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 2014  dicembre 28 Domenica calendario

IMITO BENIGNI E SALUTO IL 2014 COMMENTANDO I COMANDAMENTI

Ad un paese come il nostro dove manca la risorsa più preziosa, la nostalgia del futuro, voglio oggi dedicare l’ultimo articolo domenicale dell’anno a quelli che sono passati, a chi non c’è più.
Il 2014 si è portato via un sacco di gente a cui ero molto affezionato: Eusebio, giustamente soprannominato la Pantera nera, era come vedere un felino che rincorreva la palla insieme a degli esseri umani; Shirley Temple, una bambina che recitava meglio degli adulti; Vujadin Boskov, l’allenatore che portò lo scudetto alla Sampdoria, e che parlava peggio l’italiano del mio socio Aldo. Lo so cosa state pensando: che Boskov era serbo e non era italiano; è vero, ma anche Aldo è meridionale che c’entra?
Se ne è andato Faletti, Gabriel Garcia Marquez, il maestro Abbado, e Robin Williams.
Ma è morto anche un giornale, una rivista.
Si chiamava Popoli ed era stata fondata dai gesuiti italiani nel 1915, a gennaio avrebbe compiuto 100 anni, quasi come Arnoldo Foà che invece si è fermato al 98esimo compleanno.
Nel primo editoriale del direttore di allora si leggeva «mentre tutti gli animi sono rattristati dalla fosca visione della guerra che strazia l’Europa»; la rivista Popoli si occupava delle missioni nel mondo, poi nel 2006 venne affidata al primo laico responsabile di una rivista per Gesuiti, Stefano Femminis, il quale cercò di mantenere il profilo internazionale guardando alle dinamiche dell’immigrazione in Italia e della trasformazione della società multietnica. Sono molto legato a quella rivista e a quel Direttore perché fu il primo ad affidarmi una rubrica mensile. Mi ricordo che io ero riluttante perché pensavo che l’ironia tra quelle pagine sarebbe stata fuori posto, il Direttore mi incoraggiò dicendomi che in certi casi i gesuiti erano maestri di ironia: in effetti basta guardare Papa Francesco per capire qualche cosa di loro.
LA MIA PRIMA RUBRICA
Oggi vorrei dedicare il mio spazio a questa rivista che non c’è più con uno dei miei ultimi articoli scritti per loro. Si tratta di una serie di 10 commenti ai 10 comandamenti.
Suvvia, saluto il 2014 con un omaggio a Popoli, uno al grande Benigni al quale mi accomuna lo stesso argomento trattato, i 10 comandamenti, con esiti infinitamente più modesti per me, ma con la stessa preoccupazione, credo: che il futuro non ci faccia dimenticare di Lui.
Titolo: «Non nominare il nome di Dio invano».
Articolo. In quest’epoca super post-moderna verrebbe da dire invece che qualcuno dovrebbe pur trovare il coraggio di pronunciare, invocare, sussurrare o semplicemente pensare quel nome. In quest’epoca iper tecnologica, il concetto di dio è assolutamente da considerarsi vintage, roba da antiquariato che al massimo può interessare i rigattieri dello spirito.
A volte si ha l’impressione che sia rimasto solo il suo involucro vuoto che risuona in forma di regola, di divieto, di dottrina, di liturgia, di richiamo all’identità, all’appartenenza, e che nessuno sappia più qual è il modo per pronunciare quel nome. Certo che esistono ancora quelli, e sono tanti, che il suo nome lo urlano a squarciagola se c’è da fare una guerra, che sia santa, di principio, con o senza armi; quando salgono indignati sulle barricate per difendere un simulacro appeso nei nostri uffici, oppure quando ricevono proposte irricevibili o principi, a detta loro, non negoziabili.
O quelli meno colpevoli che lo nominano quando la loro squadra di calcio deve affrontare una partita importante (sono molto più numerosi gli interisti, mentre gli juventini che sono atei non hanno bisogno di dio, loro hanno secolarizzato le richieste d’aiuto); o quando il figlio deve sostenere l’esame di «strategia del marketing», o quando devono ritirare l’esame della prostata, quando investono tutto il loro patrimonio comprando dei buoni del tesoro ciprioti, o quando devono uscire con una ragazza conosciuta su internet (in questi casi la richiesta è spesso così formulata: «Dio fa che sia una femmina e che non mi abbia mentito sulla sua identità»).
DIGNITOSI E ORGOGLIOSI
E poi ci sono quelli che sono dignitosi, quelli orgogliosi che non chiedono mai niente, perché non vogliono disturbare, «però, Dio, almeno fai che il giudice non mi inibisca dai pubblici uffici!», o quelli permalosi, «com’è che il vicino, che non va mai in chiesa, può comprarsi l’iPhone6 per tutta la famiglia, ed io che faccio tutti gli anni il pellegrinaggio Macerata Loreto ho ancora il guscio della Motorola?».
A volte me lo immagino là in alto da qualche parte, che se ne sta con dei tappi nelle orecchie, sì proprio quelli che usano le nostre mogli per non sentirci russare. Tanto a Lui basta guardarci per capire se siamo davvero interessati o se abbiamo lo stesso tono di quando chiamiamo la colf. Non trascorriamo il nostro tempo invano, non dimentichiamoci di pensare quel nome.
Giacomo Poretti, La Stampa 28/12/2014