Salvatore Bragantini, Corriere della Sera 28/12/2014, 28 dicembre 2014
S ul Corriere del 19 dicembre Luigi Ferrarella dà due notizie, una scoraggiante, l’altra incoraggiante, che delineano in chiaroscuro il funzionamento della nostra amministrazione pubblica, e in particolare del ministero della Giustizia
S ul Corriere del 19 dicembre Luigi Ferrarella dà due notizie, una scoraggiante, l’altra incoraggiante, che delineano in chiaroscuro il funzionamento della nostra amministrazione pubblica, e in particolare del ministero della Giustizia. La notizia scoraggiante: il ministero, «in 10 carceri dove cooperative sociali sperimentano da 10 anni la gestione delle cucine, dice basta perché la Cassa delle Ammende non ha soldi, e dal 15 gennaio riprenderà all’interno le mense». Perché questa è una brutta notizia? Perché tali cooperative, insegnando ai detenuti una professione che potranno svolgere una volta liberi, aiutano il loro reinserimento nella società riducendo il rischio che tornino a delinquere (la «recidiva»). Nelle carceri in cui esse operano, la recidiva scende dal 70% nazionale al 12%; ciò dipende anche da altre cause, ma l’avviamento al lavoro, al lavoro vero, gioca un ruolo essenziale. Non c’è solo questo beneficio: le cooperative erano riuscite a ridurre i costi per l’amministrazione, al contempo esercitando, certo anche nel proprio interesse, un penetrante controllo di qualità sulle derrate in entrata, ponendo così fine a decenni di controlli, a dir poco, laschi. La colpa di queste cooperative è di esser state un successo, arrivando anche a svolgere un buon numero di servizi di catering all’esterno. Esse furono lanciate una decina d’anni fa come esperimento, finanziato sui fondi della «Cassa Ammende» perché lì c’era disponibilità; oggi questa non c’è più e la scelta ministeriale è di un’ottusa semplicità. Non siete più un esperimento, siete una realtà solida, quindi vi tagliamo i fondi, essendo la Cassa Ammende, casualmente deputata a pagarvi, a secco! Così anche in queste 10 carceri i tassi di recidiva potranno finalmente allinearsi alle altre, esse non saranno più una mosca bianca, i detenuti non dovranno cambiare amici una volta usciti: il loro reinserimento nel giro sarà più facile! Anche i fornitori non dovranno più temere il controllo di qualità che le cooperative esercitavano: si tornerà indietro di 30 anni, al sistema, detto delle «mercedi», nel quale il detenuto, magari in pigiama, comunque privo di qualifiche e di adeguate attrezzature, inetto a mantenerle pulite ed efficienti, cucina per tutti. È un altro dei tanti danni inferti al Paese dalle vicende della cooperativa «29 giugno». Per fortuna, nelle pagine milanesi, Ferrarella ci dà anche una notizia incoraggiante. Alla Procura Generale di Milano, ove ben 27 tipi di registri non riuscivano a dialogare fra loro, due Fiamme Gialle e un dipendente del ministero hanno inventato, sviluppato, e infine regalato, una piattaforma software aperta in grado di consentire la «tracciabilità in diretta, la condivisione tra uffici interessati, l’indicizzazione dei dati archiviati e l’immediata elaborazione statistica, l’indipendenza dei dati dalla presenza fisica di questo o quell’operatore, la sostituzione dei registri cartacei. Tutto gratis per lo Stato». Ci rifiutiamo di credere che il problema stia proprio in quest’ultima frase. Lo Stato deve essere fiero che tre dipendenti pubblici, tre «scansafatiche» ci regalino una semplificazione che nessuno aveva pensato a chieder loro; ringraziamo Davide Carnevale, Luigi Cerullo e Damiano Franco, dotati di professionalità evidentemente ignote all’amministrazione, che però essa dovrà ora adeguatamente utilizzare. Ci sono tante persone con la capacità e la voglia di riscattare, grazie al lavoro, l’ottusità di tanti alti gradi delle burocrazie ministeriali, in questo caso pronta a strozzare in culla, impedendogli di crescere, il nuovo che essa stessa ha acconsentito a far nascere, e distratta invece nel sorvegliare i tanti scansafatiche che purtroppo esistono davvero. Si spera che il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, premi i tre generosi inventori e «cambi verso» ai burocrati che vogliono farci tornare all’Italia carceraria magistralmente dipinta da De Andrè nel suo «Don Rafaè» .