Angelo De Mattia, MilanoFinanza 26/11/2014, 26 novembre 2014
QUEL PIANO UE DA 300 MLD È IL CONIGLIO USCITO DAL CILINDRO DI JUNCKER O IL CLASSICO TOPOLINO?
Oggi il Piano Juncker dovrebbe approdare al Parlamento europeo, dopo l’esame svolto ieri dalla Commissione Ue. Vale la pena ricordare che questo piano a un certo punto del dibattito, e del confronto tra sostenitori dell’austerità a tutti i costi e fautori di una politica attiva per la crescita e l’occupazione, è apparso come il coniglio estratto dal cilindro per trovare una mediazione che in qualche modo depurasse la richiesta di flessibilità nell’applicazione delle regole dai tentativi di ammettere gli sconfinamenti dai noti parametri comunitari, oppure di istituzionalizzare la golden rule, ovvero la possibilità di sottrarre i cofinanziamenti nazionali degli investimenti dal rispetto dei parametri stessi. Il conseguimento di risultati certi su questo versante fu visto, in particolare dal governo italiano, come condicio sine qua non per la nomina a presidente della Commissione di Jean-Claude Juncker, dopo che per alcune settimane non era stato espresso il consenso a tale candidatura, assumendosi comunque costantemente l’obiettivo di legare la designazione del nuovo presidente a un cambiamento di verso nelle politiche dell’Unione. Dopo discussioni e messaggi, a volte cifrati, il personaggio Juncker che, per la grande esperienza politica, anche di piccolo cabotaggio, ben potrebbe essere definito un volpone, ha pensato di lanciare il ballon d’essai del piano di investimenti da 300 miliardi che ha avuto l’effetto di ammorbidire i contrasti e far convergere sulla sua nomina anche la posizione del governo italiano in una con i voti del gruppo dei socialisti e democratici, dopo l’originaria adesione dei popolari. Sulle prime in effetti si sono attribuite, troppo sbrigativamente, virtù taumaturgiche a questo piano, di cui per lungo tempo non si è saputo nulla quanto a composizione e articolazione. Il suo lancio, avvolto pur sempre nella genericità, è valso ad attutire le spinte per un intervento più deciso sulla validità dei vincoli europei soprattutto in una fase di eccezionali difficoltà. Purtroppo, non si è più scesi, come invece in un primo momento sembrava che l’esecutivo italiano di Matteo Renzi si fosse riproposto di fare, nel merito del Fiscal compact, di cui tante volte abbiamo sottolineato su queste colonne, sulla scorta dei saggi di Giuseppe Guarino, la sostanziale illegittimità e, in ogni caso, la forte contraddizione con le misure che oggi sarebbero necessarie in una situazione di recessione e di prossimità alla deflazione. Si è ecceduto, insomma, nell’attribuire al piano Juncker potenzialità che, alla luce delle notizie sulla sua definizione, sono assolutamente ipervalutate. Se il piano che sarà presentato in Parlamento sarà composto da un fondo, collegato alla Bei, di 21 miliardi, di cui 5 corrisposti dalla stessa Bei e con una leva di 1 a 15 - dopo che si era parlato di un fondo di 40 miliardi, scesi poi a 30, anche essi inadeguati - si tratterà della classica scelta del topolino, come pure si era temuto scrivendo su queste colonne.
Si vedrà, poi, come saranno regolati i rapporti tra il fondo e i singoli Paesi, ma, se questo sarà il coniglio estratto da Juncker, vorrà dire che chi vi aveva riposto speranze dovrà subito ricredersi e adoperarsi per una diversa struttura e composizione del piano, con un impegno delle istituzioni comunitarie ben più rilevante. Siamo già reduci dall’avere osservato, in questi anni, piani europei finiti nel nulla o quasi, come quello spesso ricordato dalle cronache di 120 miliardi o l’altro, di assai deboli effetti, della Garanzia Giovani. Questo sarebbe il piano Ter delle illusioni. Ma oltre ad agire sul piano stesso, poiché esso era stato concepito come sostitutivo di altre misure, come quella citata in precedenza della golden rule, di cui non si dovrebbe smarrire la necessità, andrebbe colta l’occasione per ritornare su queste richieste, che sono assolutamente fondate. Sarebbe singolare, invece, se dovesse esservi un sottile incrocio di do ut des tra la valutazione (favorevole) della nostra legge di Stabilità, che sarà ufficialmente definita venerdì prossimo dalla Commissione, e l’accettazione delle microdimensioni del tanto strombazzato piano. Matteo Renzi ha più volte affermato - e lo ha fatto pure ieri - che sin dall’inizio del nuovo anno si riprenderà l’iniziativa in Europa per la riconsiderazione dei vincoli e per le riforme, con l’obiettivo della crescita. Non ci sarebbero ragioni valide, in effetti, per rinviare al 2015 una maggiore incisione nel dibattito europeo, potendo l’Italia sfruttare almeno le ultime settimane di presidenza europea. In ogni caso, considerati i risultati non esaltanti sinora conseguiti, il tema della convergenza, la messa in comune delle sovranità, come spesso retoricamente si dice, andrà visto con grande attenzione perché esso, allo stato degli atti, si tradurrebbe in una mera cessione di sovranità. Il rischio è che, alla fine, l’Europa non riesca a incidere sui temi alti citati ieri nel grande discorso di Papa Francesco nel Parlamento europeo, ma neppure a operare una svolta sulle tematiche della crescita e del lavoro.
Angelo De Mattia, MilanoFinanza 26/11/2014