Cesare De Michelis, Domenicale – Il Sole 24 Ore 28/12/2014, 28 dicembre 2014
SAPER FARE IL MESTIERE DEL CURIOSO
Difficile schizzare un ritratto di Oreste Del Buono con qualche speranza di riconoscerlo somigliante all’uomo con il quale abbiamo condiviso qualche giornata, molte chiacchiere e qualche più consistente avventura: nella vita e nel lavoro, che mescolava e confondeva divertendosi parecchio a spiazzare gli interlocutori anche più cari e affezionati, era instabile e cangiante; vantava orgoglioso, facendone quasi un nuovo genere letterario, il centinaio di lettere di dimissioni che aveva firmato e spedito e reinventava ogni volta il proprio mestiere guardandosi attorno curiosissimo, vincendo qualsiasi imbarazzo e perennemente lamentando una montagna di insoliti acciacchi, dall’insonnia che lo costringeva a leggere o scrivere giorno e notte per non disperarsi nelle lunghe ore solitarie, alla straordinaria sensibilità dell’olfatto.
Oreste, o meglio ancora OdB, aveva cominciato scrittore con dei racconti e un romanzo che Maria Corti descrisse come esemplarmente neorealisti, accumulando esperienze di giornalista – vicecapo cronista a «Milano Sera» –, traduttore, soprattutto dal francese, lettore sbrigativo e sicuro per case editrici, per prima la Mondadori, critico cinematografico e anche letterario, esperto di sport popolari come il calcio, dirigente editoriale e responsabile di collane, non disdegnando la letteratura di genere come i gialli, promotore del fumetto in Italia e a lungo direttore di «Linus», né l’elenco finirebbe mai a inseguirlo lungo i percorsi delle sue innumerevoli avventure. Era piccolo Oreste, ma non se ne faceva un cruccio, anzi se ne avvantaggiava, dissimulando la sua presenza o insinuandosi dove nessuno avrebbe creduto, ed era al tempo stesso umile e orgoglioso: non dava importanza a nulla, tanto meno agli onori o agli allori della società letteraria, ma al tempo stesso si rivelava ostinato e inarrendevole nel difendere posizioni e decisioni, elogi e ostracismi, che meditava a lungo ma poi cambiava malvolentieri.
La rapida ricostruzione del suo lavoro di lettore in Mondadori – oltre 1.300 pareri in poco più di quindici anni – che propone Enrico Mannucci è ricca di sorprese, sia nell’acume definitorio di molti giudizi su libri e autori, sia in alcuni perentori suggerimenti d’ordine generale di fronte all’affermarsi dell’industria culturale: «Io alla massa non ho da comunicare nessun insegnamento, ma caso mai far giungere delle reazioni», o, su un registro più intimo, «lavoro e vita sono prigioni, l’unico modo per sopravvivere è cambiare spesso», fino al clamoroso «Charlie Brown sono io», che conferma la scoperta del realismo di C. M. Schulz, «altro che comico era tragico, una tragedia continua».
Se Oreste divenne «l’emblema nazionale» della capacità «di non relegarsi in un’ottusa gerarchia fra i diversi generi culturali» e se «il simbolo della mutazione», come scrive Mannucci, «è il varo, nel 1965, della rivista "Linus"», il volume Sul fumetto, che raccoglie pressoché integralmente gli scritti di OdB sul tema, apparsi in gran parte sulla «Stampa» (1966) e su «Linus» (1971-81), che esce pressoché contemporaneamente, ci offre l’opportunità per misurare davvero l’originalità e la novità del contributo di Del Buono su un argomento sino ad allora negletto.
Cesare De Michelis, Domenicale – Il Sole 24 Ore 28/12/2014