Fabio Monti, Corriere della Sera 28/12/2014, 28 dicembre 2014
TONI, TANTI GOL E UN SOGNO: IL CALCIO AI CALCIATORI
A 37 anni, Luca Toni ha chiuso il 2014 a quota 300. Trecento gol da professionista, dalla C1 alla A, passando per la Bundesliga e Dubai, partendo dal Modena (1994-1995) fino al Verona (per ora). Con la Nazionale ha vinto il titolo mondiale nel 2006; in bacheca ci sono anche Bundesliga e coppa di Germania (nel 2008) più la promozione in A con il Palermo.
Toni si nasce o si diventa?
«Non sono nato fenomeno; se sono diventato un buon giocatore è perché ho cercato di migliorarmi. La svolta è arrivata alla Lodigiani con Guido Attardi, che purtroppo non c’è più. È stato il primo allenatore a darmi un po’ di importanza».
Il gol più strano?
«In semirovesciata, ai tempi del Vicenza contro il Bologna».
Trecento gol: il più brutto?
«L’unico segnato con l’Empoli, nella mia prima stagione in B. Mi hanno tirato addosso, la palla ha sbattuto sull’esterno ed è finita dentro».
Il difensore più forte?
«Nesta perché con lui potevi fare solo figuracce. Ti anticipava e andava via con la palla senza che te ne accorgessi».
Trecento gol sono tantissimi; 31, con tanto di Scarpa d’oro in un campionato solo con la Fiorentina sono una valanga. Come si fa?
«Ti deve andare tutto bene: a Firenze avevo una squadra che giocava per me. Non ho avuto neanche un raffreddore e ogni volta che toccavo la palla, facevo gol. E sono tante le 21 reti con il Verona di un anno fa, giocando in una neopromossa».
Berlino è la città della vita?
«Ho giocato due finali e le ho vinte. Nel 2008, la Coppa di Germania, segnando due gol. Il 9 luglio 2006, c’era stata Italia-Francia, la notte del Mondiale, il massimo per un giocatore. Ancora oggi penso a quanto eravamo forti nel 2006: avevamo una Nazionale in cui tutti i giocatori erano titolari nelle grandi squadre. Ha ragione Conte a fare certi discorsi...».
Tra i rimpianti, c’è quello di essere arrivato alla Juve al momento sbagliato?
«Forse sono arrivato un po’ tardi; forse potevo dare qualcosa in più. Sarei rimasto volentieri, hanno fatto altre scelte».
Quanto ha sperato di andare al Mondiale?
«Ci credevo, perché Prandelli convocava gente mai stata prima in Nazionale. Un conto è se punti su un gruppo come aveva fatto Lippi in Germania, ma se restano aperte le porte a tutti, i discorsi cambiano».
Il 14 dicembre, a Udine, dopo il 300° gol, ha detto: se segniamo ancora io e Di Natale, significa che in Italia siamo messi male. In che senso?
«Nel senso che il calcio italiano ha perso punti rispetto agli altri campionati. Il ritmo è diverso, gli altri corrono a doppia intensità e troppo spesso si vedono brutte partite».
Idee per un calcio diverso?
«Puntare di più sui settori giovanili e sui giocatori italiani. Però il cambiamento dovrebbe essere radicale: qui i tifosi non possono andare in trasferta; se lo dici a un inglese o a un tedesco ti risponde: ma voi siete matti. Una delle cose più tristi è giocare a porte chiuse: sentire la voce del raccattapalle ti fa passare la voglia. È venuta l’ora di far governare il nostro mondo a chi è stato calciatore».
Nomi per la rivoluzione?
«Ad agosto c’era Albertini, ed era un ottimo candidato, ma penso a Vialli, a Del Piero, a Cannavaro, ad altri campioni. Gente che sappia quanto sia importante il settore giovanile, che conosca le esigenze dei giocatori, che si renda conto di quanto uno stadio fatto bene possa migliorare lo spettacolo. Lascerei fuori dal calcio la politica. È giusto che chi decide sappia di pallone».
Come spiega che la Germania corre in tutti i sensi a tripla velocità rispetto all’Italia?
«Sono stati bravi a fare impianti di proprietà, a creare intorno alla partita un’atmosfera di festa per attrarre le famiglie. Qui ci sono strutture bruttissime e si fa di tutto per allontanare le famiglie dagli stadi. Gli inglesi hanno risolto il problema della violenza, noi continuiamo a parlare di riforme che non vengono attuate».
Ha scelto il suo erede?
«Gabbiadini è un bel giocatore; Okaka non sta segnando tanto ma, quando inizierà a farà tanti gol, diventerà importante anche per una grande».
A giugno che cosa farà?
«Vedrò se avrò ancora voglia e che cosa mi verrà proposto. Allenarmi non mi pesa: altrimenti avrei già smesso».