Flavio Vanetti, Corriere della Sera 28/12/2014, 28 dicembre 2014
RAVETTO: «ECCO PERCHE’ LO SCI ITALIANO È IN CRISI»
Claudio Ravetto, ex coach ed ex d.t. della Nazionale di sci, la Fisi è in austerità. «Ho sentito e mi dispiace: temo che certe politiche, per quanto necessarie a sistemare i conti, abbiano conseguenze sull’attività agonistica. Oltretutto, non è il solo problema».
Quali sarebbero gli altri?
«La Fisi è un minestrone. Manca una taratura degli obiettivi e la quantità predomina sulla qualità».
Che cosa intende?
«Prendo lo sci alpino. Dopo lo slalom maschile di Campiglio, l’Italia è la terza nazione come punti, praticamente alla pari degli Usa ( ndr : 1.970 contro 1.969; gli austriaci guidano con 3.961). Ma se guardiamo ai podi, è ottava. L’incidenza sul punteggio globale dei piazzamenti tra i primi tre, detto che per ora non abbiamo ancora vinto, è del 13 per cento».
L’indice di qualità, insomma, ci condanna.
«Mandiamo in pista molti atleti che valgono piazzamenti di ripiego. Se l’obiettivo per i Giochi 2018, in accordo con il Coni, è di trasformare in oro le medaglie minori vinte a Sochi, stiamo freschi: la direzione presa porta all’opposto».
Però può anche essere una sintesi rancorosa: non le hanno rinnovato il contratto.
«Con Flavio Roda ho lavorato bene e ricordo che sono stato io a caldeggiare la sua elezione alla presidenza. In estate ho presentato un piano, lui non l’ha accettato e ci siamo separati».
Ma anche la scorsa stagione c’era carenza di risultati.
«È vero e non ho mai detto che tutto succede perché non c’è più Ravetto. Ma quando due stagioni fa era stato impostato un certo tipo di lavoro, guarda caso i velocisti erano sbocciati: ogni tre gare c’era un podio».
Quindi l’errore è...
«Prima di tutto aver cancellato la ricerca: eravamo all’avanguardia e imitati, ora siamo fermi. E poi ingolfiamo le squadre di atleti plafonati o di veterani che non trovano senso nella logica di uno spogliatoio. Un veterano di 35 anni vuole correre nella Coppa del mondo? Paghi e lo iscriviamo».
Ma i giovani buoni ci sono?
«Oggi sono rari. È il tema dell’alto livello: l’asticella è stata collocata ancora più su, rischiamo di non vederla mai, a parte poche eccezioni. Allora, rischiamo. Creiamo scorciatoie per i possibili talenti: niente passaggi per le squadre minori, subito in Coppa del Mondo come è stato fatto con Paris. E gli altri? Nessuno li manda a casa: creiamo una “serie A”, un campionato italiano che tenga vivo il movimento; magari uno buono spunta pure da lì. Infine, pensando alla crisi dello slalom, si costruisca uno “scatolone” per reclutare e allenare».
Roda un anno fa prometteva gruppi selezionati.
«E dove sono mai finiti? Siamo l’unica nazione che riempie i contingenti. Ma spendendo i soldi a pioggia si evita anche di creare un centro studi che si occupi dello scouting: le Shiffrin o gli Hirscher non spuntano per caso...».
È stato però lanciato un progetto-scuola.
«Sì, per proporre dei temi in classe che porteranno un centinaio di ragazzi a trascorrere due giorni sugli sci, ospitati nelle caserme. Un mio amico in Piemonte ha lanciato un piano che ha visto la partecipazione di 12 mila ragazzi in un anno».
Tra quanto rialzeremo la testa?
«Paris è una realtà, Innerhofer tornerà al vertice. Dalle donne giungono segnali di rilancio: lasciamo lavorare Livio Magoni. Ma gli scalini sono duri. Per tutti, Paris è un numero 1: è giusto; però ora deve dimostrarlo».
Lei che cosa imputa in particolare a Roda?
«Di essere un accentratore e di essere prigioniero di vecchi schemi: non ha capito che questo sistema non produce più nulla».