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 2014  dicembre 27 Sabato calendario

I NUMEROSI NEMICI DEL MULTICULTURALISMO

Il 4 agosto 2013 Putin ha pronunciato un discorso alla Duma a proposito delle tensioni con le minoranze di qualsiasi origine e presenti nel suo Paese. A proposito dei musulmani, ha detto: «In Russia si vive come i russi. Qualsiasi minoranza, dovunque essa provenga, se vuole vivere in Russia, lavorare e mangiare in Russia, deve parlare il russo e rispettare le leggi russe. Qualora preferisse la legge della Sharia e vivere come musulmani, noi gli consigliamo di andare in quei Paesi, dove la Sharia è legge di Stato». Non dice no ai musulmani, ma dice sì, a certe condizioni, che sembrerebbero ovvie. Credo che i suoi lettori apprezzerebbero un commento.
Paola Balestroni

Cara Signora Balestroni,
Nelle parole di Putin alla Duma vi sono almeno due elementi. Vi è anzitutto il ritorno allo «slavofilia», un movimento culturale dell’Ottocento che si contrappose per molti decenni alle correnti modernizzatrici e filo-occidentali della società russa. Non credo che il presidente Putin ne condivida gli aspetti più conservatori, fra cui l’esaltazione della civiltà contadina, ma non può ignorare che la scomparsa dell’Unione Sovietica ha risvegliato i pregiudizi etnici e religiosi diffusi nella Russia zarista. Il comunismo ha avuto molte colpe, ma la sua ideologia universale gli aveva permesso di condannare queste forme di razzismo, oggi libere di esprimersi soprattutto contro i musulmani e le popolazioni caucasiche. Essere «slavofilo», per un uomo politico russo, può essere oggi politicamente redditizio.
Il secondo elemento, più contemporaneo, è la denuncia del multiculturalismo, vale a dire dell’ideologia che aveva ispirato molte società occidentali sino al considerevole aumento dell’immigrazione dal «Terzo mondo» verso la fine del secolo scorso. In questo campo Putin è in buona compagnia. La denuncia dell’immigrazione come inammissibile attentato alla identità nazionale appartiene ormai all’arsenale ideologico di molti partiti e leader politici. Ha ispirato la nuova legge fondamentale dello Stato ungherese, approvata durante il governo di Viktor Orban. Potrebbe ispirare, anche se per motivi diversi, due possibili leggi israeliane sulla natura ebraica dello Stato e sul declassamento dell’arabo da lingua ufficiale a lingua tollerata. È la principale causa del successo elettorale di molti movimenti di destra, dal Fronte nazionale di Marine Le Pen al partito per l’indipendenza del Regno Unito di Nigel Farage, dai Demokraten svedesi al Partito olandese per la Libertà di Geert Wilders.
Persino in Germania, dove ogni forma di razzismo risveglia orribili memorie e suscita reazioni immediate, abbiamo assistito a manifestazioni di nazionalismo identitario. Qualcuno ha suggerito che agli immigrati venga insegnata la «leit-kultur» (cultura dominante) e venga prescritto di parlare tedesco anche in famiglia. Thilo Sarrazin, uomo politico social-democratico e ex banchiere centrale, ha scritto un libro ispirato agli stessi concetti ( La Germania si auto-elimina ) che ha venduto un milione e centomila copie. Concetti simili traspaiono dal programma di un partito («Alternative für Deutschland») che ha riscosso qualche successo nelle elezioni regionali e, in misura ancora più pronunciata, nelle recenti manifestazioni, soprattutto in Sassonia, di un gruppo denominato Pegida, acronimo tedesco di «Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente».
Le parole di Putin sono inquietanti, ma non bisogna dimenticare che la Russia continua a essere, nonostante tutto, un Paese multiculturale, capace d’integrare popoli diversi. Quanto all’Europa, cara Signora, la politica dell’Ue in materia di diritto d’asilo è ancora, nonostante i malumori di una parte delle sue società, complessivamente esemplare.