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 2014  dicembre 14 Domenica calendario

QUANDO LA DEMOCRAZIA TEDESCA SI VEDEVA SOLTANTO AL KABARETT

Che spasso dovevano essere il grande regista Max Reinhardt vestito da Pierrot e il drammaturgo Frank Wedekind con indosso una tunica rossa e una mannaia in mano. L’uno nel ruolo di conférencier davanti al pubblico esultante del cabaret berlinese Schall und Rauch inaugurato nel gennaio del 1901, pochi giorni dopo quello aperto dal barone von Wolzogen, l’Überbrettl, nei pressi di Alexanderplatz. L’altro, a Monaco, nel leggendario locale Undici boia nel quartiere bohémien di Schwabing, pronto a intonare le sue grottesche ballate come Brigitte B. o L’assassinio delle zie.
Chansonnier
Quello chansonnier era in realtà il più rivoluzionario autore di teatro dell’epoca: Brecht impazziva per i suoi testi, Heinrich Mann lo venerava e Karl Kraus lo lanciò nella sua Vienna. Era un uomo con un grande carisma, ostile alla morale sessuale borghese, alla censura e al Kaiser che lo spedì in carcere. Un cantastorie irriverente e mordace che contribuì a fare del Kabarett (è d’uopo a quelle latitudini la cappa) uno spazio di libertà e critica sociale dove, più che altrove, affiorava lo spirito dell’epoca, come ci racconta con grande vivacità Paola Sorge nel suo libro Kabarett! Satira, politica e cultura tedesca in scena dal 1901al 1967 pubblicato dall’editore Elliot. Un Baedeker della risata, dello sberleffo, del ghigno satirico, in cui l’autrice invita non di rado il lettore a partecipare direttamente ad alcune serate. La sua ospitalità riserva infinite sorprese come i gustosi testi tradotti e i personaggi che si alternano sulla scena della «piccola musa» per la quale scrivevano poeti e artisti di primo piano: dal rivoluzionario Erich Mühsam a Walter Mehring, dal vagabondo Klabund allo scrittore Erich Kästner e al grande Tucholsky, uno degli spiriti più graffianti dell’epoca weimariana. Le musiche erano spesso di Friedrich Hollaender, autore di canzoni di successo come quelle lanciate da una provocante Lola Lola, cioè Marlene Dietrich, nel film L’angelo azzurro di von Sternberg.
In quei locali, trasformati spesso in club privati per evitare le noie della censura, dove gli autori erano per lo più pagati con un pasto o con pochi spiccioli, nacquero grandi dive come Gussi Holl, che si esibiva allo Chat noir di Berlino nella centralissima Friedrichstrasse per un pubblico d’alto bordo, o la piccola e maliziosa Claire Waldoff che, poco lontano, al Linden-Kabarett, apostrofava con spavalderia l’imperatore. Era già una star prima dello scoppio della Grande Guerra e divenne un prototipo per le cantanti degli Anni Venti e Trenta come Blandine Ebinger e Trude Hestenberg. Quest’ultima aveva aperto il locale Wilde Bühne nella cantina del Theater des Westens dove esordì con un paio di ballate il giovane Brecht e dove si esibì anche Josephine Baker, ingaggiata nel 1925 al Café Sanssouci dal musicista Rudolf Nelson che aveva un debole per le chanson piccanti.
La satira politica
Sono gli anni ruggenti in cui la scena del Kabarett mostra sempre più il volto d’una Germania democratica, antimilitarista e antifascista. E trova accoglienza nei caffè, mentre vanno di moda le riviste in celebri locali come il Wintergarten e il Metropol, dove furoreggia la maliarda Fritz Massary che stregava gli uomini con la sua voce. Col tempo poi il Kabarett si trasforma, la satira tagliente lascia spazio a spassose canzoni e storielle, mentre la scena è sempre più occupata da avvenenti soubrettes. Tuttavia quel luogo di impertinenti utopie resta ancora negli anni weimariani il «campo di battaglia - come sognava Hollaender - su cui con le sole armi pulite delle parole giuste e della musica si possono distruggere le armi d’acciaio». John Heartfield, membro del gruppo dadaista berlinese, ci aggiungeva dell’altro: per lo Schall und Rauch in versione postbellica disegnava marionette e manifesti, poi in esilio, creerà fotomontaggi contro Hitler, Göring e perfino il «superuomo» Mussolini.
I figli di Mann
Ormai il Kabarett era sempre più subissato dal vociare nazista; lontani erano i tempi in cui la brutta, rossa Rosa Valetti voleva cambiare il mondo con le sue canzoni politiche al Café Grössenwahn sul Kurfürstendamm, mentre a Monaco il clown metafisico Karl Valentin scatenava risate con i «drammi in dieci minuti». Proprio nella capitale bavarese alla vigilia dell’avvento di Hitler al potere, i figli di Thomas Mann, Erika e Klaus, con la grande diseuse Therese Giehse, aprono il Macinapepe, che mette alla gogna le false illusioni e la violenza del nazismo. Un tentativo temerario che segnò la fine di un’epoca.
Il dopoguerra è un’altra storia. Ma non mancano i talenti né le voci controcorrente, come quella affilata e inesorabile di Wolfgang Neuss, che non risparmiava nessuno, nemmeno Heinrich Böll e i socialdemocratici. Mentre a Berlino Est risuona la chitarra di Wolf Biermann, che fustiga i burocrati e invoca libertà. L’uno boicottato dalla stampa nazionale, l’altro bandito dal proprio Paese. Ancora una volta il Kabarett immagina una Germania diversa e sogna l’impossibile.
Luigi Forte, La Stampa 14/12/2014