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 2014  dicembre 28 Domenica calendario

“IL JOBS ACT NON SI TOCCA È GRAZIE A QUESTA RIFORMA CHE ANCHE I GIOVANI AVRANNO PIÙ DIRITTI E OPPORTUNITÀ”

[Intervista a Giuliano Poletti] –
ROMA.
Sui decreti del Jobs act non ci possono essere trattative. Lo dice in questa intervista il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. «I punti fondamentali — afferma — sono definiti». Dunque, no alla richiesta dell’Ncd di riprendere in considerazione l’ipotesi del cosiddetto opting out per le imprese e lo scarso rendimento tra le cause di licenziabilità, e no alla richiesta della sinistra del Pd di escludere dalle nuove regole i licenziamenti collettivi. Difende la legge, il ministro. E d’altra parte è stato lo stesso premier, Matteo Renzi, a dire ieri che i «detrattori del governo si arrenderanno all’improvviso ». Per molti giovani — sostiene Poletti — il contratto a tutele crescenti significherà accedere ai diritti che con i contratti precari non avrebbero mai avuto. Poi considera «ingiustificata» la minaccia di nuovi scioperi da parte della Cgil, Susanna Camusso.
Ministro, può cambiare il decreto?
«Formalmente lo schema di decreto delegato è modificabile. Le Commissioni parlamentari esprimeranno i loro pareri e le loro proposte. Il governo ha la facoltà di accoglierle o meno. La competenza è del governo».
Se arriveranno richieste di modifiche dalle Commissioni, le accoglierete?
«Direi che la sostanza del decreto è quella e quella rimarrà. Il decreto sul contratto a tutele crescenti e quello sugli ammortizzatori sono coerenti con la legge delega approvata dal Parlamento. Ciò non toglie che esamineremo con molta attenzione le osservazioni che dovessero pervenire e decideremo collegialmente».
Ci sono spazi di trattativa con Ncd e sinistra del Pd?
«Trattative proprio no. Le Commissioni esprimeranno un parere e il governo lo valuterà».
Quindi non si torna indietro per introdurre, come chiede l’Ncd, il meccanismo dell’opting out che permetterebbe ai datori di lavoro di evitare sempre il reintegro?
«Ripeto: i punti fondamentali sono definiti. Nel caso dell’opting out esiste anche un problema di coerenza con la legge delega. Si configurerebbe un possibile eccesso di delega».
Perché avete esteso le nuove regole ai licenziamenti collettivi?
«Per una esigenza di coerenza dell’impianto normativo. Poiché i licenziamenti collettivi sono sempre motivati con ragioni di ordine economico o organizzativo sarebbe stato incoerente escludere il reintegro per quelli individuali e non anche per quelli collettivi. Questa è la ragione. E, comunque, la procedura generale per i licenziamenti collettivi rimane quella che è stata sempre in vigore».
Esclude un ripensamento, come chiede la minoranza Pd, visto che genera una disparità tra vecchi e nuovi assunti in una stessa azienda?
«Io rispetto tutto le posizioni, ma una riforma va valutata nel suo equilibrio complessivo. E questa riforma è equilibrata».
Il vantaggio per le imprese è evidente: poter licenziare con facilità; per i lavoratori qual è, se c’è, il vantaggio di questa riforma?
«Le imprese hanno un quadro di maggiore certezza su ciò che avviene in caso di licenziamento. Per molti giovani c’è il vantaggio di avere un contratto a tutele crescenti a tempo indeterminato, con il diritto alle ferie, alla malattia, alla maternità che altrimenti non avrebbero mai avuto con i contratti precari. Questo è il vantaggio per i giovani lavoratori. E poi la possibilità di entrare, nel caso perdessero il lavoro, in un circolo virtuoso per un successivo ricollocamento».
Susanna Camusso dice che in realtà si tratta dell’abolizione del contratto a tempo indeterminato e della precarizzazione a vita.
«Non è così. I precari a vita ci sono adesso. I lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti hanno un contratto a tempo indeterminato con tutti i diritti previsti e l’opportunità di consolidare positivamente il loro rapporto di lavoro. Mi sembra un cambiamento radicale rispetto al passato ed è sbagliato non volerlo vedere».
Questa sarebbe la “rivoluzione copernicana” annunciata da Renzi?
«Esattamente. Finalmente si offre ai giovani l’opportunità di un contratto che non ha una scadenza, di dimostrare quanto valgono e di cominciare a programmare la propria vita».
Per fare questo era necessario rendere più facili i licenziamenti? Non le pare una contraddizione?
«Le aziende per assumere hanno bisogno di certezze. Hanno bisogno di sapere cosa succede nel caso abbiano necessità di ridurre la propria manodopera. Ora queste certezze ce l’hanno».
Perché tutta questa fiducia sulle imprese? Pensa davvero che non ci sia una responsabilità anche del sistema imprenditoriale italiano per la profondità della nostra crisi?
«Le imprese hanno sicuramente delle responsabilità e il dovere di fare bene la loro parte. Noi non siamo subalterni alle imprese e non ci affidiamo solo a loro per la ripartenza dell’economia. Lo dimostra il decreto sull’Ilva. E lo dimostra il fatto che oltre che sul mercato del lavoro siamo intervenuti su diversi fattori che impediscono, o non facilitano, gli investimenti e la crescita dei consumi».
Quanti posti di lavoro pensate che saranno creati grazie a queste norme?
«Penso che non sia saggio fare previsioni. Tornerebbero alla memoria ipotesi di altri periodi. Quello che è chiaro è che il contratto a tutele crescenti sarà lo strumento principale per l’ingresso nel mondo del lavoro, e perché ha regole più semplici e costa di meno. Siamo convinti che questo contratto avrà un grande successo».
Le nuove regole si applicheranno anche nel pubblico impiego come sostiene il giuslavorista, senatore di Scelta civica, Pietro Ichino?
«Direi proprio di no. Quando abbiamo approvato la legge delega abbiamo sempre fatto esclusivo riferimento al lavoro nel settore privato».
Ichino dice anche che per qualche suo ripensamento sul Jobs act lei è diventato un problema per il governo. Sente di esserlo?
«Non ritengo di essere un problema. Ho con Renzi un rapporto molto positivo e molto costruttivo che ha funzionato benissimo anche in occasione della preparazione dei decreti attuativi della delega, per i quali il premier ha espresso piena condivisione e responsabilità».
Ci sono, infine, le risorse per finanziare la nuova Aspi?
«Le risorse ci sono e consentono un allargamento del suo utilizzo ad una platea più larga di lavoratori».
Roberto Mania, la Repubblica 28/12/2014