26 dicembre 2014
NUOVO Simone Forconi, 13 anni. Bello, moro, grandi occhi grigi, studente di terza media, «buono, affettuoso», figlio di genitori separati, viveva in provincia di Macerata con la madre, Deborah Calamai, 38 anni, un lavoro da precaria in una casa di cura per anziani, seguita da un ospedale psichiatrico perché da anni dava segni di squilibrio e negli ultimi tempi stava peggio del solito, ad esempio qualche giorno fa i vicini l’avevano vista vagare in strada, al gelo, indosso abiti estivi, mentre, lo sguardo perso nel vuoto, parlava da sola
NUOVO Simone Forconi, 13 anni. Bello, moro, grandi occhi grigi, studente di terza media, «buono, affettuoso», figlio di genitori separati, viveva in provincia di Macerata con la madre, Deborah Calamai, 38 anni, un lavoro da precaria in una casa di cura per anziani, seguita da un ospedale psichiatrico perché da anni dava segni di squilibrio e negli ultimi tempi stava peggio del solito, ad esempio qualche giorno fa i vicini l’avevano vista vagare in strada, al gelo, indosso abiti estivi, mentre, lo sguardo perso nel vuoto, parlava da sola. L’ex marito Enrico Forconi, operaio, 40 anni, aveva perciò avviato le pratiche per l’affidamento esclusivo di Simone, così che il ragazzino potesse andare a vivere con lui: l’incontro con il consulente d’ufficio che doveva valutare le condizioni psichiche della donna era previsto per martedì prossimo, il 30 dicembre. Nel pomeriggio della vigilia di Natale i due ex coniugi si incontrarono e litigarono proprio per l’affidamento del ragazzino, poi la sera la Calamai cenò col figlio ma a un certo punto Simone, avendo paura della mamma che gli pareva più strana del solito, con la scusa di volere una mano per costruire un modellino coi Lego che gli aveva regalato il padre, lo chiamò e gli chiese di raggiungerlo. Lui ad arrivare ci mise solo dieci minuti ma sotto casa trovò i carabinieri: nel frattempo la Calamai aveva afferrato un grosso coltello da cucina, aveva raggiunto sul pianerottolo il figlio che vedendola armata e con gli occhi da pazza era scappato urlando dall’appartamento, e gli aveva infilato la lama cinque volte nella schiena e quattro nel petto, spappolandogli il cuore. Trovata dai carabinieri su una panchina lì vicino, il coltello ancora in mano, che farfugliava: «L’ho ucciso perché me lo volevano portare via. Sono contenta di averlo fatto». Dopo le 21.30 di mercoledì 24 dicembre in un appartamento via Zampa 70 nel quartiere Settempeda a San Severino Marche, in provincia di Macerata.