Mattia Feltri, La Stampa 28/12/2014, 28 dicembre 2014
L’ITALIA E LA GRANDE ABBUFFATA, LA FORMULA CHE VINCE SEMPRE
Per l’ironica saggezza dei nostri vecchi, quando gli affari vanno male lo stomaco non ne deve soffrire. E infatti, intanto che l’Italia seguiva - da tavola, guardando il tg - il processo digestivo dei consiglieri di destra del Lazio ai tempi di Franco Fiorito, i loro colleghi di sinistra indicevano riunioni destinate a restituire onore alla politica: appuntamento al ristorante La Foresta di Rocca di Papa, con gocce di cristallo Swarovski ai lampadari, piscina, buffet imperiale con bignè ai formaggi filanti, speck di Sauris, mousse di tonno, e poi le specialità alla carta, crêpes con polpa di cernia e ragù di pesce, ravioli con sfoglia di cacao ripieni di ricotta salata e granella di pistacchi, guazzetto di spigola e prosecco, bisonte ai ferri vivaci. Perfetto esempio di menu universale: prodotti locali, prodotti tipici, prodotti d’importazione sulle migliori tratte enogastronomiche: non c’è politico di manica larga - coi denari pubblici - che abbia rinunciato all’ostrica di Normandia, da ingollare col risucchio dal guscio usato come cucchiaio. Va adeguatamente accompagnata, secondo gli acquisti di quell’altro consigliere che si era fatto rimborsare le spese alla vineria Trucchi di via Cavour, Roma, per lo champagne Taittinger e Paul Georg, e poi per il Brunello di Montalcino e il Primitivo di Manduria, qualora nel piatto fosse capitata una porzioncina di porchetta di Ariccia.
Le sacre regole della cultura culinaria sono ampiamente rispettate: si arraffa a chilometro zero, dicono i precetti del consigliere che dal cacciatore del posto riceveva il fagiano, e si spera lo abbia cucinato in umido tartufato, con macinato di maiale e brodo di carne. Il tartufo non manca mai, come le ostriche: altri saggi spiegavano che quando si ruba non si bada a spese. Abbiamo sentito in Piemonte di cene a base di tartufo, ma quello bianco di Alba. Abitiamo evidentemente un paese fondato sulla cena, allestita secondo l’estro del momento, magari con i soldi sottratti ai regali di Natale, in flessione del dieci per cento, mentre sono cresciute del due le spese per crapule di vigilie, antivigilie e feste: le stime di Impresa Pesca Coldiretti informano che il brodetto di pesce con triglie, calamari, seppie, tracine, canocchie e gallinelle se preparato a casa viene via a nove euro a testa, ma si raccomandava di controllare il pittogramma che indica la provenienza dell’ingrediente. Lo storico sorpasso del budget per il banchetto rispetto a quello per il pensierino dimostra che a tutto si rinuncia, da noi, ma non all’ossequio per la millenaria e variegata tradizione cibaria. Si tiene a fare bella figura coi parenti, o con i grandi elettori convocati un paio d’anni fa al Pepenero di Capodimonte, apprezzato per gli gnocchetti di patate al ragù di cinta senese e l’astice alla catalana. È così per tutti: un consigliere sardo ci tenne a deliziare i concittadini con trenta pecore e un vitello da fare alla brace nella festa del paese. Un altro procurò una fornitura di gelato per il santo patrono di Novello. Si finanziano la sagra del peperoncino e la sagra della provola: in Italia le sagre sono circa diciottomila, una media di duecentocinquanta al giorno, la sagra del tortèl dòls, la sagra della mostarda di fichidindia, la sagra de la pasta cu l’agghia e sasizza arrustuta, la fondamentale sagra Corri&Salsiccia, in provincia di Prato, gara podistica sui diciannove chilometri con punti di ristoro a base di fagioli, salsiccia e birra, e se non s’avanza una briciola si guadagnano bonus a scalare sul tempo finale.
Tutto il nostro salire e scendere, il nostro bene e male, il nostro quotidiano maluccio è scandito da uno schioccare di lingua sul palato, l’assessore si fa arrivare il gorgonzola piccante dalla provincia di Novara, l’altro ordina una partita di olio di oliva extravergine di Trani da donare in latte da tre litri a quelli che contano, un altro ancora conosce il posticino dove fanno un fragolino al sale da urlo, Nicole Minetti mise in nota un happy hour da ottocento euro, soltanto al Pirellone se ne andarono in un anno quindicimila euro in snack e pasticcini e, come sempre succede nelle baldorie, quando ci si affoga nelle pappardelle e negli stracotti, ce n’è uno che non mangia nulla, non gli importa dell’Amarone e della bottarga: in genere è un bambino che rispunta rosicchiando del junk food, e quello naturalmente è il consigliere che dai lombardi si faceva rifondere dello scialacquio in Aperol, Sanbittér, chewing gum e patatine Fonzies: era Renzo Bossi, sempre che il diritto all’oblio non sia scattato dopo il ruttino.
Mattia Feltri, La Stampa 28/12/2014