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 2014  dicembre 29 Lunedì calendario

BRAIDA: CHE ANNI AL MILAN»

Seduto nel cuore di Brera, un anno dopo il grande addio al Milan, Ariedo Braida — il direttore generale dell’epopea berlusconiana — rivive i suoi 365 giorni lontano dai campi («li ho trascorsi all’insegna delle due grandi passioni della mia vita: ho studiato calcio e mi sono dedicato all’arte moderna»), parlando indifferentemente di terzini e di Transavanguardia, senza nascondere l’amarezza per le modalità di commiato dal club rossonero e un po’ di delusione per la sua avventura mai nata alla Samp.
Il 31 dicembre del 2013 si è chiusa, dopo 27 anni, la sua esperienza al Milan.
«Sono consapevole che con il tempo le storie finiscono. Però i modi e il garbo nel comunicare le decisioni sono importanti. Bisogna avere il rispetto della storia: penso alle vecchie glorie del Real Madrid che ancora conservano uffici nella sede del club».
Si sente una vittima della rivoluzione di Barbara Berlusconi?
«Dirò per tutta la vita grazie al Milan, al presidente e ad Adriano Galliani: sono orgoglioso di aver vissuto un momento storico straordinario. Tutto termina, ma ci vuole stile anche per lasciarsi».
Riavvolgiamo il nastro: la trattativa di cui va più fiero?
«Van Basten, il giocatore più amato dai milanisti».
L’affare più complicato?
«Rijkaard: io e Galliani eravamo allo stadio di Lisbona per le firme. I tifosi, contrari alla sua partenza, cercarono di entrare negli uffici. Misi il contratto nelle mutande per tenerlo al sicuro».
Il giocatore che ha deluso le aspettative?
«Ibrahim Ba: era il testimonial Nike per il Mondiale. Io e Capello eravamo convinti che potesse fare cose importanti».
Il trasferimento che stava per saltare?
«Andai in Brasile per prendere Serginho. Il presidente Amaral voleva 18 milioni di dollari. Gli risposi che potevamo arrivare a 10: il giorno dopo sarei ripartito, prendere o lasciare. Alla fine lo vendette alle nostre condizioni».
L’acquisto rivelatosi campione inatteso?
«Kakà era semisconosciuto, lo abbiamo comprato per 7 milioni quando il Chelsea stava per soffiarcelo».
Un campione sfumato?
«Higuain: volai in Argentina dove incontrai il procuratore e il padre del ragazzo. Alla fine lo comprò il Real che aveva fatto un’offerta stratosferica».
Il giocatore a cui si è maggiormente affezionato?
«Weah: quando arrivò non aveva grande considerazione. Alla prima partita, il Trofeo Berlusconi, sbagliò il rigore decisivo: mi dissi “cosa penserà il presidente?”. Rincuorai George nello spogliatoio: “Sei un campione, vedrai che la tua avventura sarà positiva”».
La mossa per convincere un giocatore ad accettare il Milan?
«Andai da Shevchenko con una maglia rossonera e il suo nome. Gliela diedi con una previsione: “con questa vincerai il Pallone d’oro”».
Un passo avanti. Dispiaciuto per la sua esperienza mai partita con la Sampdoria?
«Abbastanza. Avevo trovato con la famiglia Garrone l’accordo biennale con decorrenza dal 1° luglio. A giugno la società venne ceduta a Ferrero».
E cambiarono i suoi piani.
«Avrei potuto fare il d.g. in un club adatto alle mie caratteristiche. In due anni avrei fatto raggiungere il break even».
Invece?
«Ferrero mi propose di rimanere pagandomi a percentuale, non rispettando le condizioni del contratto preesistente. Me ne sono andato dopo aver trovato un accordo».
Che cosa l’ha irritata?
«Il titolare della società può agire come meglio crede. Però per separarsi ci sono modalità e modalità».
Con il senno di poi, a 68 anni, è pentito di aver accettato la proposta ligure?
«Sembrava cucita su misura per me. Avevo avuto contatti anche con il presidente della Dinamo Kiev, Surkis, ma con due bimbi piccoli non me l’ero sentita di sradicare la famiglia da Milano».
I progetti per il futuro?
«Per il bagaglio di conoscenze che ho, potrei aiutare qualche società, anche straniera. Non mi dispiacerebbe fare l’advisor dall’Italia dando consigli su acquisti e trattative».
Radiomercato la segnala al Corinthians.
«Può darsi, di certo non ho finito qui».