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 2014  dicembre 27 Sabato calendario

USATE (TUTTO) IL CERVELLO. IL RITORNO DELL’IPNOSI

Un cavallo che raglia e una torta volante. Disubbidiente pure in trance. No, dice poi l’ipnotista: «Tu stemperi le difficoltà con la leggerezza». «Sei calma e tranquilla...», ripete la sua voce nei primi minuti della mia seduta. Idee e urgenze si aggrovigliano. Quel «calma e tranquilla» fa a botte con la mia nevrosi. Vorrei ridere, non lo faccio. «Percepisci ogni sensazione ed emozione», dice ancora la voce. E il respiro diventa punto di concentrazione. Nei primi minuti con riluttanza.Via via che l’induzione alla trance prosegue, aspetto la successiva indicazione. Quasi subito prende nitidezza l’immagine mentale del mio antico fallimento. Due anni fa avevo deciso di iniziare a scrivere un romanzo. Senza riuscirci, paralizzata dall’ansia della perfezione. Uno stato d’animo che spesso blocca me e non solo. Rivedo quei fogli, rivedo le sottolineature arancioni sui focus e marroni sugli snodi. Mi vedo. Sento il battito veloce, la mandibola irrigidita. La sensazione è fisica: proprio quella di allora. Ed è a questo punto che arriva il cavallo “ragliante”. L’ipnotista tamburella sulle mie ginocchia e con la voce mi accompagna a ridimensionare l’ansia per proseguire il viaggio interiore. Nessun colpo di scena. Nessun ordine che mi abbia fatto cascare lessa. L’ipnosi, nonostante Freud l’avesse rinnegata, non è mai stata accantonata. «Lui continuò a usarla, negandolo per ragioni di marketing», sostiene Felice Perussia, docente di Psicoteniche all’Università di Torino. Ne è cambiata la visione. Quella in cui le indicazioni suonano come imperativi è rimasta nelle trance da spettacolo. Dalle fasi magico-religiosa di primo ‘700 a quella magneto-fluidica di Mesmer e Charcot a quella Psicologica di Forel e Freud, in qualche secolo ha preso campo la voce che accompagna. «Nello stato di trance puoi lasciare che la tua mente inconscia passi in rassegna il vasto deposito di cose che hai appreso nel corso della tua vita», scriveva, Milton Erickson uno dei maestri di inizio ‘900. «Molte cose imparate senza saperlo, molte conoscenze che non ritenevi importanti a livello conscio sono scivolate nell’inconscio». La credibilità scientifica è arrivata con le tecniche di neuroimaging che ne rilevano e misurano il funzionamento anatomico e fisiologico. Diverse sono le applicazioni: per recuperare sonno: pochi minuti valgono ore, come cura complementare, recuperando in stato di trance i globuli bianchi distrutti dalle chemio. Oppure per affrontare fobie, lutti, crescita personale.
Ti fidi? Abbandonare la volontà? Le reazioni all’annuncio che avrei fatto una seduta di ipnosi grondano di diffidenza. Qualcuno, invece, ammette: l’ho fatta. Chi ha affrontato la paura di volare, chi le dipendenze, un’amica, allergica alle anestesie, sulla sedia del dentista. «L’ipnotista è un allenatore che accompagna ad attingere alle proprie capacità», dice Felice Perussia. «L’ipnosi è metrica». È quel ritmo monotonale che induce dalla veglia alla trance, con parole chiave che si ripetono con una certa ridondanza. Le accogli, sei vigile, anche se i 10 minuti in cui sei stata a occhi chiusi sono mezzora. Il tempo è uno dei test della trance, come l’allucinazione (la mia è stata un colpetto alla spalla, quella che si inclinava sui fogli che mi agitavano). «Fisiologicamente è uno stato di coscienza amplificato», dice Giuseppe Vercelli, psicoterapeuta. Perché entrarci? Per lavorare sulle proprie parti migliori. O chiamarle a rapporto quando servono. «Un’atleta può amplificare qualsiasi cosa sappia fare bene», dice Vercelli che ha partecipato alle Olimpiadi di Torino, Pechino, Vancouver e Londra come psicologo del Coni. «I canoisti italiani a Pechino, temevano di perdere resistenza. In trance abbiamo trasformato la fatica in energia supplementare. È lo stimolo fisico a tirarla fuori. Alcuni secondi. Quelli che servono». L’estrema attenzione al risultato può essere fuorviante come l’ambiente di una gara. «In trance si riporta il focus su di sé», dice Vercelli che ha lavorato con Giorgio Rocca e segue Nadia Franchini. «Nel lavoro con l’ipnotista si scelgono impercettibili gesti rituali, si sviluppano in studio, e si attivano quando si vuole».