Filippo Ceccarelli, la Repubblica 26/11/2014, 26 novembre 2014
LA RIBELLIONE DEI PEONES
C’è una parola orribile, non solo in politica, che da qualche tempo designa quelli che non hanno potere, né mai lo avranno: sfigati. Un tempo questa condizione di basso rango classificava in Parlamento i braccianti anonimi dei vari partiti come peones. Ma rispetto agli sfigati della Terza e odierna Repubblica i peones della Prima e della Seconda avevano molto più peso e in fondo anche una maggiore dignità. Ogni tanto infiammavano le assemblee, più spesso accendevano dei fuochi di paglia. In proposito la storiografia è comprensibilmente povera, ma almeno una volta, alla metà degli anni 80, i peones riuscirono a sconfiggere i desideri della segreteria De Mita e a imporre il loro candidato alla presidenza del gruppo democristiano, l’indimenticabile Gerardo Bianco, in arte Jerry White.
Ecco, ieri a Montecitorio e a Palazzo Madama nessuno ha imposto niente a nessuno. Ma come per un arcano e selvatico sommovimento, o magari influenzati da una luna nera di tenebrosa coincidenza astrologica, diversi sfigati di tre o quattro partiti si sono all’unisono ribellati, ciascuno a suo modo, ciascuno contro il proprio sovrano.
E per quanto la mezza sedizione possa risultare acerba, stravagante, pretestuosa, personalistica, pazzotica e/o anarcoide, nel suo complesso la faccenda appare delicata, oltre che inedita e minacciosa nei suoi sviluppi. Una premessa, comunque, o una promessa di ciò che può accadere quando in assemblea si dovrà, prima o poi, votare la nuova legge elettorale e il presidente della Repubblica — e già qualcosina s’è vista al momento di scegliere i giudici costituzionali (uno ancora ne manca!).
Con il dovuto azzardo si può ricostruire che i moti sono nati nell’universo claustrofobico del Movimento cinquestelle, dove i dispositivi di dominio, oltretutto il più esterno e remoto, paiono rispondere a una logica tipo Medioevo più i social network. Insomma, è accaduto che l’onorevole Rizzetto è andato in tv, a “Omnibus”; e che un anonimo giannizzero del Fondatore l’ha scomunicato via blog. Ma stavolta non solo Rizzetto ha rivendicato la sua presenza al malefico talk-show, ma un gruppo di grillini è anche insorto per difenderlo.
Nel frattempo seguita ad andare in scena il dramma terminale del berlusconismo. Qui, per dovere d’argomento, si rammenta che qualche anno fa il Cavaliere ha firmato la prefazione e sempre per gratitudine ha concesso la sua solenne e gradita presenza alla presentazione della biografia di Domenico Scilipoti, intitolata giust’appunto: Il re dei peones ( Falzea, 2011).
Ma le cose, in Forza Italia, hanno da qualche giorno preso una strana piega, e molti degli eletti, vistisi di colpo scavalcati e mortificati dai casting da X-factor di villa Gernetto, l’hanno presa malissimo, fino al punto che l’onorevole Bianconi, di suo abbastanza sanguigno, ha tolto scettro e corona a Scilipoti e insiste a dire che tocca a Berlusconi, semmai, di andarsene, con i suoi giovanotti e con Ennio Doris — pessimo esempio e massimamente sacrilego.
Quindi sulla riforma del lavoro è partita la sollevazione degli ammutinati del Pd. Alcuni cogniti, altri mai visti né sentiti. Nessuno di loro stavolta si è nascosto, nessuno d’altra parte ha minacciato provvedimenti disciplinari. Il jobs act ha certamente contribuito a scatenare la ribellione, ma non occorre poi troppa malizia per capire che fermentano da tempo risentimenti di varia natura.
Contro gli ordini che arrivano dall’alto come le tavole di Mosè, contro le preferenze accordate senza pudore al giro stretto dei fiorentini, contro le fissazioni “rosa” a scapito delle competenze reali; per non dire il divide et impera e la pioggia di tweet, Verdini e la grandine di annunci. Un sordo malumore, in definitiva, sull’uomo solo al comando, che sa sempre tutto lui, che non prende mai lezioni, che va avanti e di fretta, che si ritiene invincibile e magari — oh quanti se ne sono visti! — ci porta tutti a sbattere a cento all’ora, per giunta. E bene che vada, vuole le elezioni anticipate, ed è chiaro come il sole che non ci mette in lista.
Chiude la serie, a questo punto, un fugace accenno ai profughi della diaspora di Scelta civica: anime in pena che volteggiano sulla palude del Nulla, ectoplasmi esclusi ormai anche dalle chiacchiere televisive antelucane. Ma anche per questo pronti a qualsiasi nefandezza per prolungare la maledettissima legislatura numero 17.
Promossi dal Porcellum e penalizzati dalla crisi della rappresentanza. Tristi, torvi e spaventati. Attenti dunque, monarchi, presidenti e super-leader: guardatevi dall’ira degli sfigati.