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 2014  dicembre 27 Sabato calendario

PROFUMI, VOCE E SOFFI DI VENTO: COSI’ SCHUMI TORNA A SPERARE

Forse lo ridesterà il profondissimo blu delle orchidee della Birmania, forse il profumo della Bauhinia Blakeana dai fiori violacei. Forse lo sveglieranno questi schiaffi di vento ghiacciato, oppure le gocce d’acqua che i medici gli fanno scivolare sul viso perché Michael senta, capisca, ricordi cos’era essere vivi. O magari sarà il rumore delle foglie nel bosco, o il sussurro delle onde che vanno a morire sulla spiaggia, oppure la voce d’argento di una figlia che chiama suo padre. Potrà essere all’improvviso, dentro un giorno tutto chiuso in un momento, oppure mai.
Michael Schumacher è qui, nella serra tropicale della sua villa sul lago Lemano. Lo portano ogni mattina. Poi escono, i medici, gli infermieri e lui sulla sedia a rotelle, nel freddo dell’inverno. Si chiama “ outdoor therapy ”: ogni stimolazione sensoriale tenta di rischiarare il buio di quel pozzo in cui Schumi è precipitato un anno fa, il 29 dicembre 2013, cadendo sugli sci a Méribel, in Alta Savoia. Due disperate operazioni al cervello, quasi sei mesi di coma a Grenoble, poi il trasferimento al Centre Hospitalier Universitaire Vaudois di Losanna e, dal 10 settembre, il ritorno nella principesca tenuta La Réserve di Gland. Una villa diventata clinica, 12 milioni di euro per allestire il reparto in cui lavorano a turno 15 specialisti: la chiamano “la squadra”. Sono neurologi, fisioterapisti, logopedisti: se qualcuno sgarra o parla troppo, viene licenziato in tronco. Li guida uno dei massimi esperti mondiali del cervello umano, il professor Richard Frackowiak, londinese di origini polacche, un uomo che ha scritto più di 400 testi per svelare un mistero di un chilo e trecento grammi di peso, forse il centro dell’universo, il punto più alto dell’evoluzione della specie, un miracolo e un labirinto.
La squadra ha portato nella villa di Schumacher una serie di macchine per stimolare i movimenti neuro-muscolari, compreso un robot che prova a far camminare il pilota. Ma sarà un viaggio lunghissimo. «Almeno tre anni», ha spiegato il professor Jean-François Payen, il luminare di Grenoble che fu tra i primi ad occuparsi del tedesco e a gestire l’emergenza. Ventiquattro ore al giorno, tutti i santi giorni, la squadra “chiama” Schumi insieme alla moglie Corinna, ai figli Gina Maria (17 anni) e Mick (15), il ragazzino che già corre velocissimo sui kart e tra due anni potrebbe debuttare in Formula 4, Mick che era con Schumi nel momento dell’incidente e vide tutto. Ora parla con il padre, e il padre a volte risponde con un battito di ciglia: in questo momento, l’unica forma di comunicazione possibile dentro la prigione di un corpo paralizzato.
Michael pesa cinquanta chili, non è più in stato vegetativo ma nemmeno si può parlare di coscienza. Il 3 gennaio compirà 46 anni. «Migliora, a tratti esce dal torpore, però non credo ricordi nulla» dice Philippe Streiff, ex pilota di Formula 1, tetraplegico dal 1989 a causa di un incidente. Philippe ha visitato Schumi qualche giorno fa, come Jean Todt che viene a Gland ogni settimana e ha deciso di seguire un solo dovere e un unico comando, l’ottimismo: «Michael è giovane, sta facendo progressi e ha molto tempo davanti per tornare a una vita relativamente normale». E poi c’è Sabine Kehm, la portavoce del tedesco, l’amica di famiglia, la custode: «Servirà pazienza, i miglioramenti di Michael sono costanti, tuttavia il recupero sarà lento e difficile. La famiglia ringrazia per l’affetto, non è giusto dire di più. Chiediamo rispetto e discrezione».
Perché qui è tutta una giostra di passioni violente e curiosità morbosa, attesa e pettegolezzo, sensibilità e sciacallaggio. Si fa il conto dei soldi persi per via degli sponsor in fuga («Ma si è esagerato, quasi tutti sono rimasti », precisa la Kehm), più o meno 4 milioni di euro, e delle spese per le cure a domicilio, circa 130mila euro a settimana. La rivista Die Aktuelle ha messo in copertina una foto di Schumacher che prende il sole, seduto, con occhiali scuri e giaccone nero, peccato fosse di qualche anno fa. Un sito Internet russo ha piazzato webcam attorno a La Réserve per filmare in continuazione la villa, ed è intervenuta la polizia del cantone di Vaud. Durante il trasferimento da Grenoble a Losanna, venne rubata la cartella clinica: il presunto autore del furto, un 54enne svizzero, ad agosto si è impiccato nel carcere di Zurigo.
La parola “Schumacher” è stata la più cliccata su Google nel 2014, eppure questa è anche una storia di silenzio. Lo stesso che un anno fa dominava le piste di Méribel poche ore dopo l’incidente, quando una spolverata di neve fresca ricoprì le rocce su cui Schumi andò a sbattere. Il silenzio che ha sigillato l’inchiesta giudiziaria: nessuna responsabilità, se non quelle di Michael che scelse di sciare fuori pista, in un tratto pericoloso. Un silenzio strappato, ciclicamente, da qualche strano urlo. A questa tipologia appartiene forse la cupa previsione del dottor Gary Harstein, ex medico della Formula 1: «Bisogna rassegnarsi, Michael non tornerà mai più quello di prima, nessuno si sveglia senza conseguenze dopo sei mesi di stato vegetativo ».
Ma poi il silenzio torna ad allargarsi proprio qui, alla fine della strada, dove un imponente cancello con fregi dorati protegge il corpo, la storia e il destino di Michael Schumacher, forse il più grande pilota automobilistico di ogni epoca, leggenda della velocità, quasi morto ai trenta all’ora sulla neve. Qui, nei tredici ettari di bosco, sull’altura che domina il lago. Qui, dove un padre parla con i figli muovendo gli occhi. Qui, dove un giorno quel padre potrebbe essere risvegliato da un fiore.