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 2014  dicembre 28 Domenica calendario

“VOGLIO INCONTRARE FRANCESCO A LUI DIRÒ LA VERITÀ SULL’ATTENTATO”

[Intervista a Mehmet Ali Agca] –
CITTÀ DEL VATICANO .
Mehmet Ali Agca, perché lei è tornato in Vaticano, piombando a piazza San Pietro più di 33 anni dopo il suo attentato a Karol Wojtyla?
«Perché dovevo farlo. Lo pensavo da tempo. E poi, glielo dovevo».
A chi?
«Al Santo Giovanni Paolo II. Lui mi aveva perdonato. Difatti, che giorno è oggi?».
Il 27 dicembre, anniversario della visita che il pontefice polacco le fece in carcere a Rebibbia nel 1983.
«Appunto. E io sono qui per pregare sulla sua tomba».
Emozionato in Basilica?
«Molto. Ma era un gesto necessario. Wojtyla è stato un grande Papa. E il miracolo, ora, continua».
Quale miracolo?
«In questa piazza si è compiuto il Terzo segreto di Fatima. Io con l’attentato al Papa l’ho realizzato, ne sono stato lo strumento. E ora sono felicissimo di essere in questo luogo. Viva Gelavoro, sù Cristo, l’unico Redentore dell’umanità». Anche Caino cambia. A vederlo oggi, Mehmet Ali Agca sembra diverso dal killer spietato che militava nelle file dei Lupi grigi. L’attentatore di Giovanni Paolo II è adesso un signore un po’ ingrassato, i capelli corti interamente bianchi, e legge molto. Agca si aggiorna, sfoglia i giornali, naviga sui siti. Il suo italiano, da sempre buono, oggi è persino migliorato. La voce è la stessa, cavernosa, come proveniente da un’altra sfera. Vive a Istanbul, nel quartiere di Bakirkoy sulla sponda europea. Ma non ha si mantiene con l’aiuto di parenti e amici. Progetta però libri e documentari. Tema: Fatima, il Vaticano, l’attentato.
Agca, come è arrivato in Italia? Le autorità le hanno sempre negato il visto nonostante le sue richieste.
«Da qualche tempo ho ottenuto il passaporto. Sono un uomo libero ormai. Ho pagato il mio debito con la giustizia. Dopo 20 anni di carcere in Italia, e altri 9 in Turchia, posso fare quello che voglio. Anche viaggiare. Mi farebbe piacere tornare a vedere l’Europa, visitare l’America, conoscere la Russia».
E Roma è la tappa più importante?
«Era una promessa. L’ho mantenuta. Non posso scordare il mio colloquio in carcere a Rebibbia con Giovanni Paolo II, quello è stato il momento più importante della mia vita».
Il suo doppio mazzo di rose bianche depositato sulla tomba di Wojtyla?
«Un gesto del cuore. Non ho potuto partecipare ai suoi funerali e ho voluto rendergli omaggio come a un fratello spirituale».
Con chi era in Basilica?
«Con degli amici poliziotti. Ho avuto un permesso speciale vaticano per andare dove stanno le tombe dei Papi. Loro mi hanno aiutato per entrare».
Un permesso vaticano? Non millanti. Chi glielo ha dato?
«Ricordiamoci che il cardinale Turkson aveva detto che potevo andare a pregare sulla tomba di Wojtyla, e che se il primo a perdonarmi era stato Giovanni Paolo II, allora anche lui mi perdonava. Per tanto tempo ho cercato contatti con il vertice del Vaticano, e con i cardinali».
Che cosa vuole fare ora?
«Vorrei vedere papa Francesco».
(Alla richiesta di Agca, padre Federico Lombardi, il portavoce del Pontefice, dice a Repubblica: «Ha messo i fiori sulla tomba di Giovanni Paolo II. Penso che basti», ndr.).
E che cosa gli chiederebbe?
«Vorrei ringraziarlo, innanzitutto per la sua predica di pace e fratellanza, di libertà e giustizia per tutti popoli del mondo. Desidero vederlo anche per pochi minuti. Infatti, ho incontrato Giovanni Paolo II, poi con papa Benedetto mi sono scambiato delle lettere. Adesso, dopo che non è stato possibile vedere papa Francesco nella sua visita di fine novembre in Turchia, vorrei parlargli. Magari anche allo stesso Joseph Ratzinger. E alcuni cardinali. Le sembra ipotizzabile?».
Non è semplice. E poi molti si aspettano che lei faccia un passo chiaro, e spieghi definitivamente e senza ombre di dubbio chi le armò la mano per l’attentato del 13 maggio 1981. Come andò?
«Adesso è impossibile spiegare tutto. Ogni mia parola viene strumentalizzata. Ritengo perciò opportuno aspettare il tempo migliore per dimostrare tutta la verità al mondo su quell’evento, con delle prove documentali».
Ma perché non in questa occasione? Potrebbe essere il momento ideale, invece.
«Lo farò, ma dopo l’incontro con papa Francesco».
Vuole rivelare a lui le origini dell’attentato?
«Certo, se papa Francesco vuole, io parlerò di questo evento con lui. E se il Vaticano è d’accordo, per me sì, va bene».
Che cosa ne è oggi dei Lupi grigi, suoi antichi sodali?
«I Lupi grigi erano un semplice strumento della Nato, l’Alleanza atlantica, per la Guerra Fredda internazionale. Oggi non esistono più come una volta. Adesso si occupano di mediocre politica conservatrice. Posso fare un esempio per l’Italia? Sono come An, l’Alleanza nazionale di Gianfranco Fini. Io, invece, ero un rivoluzionario».
Marco Ansaldo, la Repubblica 28/12/2014