johanna Altvater Zelle si dipinse come una donna sensibile che aborriva la violenza. Ammise di aver assistito alle deportazioni, ma disse di aver solo sentito parlare delle fucilazioni. Cercando di suscitare la compassione della corte, asserì che durante la guerra era solo una giovane donna, una semplice segretaria che era stata mandata nell’Est. Questa immagine cozzava con gli articoli che descrivevano il ghigno sul suo volto mentre, in aula, ascoltava le deposizioni sull’assassina bionda che, armata di frusta, aveva costretto gli ebrei ad andare incontro alla morte. Nel 1979 assieme ad altri imputati fu assolta per insufficienza di prove.
Assoluzione Nel luglio del 1980, la Corte suprema federale (Camera d’appello penale) decise di riaprire il caso. Il giudice Pieper, osservò, non aveva valutato adeguatamente le prove, ignorando le dichiarazioni dei testimoni. Se fosse stato appurato che la Zelle era stata vista durante lo sterminio nel ghetto, asserì La Corte suprema mettendo in dubbio la logica della sentenza, e se la donna avesse ammesso di essere stata presente e il tribunale avesse dato per buona la sua confessione, sarebbe stato necessario concludere che si era trovata sulla scena di un crimine. Tuttavia, la corte non l’aveva interrogata abbastanza ma le prove non erano sufficienti. Nel dicembre del 1982, la Zelle e Weisterheide furono assolti per la seconda volta. Johanna morì a Detmold nel 2003, circa una settimana prima del suo ottantacinquesimo compleanno.