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 2014  dicembre 21 Domenica calendario

CHE CONFUSIONE L’ITALIA IN TV: LA POLITICA È INCOMPRENSIBILE

Nonostante le quotidiane assillanti lezioni di politica che giornali e televisioni ci propinano, si ha la sensazione di una gran confusione sotto il cielo. Essi, i politici, sembra che parlino tra di loro, per i loro fini e i loro interessi, abbarbicati alla politica per ragioni non sempre chiare e non sempre accettabili. Insomma sempre più la politica ci appare come un discorso fra specialisti.
Io sono fino a prova contraria una persona normale dotata di normale intelligenza, e mi domando come mai non capisco niente di quel che veramente accade nel nostro Paese? Non sono per partito preso un antipolitico, come invece — et pour cause — gran parte degli italiani, riconosco che la politica è necessaria, ma quando la politica la sento parlare ne sono frastornato. Sto spesso, data l’età, in casa, su una poltrona a guardare la televisione. La politica mi arriva da lì, dalle trasmissioni dove conduttori, più autoritari che autorevoli, invitano persone di opinioni diverse a discutere di politica, con l’intenzione di far spettacolo e non di chiarire i problemi che ci assillano.

Quasi sempre due Italie si confrontano e litigano in queste trasmissioni veramente deprimenti per l’ansia che suscitano in chi ascolta. Due Italie che si parlano con voci alterate, parlano sempre di problemi irrisolti o da risolvere in un tempo indeterminato, problemi soprattutto di carattere economico. E poco si capisce quando dagli uni e dagli altri sono snocciolate cifre di milioni e di miliardi, addizioni e sottrazioni, compensi e scompensi, entrate e uscite, debiti (soprattutto) e tasse tasse tasse, con numeri che fanno girare la testa. Se ne parla in modo rissoso e veloce, troppo veloce per seguire i conteggi. Come potremmo controllare quelle addizioni e sottrazioni, politiche e partitiche, più che matematiche? E comunque dovremmo avere a nostra disposizione uno stuolo di ragio nieri che là per là, con carta e penna, ci mettessero in grado di capire l’attendibilità di quei conteggi, chi ha torto e chi ha ragione. Ma è mai possibile?
E poi, in queste trasmissioni, insieme ai politici che si fronteggiano con accuse e contro accuse, c’è sempre un terzo convitato, che appare in documentari raccapriccianti, ed è il popolo che arginato dalla polizia grida la sua disperazione dalle piazze e dalle strade, la disperazione delle fabbriche chiuse, degli stipendi non pagati, delle case violate, delle cose non fatte, e soprattutto di un’infame disuguaglianza econ omica che comincia dalle pensioni e grida vendetta, perché solo i politici hanno pensioni, vitalizi e indennità che gli altri, i non politici, si sognano. Ci sono sempre stati i ricchi e i poveri in ogni Paese, perché così va il mondo. Ma quando i ricchi sono ricchi di Stato, quando accumulano vitalizi, prebende e pensioni dorate, solo perché fanno politica, allora vuol dire che siamo in Italia.
C’è su questo punto un’insensibilità sconcertante. Nessun segno, nessun provvedimento, nessun gesto, neppure simbolico, arriva dalla politica ai diseredati. L’antipolitica, coi suoi grilli parlanti e strepitanti, nasce anche da questa mostruosa indifferenza morale. Quando ho letto La Casta , il libro di accusa scritto cifre alla mano da Stella e Rizzo, ho pensato alla Rivoluzione Francese, alla Casta rinchiusa a Versailles, ai patiboli e alle ghigliottine. Associazioni di idee involontarie e pericolose, ma inevitabili.
Ma tornando al discorso politico e alla sua incomprensibilità è anche vero che questo discorso si fa sempre più complicato e difficile da sbrogliare, si avvolge su se stesso, diventa lo «gliommero» gaddiano, il gomitolo inestricabile creato dalla natura dissociata e inconciliabile degli italiani che preferiscono sempre il particulare al bene comune, e ricorrono facilmente all’insinuazione e al pettegolezzo pur di far prevalere le proprie e interessate ragioni. Non tutti riescono a comprendere le sottigliezze cui i politici ricorrono, ma continuamente la gente dotata di senso comune si rende conto che le loro sono meschine battaglie in un bicchier d’acqua, e che mentre nel mondo accadono cose davvero epocali, cose terribili come le lotte di religione e di civiltà, noi chiamiamo epocali eventi insignificanti, e parliamo solo di quelli… E la sproporzione tra quel che accade nel mondo e quel che si confabula in Italia rende ridicola la nostra politichetta.

Mi rendo conto che quel che dico può sembrare troppo semplificatorio, ma credo che molti sentano in questo modo la politica. Uno scontento molto forte la accompagna, e quello è giustificato e non ha bisogno di dimostrazione. E insieme c’è la sensazione di essere esclusi, di non poter davvero partecipare alla cosa pubblica, per un difetto di linguaggio non so fino a che punto voluto. È come se non si capisse la lingua della politica o non si potesse parlarla. Per esempio non so quanti abbiano capito dalle informazioni che dà la politica quel che ogni giorno accade, anche perché ogni decisione, ogni provvedimento, ogni disposizione, concetto, patto, alleanza è soggetto a continue evoluzioni, modifiche, veti, adattamenti, compromessi, eccetera, per cui alla fine di questo processo non sono più quelli di prima e sono diventati inafferrabili, e spesso sono solo flatus vocis . Per esempio, quanti sanno veramente cos’è il Jobs act? E l’Italicum? E quello che succede al Senato? E cosa accade alla legge elettorale? E la vera situazione economica dell’Italia rispetto all’Europa (tranne che è pessima)? E così le tante leggi, i tanti debiti, e i tanti provvedimenti per sanarli?
E infine la questione grossa del Mare Nostrum. È vero che è un problema, ma nessuno dice in pratica che fare. Dovremmo mandare i rimorchiatori a rimorchiare in mare i barconi carichi di migranti? Per lasciarli dove? A chi? Insomma sono molte le domande che ci facciamo sui tanti aspetti incontrollabili della situazione, e sono scarse e poco convincenti le risposte che la politica ci dà: la verità è che la loro confusione è entrata anche nelle nostre teste.