Mario Sensini, Corriere della Sera 27/12/2014, 27 dicembre 2014
ATTACCHI INCROCIATI SUL JOBS ACT CGIL: NORME INGIUSTE. NCD DELUSO
ROMA «Nessuno ha più alibi per non investire in Italia e nessun lavoratore può dire che lo Stato si disinteressa di lui». Il premier Matteo Renzi presenta così i decreti attuativi del Jobs act approvati dal Consiglio dei ministri il 24 dicembre, definiti «una rivoluzione copernicana», e frutto di un compromesso imposto nelle ultime ore dallo stesso presidente del Consiglio. Il decreto attuativo del contratto a tutele crescenti, varato insieme al nuovo regime degli ammortizzatori sociali, riscrive le norme sui licenziamenti illegittimi superando l’articolo 18, e le resistenze della minoranza Pd, ma non prevede la possibilità per le imprese condannate di scegliere l’indennizzo al lavoratore al posto del suo reintegro, come chiedevano gli alleati del Ncd.
Al di là della mediazione il Consiglio dei ministri, che ha varato anche il decreto per salvare l’Ilva di Taranto e le norme sull’abuso del diritto tributario, ha introdotto altre novità, come l’estensione del nuovo regime ai licenziamenti collettivi, ai partiti, sindacati e onlus, mentre è «giallo» sull’applicabilità ai nuovi assunti del settore pubblico, come sostiene il senatore pd Pietro Ichino, o meno, come invece dice il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia.
Il provvedimento è stato bollato come «ingiusto, sbagliato e punitivo» dalla Cgil, che ipotizza azioni comuni con la Uil, e accolto con qualche modesta apertura dalla Cisl. Per Sel è il via libera «al contratto a licenziamenti crescenti», per il M5S «una fregatura». Delusi ma non troppo sia la minoranza pd, con Cesare Damiano che parla di un «provvedimento ancora migliorabile», che il Ncd, con Maurizio Sacconi convinto che il governo avrebbe dovuto essere più coraggioso.
Renzi ha aperto a possibili modifiche sulla base dei pareri che le Camere dovranno esprimere entro un mese sui decreti, ma li ha difesi. «Al centrodestra — ha detto — chiedo dove eravate in questi anni, al centrosinistra chi vi ha dato il contratto a tutele crescenti e gli ammortizzatori di 24 mesi».
Il reintegro nel posto di lavoro con il risarcimento del danno resta per i licenziamenti discriminatori o che si richiamano alla giusta causa, in cui viene dimostrata l’insussistenza del fatto contestato al lavoratore. Fermo restando il diritto al risarcimento, quest’ultimo può chiedere, al posto del reintegro, un’indennità pari a 15 mesi di retribuzione. Nei casi in cui il licenziamento per giustificato motivo, oggettivo o soggettivo, è infondato, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore al pagamento di un’indennità (non soggetta a contribuzione) di importo pari a 2 mensilità per ogni anno di lavoro, da un minimo di 4 a un massimo di 24 mensilità. Se emerge la prova diretta dell’insussistenza dei fatti contestati, il giudice annulla il licenziamento, condanna al reintegro e al pagamento di un’indennità risarcitoria.
Nel caso di un licenziamento dichiarato illegittimo per vizi formali o procedurali il rapporto di lavoro viene estinto ed il datore di lavoro condannato al pagamento di un’indennità pari a un mese per ogni anno di servizio, da un minimo di due a un massimo di dieci mensilità. Le nuove norme valgono anche per i licenziamenti collettivi dichiarati illegittimi per vizi di procedura. Per le piccole imprese superare la soglia dei 15 dipendenti, che fino a oggi metteva al riparo dall’articolo 18, comporterà anche l’applicazione di un sistema di indennizzi più vantaggioso rispetto a quello attuale. E il nuovo regime si applicherà a tutti i lavoratori, anche quelli assunti prima che l’azienda superasse i 15 dipendenti.