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 2014  novembre 26 Mercoledì calendario

LE CHIESE POSSONO LICENZIARE

da Berlino
Divorzi? E io ti licenzio. Le chiese in Germania, la cattolica e la luterana, sono il più grande datore di lavoro dopo lo stato. Per loro lavorano circa 1 milione e 200 mila tedeschi: non c’è settore dove non siano presenti, dall’editoria alla scuola, dall’agricoltura al turismo.
I dipendenti sono tutelati come tutti i normali lavoratori, o almeno dovrebbero. Una sentenza di pochi giorni fa della Corte costituzionale sembra invece concedere particolari diritti alle Chiese, e meno tutele per i lavoratori, di qualunque cosa si occupino. È legittimo, sostengono i giudici, che si tenga presente il particolare status di un’organizzazione religiosa. Come impiegare qualcuno che viola i principi e la morale della Chiesa?
Anni fa, una mia conoscente era impiegata come insegnante in una scuola cattolica. Lasciò il marito e si portò via i figli piccoli, in attesa di divorzio. Ovviamente, nel suo ambiente tutti ne erano a conoscenza. Anche il rettore, ma si fece finta di niente, «all’italiana». Finché la solita amica moralista integerrima la denunciò alle autorità scolastiche. Ora che il caso diventava pubblico, la Chiesa fu costretta a reagire, non la licenziò, ma la pregò di dimettersi alla fine dell’anno scolastico. E lei obbedì, con mia sorpresa. In fondo hanno ragione loro, mi spiegò. Non era credente, ma trovava logico che la Chiesa si scegliesse gli insegnanti che più gradiva. Certamente, la Germania non è l’Italia, e la mia amica in un paio di settimane trovò un’altra cattedra, nella scuola pubblica.
Il nuovo caso, riportato dalla Süddeutsche Zeitung in prima pagina, riguarda il primario di un ospedale nella Nord Renania Westfalia, regione del nord, con una rilevante minoranza cattolica. Il dottore venne assunto da un ospedale cattolico nel 2000, quando era regolarmente sposato. Poi la coppia si divise e lo specialista cominciò a convivere con una nuova compagna. Come per la mia amica, evidentemente, la Chiesa ne era a conoscenza, ma chiudeva gli occhi, fin quando il primario decise di regolarizzare l’unione e di sposarsi una seconda volta civilmente. Arrivò puntuale il licenziamento.
L’Herr Doktor, meno comprensivo della mia amica, anche perché i posti da primario non sono molti, nel 2011 ha fatto ricorso alla Corte costituzionale e ha perso. Ma non è detta l’ultima parola, ha presentato ricorso, e potrebbe accadere che in seconda istanza i giudici cambino idea: «Non esiste un assoluto diritto al licenziamento, si legge nella prima sentenza, ma bisogna rispettare i diritti di entrambe le parti».
In altre parole, non si può sempre essere sicuri di venir tutelati in base ai principi della Costituzione. Ognuno è libero di credere a Dio, a un Dio suo, o di non credere, ma non può obbligare la controparte ad accettare le sue idee.
Una giovane turca era stata assunta come insegnante in una scuola pubblica, ma le venne vietato di salire in cattedra con il Kopftuch, il velo islamico. Per strada può sfoggiarlo o meno, in fondo è il fazzoletto che portavano sui capelli le donne del nostro Meridione fino agli anni Cinquanta. Ma come insegnante è una funzionaria dello stato tedesco e deve rispettare la Costituzione che sancisce la parità tra uomo e donna. Lei ha protestato: il Kofptuch lo porta per sua libera scelta e non è un simbolo di sottomissione femminile. I tedeschi la pensano diversamente. Nessuno la obbliga a lavorare per lo stato di cui non condivide i principi.
Roberto Giardina, ItaliaOggi 26/11/2014