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 2014  dicembre 28 Domenica calendario

LA GARANZIA E LE MOSSE PER EVITARE LA FUGA DEI GIOVANI

È ancora fresco il dibattito dell’Italian-German high level dialogue, tenutosi a Torino e aperto dai due presidenti Napolitano e Gauck, in cui professori, diplomatici, imprenditori, giornalisti italiani e tedeschi si sono confrontati sul rapporto tra Roma e Berlino. I relatori tedeschi presenti hanno insistito molto sull’importanza dell’inclusione delle nuove generazioni nel mercato del lavoro, rimarcando lo scandalo dei giovani italiani sempre più emarginati e parlando di situazione eticamente irresponsabile. La Germania - sottolineavano - ha fatto riforme vere quando ha capito che i suoi giovani rischiavano di non avere un futuro. In effetti, la Repubblica tedesca è l’unico paese europeo che, dal 2008, ha abbassato il livello della disoccupazione giovanile.
Ma con la Garanzia Giovani (o Garanzia Europea) e con il Jobs Act l’Italia riuscirà a intervenire su questa piaga sociale? Intanto le regioni, a parte la Lombardia, il Piemonte, il Lazio, la Puglia e la Toscana, rispetto alla data prevista (maggio 2014) sono partite con ritardo e in modo scoordinato. Certo è che se lavoro non ce n’è o ce n’è poco, il problema di cosa gli intermediari pubblici o privati possano fare in 4 mesi è relativo (la Garanzia Europea si serve di Centri per l’Impiego e di Agenzie per il Lavoro). Per il medesimo motivo, lo stesso Jobs Act può solo migliorare la qualità dell’occupazione; può rivelarsi invece un provvedimento interessante l’incentivo fiscale introdotto nella legge di stabilità per le nuove assunzioni a tempo indeterminato. Auguriamoci tuttavia che la Garanzia Europea sia l’occasione per l’Italia di iniziare a includere maggiormente i giovani nel mercato, anche perché le economie più in salute nell’Ue sono proprio quelle, come quella tedesca, dove i giovani sono molto inclusi. Va detto che qualche decina di migliaia di giovani senza lavoro si sono messi in moto e sono entrati in contatto con i servizi per il lavoro, cosa certamente positiva che cresce la loro occupabilità.
Ciò nonostante, prosegue l’esodo dei nostri giovani in cerca del lavoro o del lavoro migliore: secondo l’Ue, sono oltre 100.000 i giovani laureati italiani nel Vecchio continente, i quali hanno deciso di lasciare l’Italia e «sono diventati ricchi senza smantellare un tessuto sociale in cui l’accesso al lavoro dipende dai contatti familiari, dalle affiliazioni politiche e dalle raccomandazioni» (l’Economist, che ha scritto del caso italiano, per dire raccomandazioni usa proprio il vocabolo italiano). Ecco uno dei principali motivi per cui i giovani vanno a cercare lavoro altrove: l’ultima rilevazione di Unioncamere ci dice che l’85% dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro è determinato dal canale informale, ossia dalla rete delle conoscenze.
Di recente l’Istat ci ha dato una fotografia: sono stati 82mila i connazionali che nel 2013 hanno deciso di andarsene, un incremento del 20,7% rispetto al 2012; ma soprattutto il numero più alto degli ultimi dieci anni. Gli italiani che fanno i bagagli scelgono come destinazione soprattutto i Paesi dell’Europa occidentale: Regno Unito (13 mila emigrati), Germania (oltre 11 mila emigrati), Svizzera (circa 10 mila), Francia (8 mila), oltre agli Stati Uniti (5 mila), ne accolgono, nel loro insieme, più della metà. E a emigrare sono in particolare persone tra i 20 e i 45 anni.
Nel 2013 ben 13mila laureati sono andati a cercare fortuna oltreconfine, meta preferita il Regno Unito (3.300 individui); a seguire Svizzera (2.400), Germania (2.000) e Francia (1.600). Al di fuori dell’Europa, i laureati italiani si recano soprattutto negli Stati Uniti (1.400) e in Brasile (800). In media, il 31% di chi emigra possiede la laurea, con punte del 35% e del 34% per chi si trasferisce, rispettivamente, negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
A parte il carattere molto familistico del nostro mercato del lavoro, cosa che evidentemente molti giovani non amano, c’è da dire che la domanda del nostro sistema produttivo è prevalentemente orientata su profili bassi: questo, da una parte, perché il 98% della nostra economia è composto da Pmi in cui (soprattutto nella piccola) per il giovane lavoratore che si è specializzato spesso non c’è una collocazione; dall’altra, perché le aziende italiane – anche medio-grandi – non essendosi in molti casi innovate in tempo di economia globale, non cercano particolari specialità. Ecco spiegato l’esodo dei nostri talenti verso economie più mature. Ma, in un paese dove c’è sempre meno lavoro, non sono più solo i più talentuosi a fare le valigie.
Giuseppe Sabella, Il Sole 24 Ore 28/12/2014
Giuseppe Sabella è direttore di Think-in