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 2014  dicembre 27 Sabato calendario

CALLIGARIS: «SESSANT’ANNI DA PIONIERA»

Una splendida Novella di sessanta anni. Una vita, un’epopea chiamata Calligaris: lo scricciolo diventato simbolo. Che aprì una breccia azzurra nel nuoto, anzi nello sport italiano: tra medaglie e primati mondiali realizzati per la prima volta, fino a portare per la prima volta la bandiera tricolore sul podio olimpico. Una leggenda. Ma anche una donna, semplicemente, con le sue debolezze. Oggi è davvero un giorno speciale per Novella Calligaris, la prima signora delle piscine: per trovarne un’altra, l’Italia ha dovuto aspettare 30 anni esatti: un’altra veneta e stileliberista, Federica Pellegrini.
Novella, come ama festeggiare i compleanni?
«Io vivo questi giorni sempre benissimo, per me è una festa; non molti magari si ricordano di un mio anniversario»
Un punto d’arrivo, un’occasione di bilancio o...?
«E’ sempre un traguardo: io ho un ottimo rapporto con i miei anni. Sono felice di essere così e tagliare il nastro dei sessant’anni».
In che modo si sente una pioniera dello sport italiano?
«Pioniera nel senso che amo vivere di presente: la mia vita è stata una continua sfida, una dopo l’altra. Sfide diverse, nuove».
Ad esempio, l’ultima?
«Sto realizzando una mostra di pittura: dipingere è sempre stata una passione, magari non se n’è mai parlato».
La prima fu salire tre volte sul podio olimpico di Monaco ‘72.
«In questo senso mi fa piacere la definizione di pioniera, inconsciamente in quegli anni pensavo di fare cose normali che poi si rivelarono straordinarie».
Con quel fisico normale come faceva a battere quelle donne dal fisico bestiale: parevano uomini e si sono rivelate dopate?
«Io rappresentavo la normalità, batterle era come stendere Primo Carnera: qualcosa di straordinario. Era la vittoria della persona normale, della ragazza comune. E si parlò tanto di me anche per questo, la mia immagine influì sui modi di essere e di pensare: fino a quel momento era impossibile tentare di battere un’americana, un’australiana o una tedesca dell’Est... In quegli anni le gerarchie non saltavano mai».
Mark Spitz diceva a Monaco: «Non guardate ai miei successi (7 ori con 7 record mondiali, ndr), la vera rivelazione è quella ragazzina italiana: guardate cosa fa in acqua».
«Siamo molto amici, lui aveva un occhio particolare per me: sì, è vero, nessuno si aspettava che un’italiana potesse arrivare a certi livelli. Mi guardavano con stupore, in acqua e fuori».
Lei come diventò competitiva?
«Dimostrai che con il lavoro e l’applicazione non era necessario avere un fisico stratosferico per eccellere anche a soli 19 anni. Riuscire a fare un record mondiale a quell’età ha aperto una breccia».
E c’era quasi solo lei in squadra tra le donne.
«Oggi l’Italia del nuoto è diventata una potenza, io ho rappresentato un’eccezione che destava tanta curiosità».
Erano gli anni in cui all’allenatore era vietato dare del «tu».
«Non solo: rimasi sempre fedele allo stesso club. Senza Bubi Dennerlein non avrei raggiunto mai quei risultati, lui era una persona straordinaria che aveva un grandissimo rispetto per me: cercava sempre di correggere l’errore, mi consentiva di sopportare allenamenti pesantissimi. Fino ai Giochi di Monaco, quando mi permisi, arrossendo, di chiamarlo Bubi: signor Dennerlein era diventato troppo lungo...».
La sua Olimpiade fu anche la più tragica: un ricordo?
«I miei successi si sono sempre scontrati con fatti tristissimi: la strage dei feddayn nel villaggio olimpico di Monaco 1972, il golpe cileno di Pinochet nel ‘73, il giorno prima del mio record mondiale negli 800. Non riesco a non collegare questi fatti».
In quel 9 settembre del 1973 in cui vinse l’oro con record mondiale, qual è stato il brivido più forte?
«Ai 500 metri avevo un secondo e mezzo di vantaggio, ma speravo che finisse lì: le vasche non passavano mai».
Dopo di lei, furono anni non facili per il nuoto italiano.
«Giorgio Lamberti riuscì a continuare il lavoro. Vedere l’Italia protagonista fu importante anche per me, mentre cominciavo ad occuparmi d’altro: tra studi, lavoro nella comunicazione, insegnamento e attività di imprenditrice».
E siamo all’erede: che effetto hanno avuto i successi ed il protagonismo di Federica?
«Fede è stata grandissima, ha testa e carattere: potrebbe essere mia figlia, ho capito presto che sarebbe diventata la più grande».
Una volta disse: se fosse nata durante i miei anni, forse sarei stata gelosa, ma 30 anni dopo non più...
«Non capisco chi prova gelosia per i risultati degli altri. Se hai smesso il dualismo non esiste, anzi la Pellegrini sta quasi portando avanti il mio verbo, in un certo senso ha prolungato la mia carriera».
Novella e Fede: un destino in un certo senso comune e ribelle.
«Le donne hanno una marcia in più, perché nelle difficoltà devi emergere con forza. E sanno trasmettere emozione in maniera unica, facendo battere più forte il cuore».
Sessant’anni sempre e solo di slancio?
«Ho avuto sconfitte, anche nel nuoto, ma lo sport mi ha aiutato a superarle: solo perdendo puoi capire e uscirne rafforzato. Io che amo le sfide, posso dire di aver provato a realizzarmi tutto ciò in cui mi sono calata. Anche la pittura è fatica, ma è un’altra grande sfida di questi miei 60 anni».