Stefano Feltri e Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 9/11/2014, 9 novembre 2014
COMUNI, GLI SPRECHI SEGRETI
C’è una ragione se i dossier lasciati in eredità dall’ex commissario alla revisione della spesa Carlo Cottarelli sono rimasti in un cassetto, secondo la decisione di Palazzo Chigi: dimostrano che i tagli lineari voluti dal premier Matteo Renzi colpiranno in maniera indiscriminata enti locali che hanno livelli di efficienza diversissimi, alcuni sono prodigi di buona amministrazione, altri bruciano una quantità di risorse difficile da spiegare.
Il Fatto Quotidiano ha letto il “Documento per il commissario Cottarelli” prodotto dal “gruppo di lavoro Comuni”, coordinato dal segretario generale dell’Anci, l’associazione dei Comuni, Veronica Nicotra e curato dal suo assistente, Francesco Clementi. È del 18 marzo 2014, buona parte dei numeri usati sono presi dai bilanci 2009/2010, ma le conclusioni sono molto attuali ora che la legge di Stabilità si appresta a tagliare 1,2 miliardi di euro ai Comuni che già ne hanno persi 16,2 dal 2007 tra effetti del Patto di Stabilità interno (che limita le spese) e riduzioni dei trasferimenti.
Basta qualche cifra per riassumere gli sprechi che l’Anci riconosce: in Abruzzo pulire un metro quadro di proprietà comunale costa in media 10,40 euro. Ma è una media del pollo in stile Trilussa, perché i Comuni più virtuosi (il 25 per cento che spende meno) pagano soltanto 5,19 euro, quelli meno efficienti (il 25 per cento più spendaccione) 12,2 euro. C’è anche chi riesce a spendere, sempre per un singolo metro quadro, 84,5 euro. E queste sono le differenze dentro una sola Regione. Giusto per stare alle pulizie, c’è un Comune in Veneto che riesce a sborsare addirittura 2.078,6 euro.
Rispettosi del principio per cui si dice il peccato ma non il peccatore, il dossier portato a Cottarelli al ministero del Tesoro indica soltanto numeri senza nomi. Ma il senso è chiarissimo: ci sono enormi differenze di sprechi non soltanto tra Comuni grandi e Comuni piccolissimi (e questo è normale, per molte funzioni l’efficienza è possibile soltanto quando si verificano economie di scala, altrimenti i costi fissi non vengono spalmati), ma anche tra Comuni delle stesse dimensioni e all’interno della medesima Regione. Guardate le “spese per utenze telefoniche per dipendente” : in Campania vanno da 0,12 a 3.103 euro per dipendente . Oscillazioni dovute a inefficienze meridionali? Non proprio: se guardiamo i Comuni con meno di 2 mila abitanti oscillano tra 4 centesimi per dipendente e 45.380 euro. Media: 908 euro. Sperequazioni assurde frutto di qualche perversione locale, ma anche se guardiamo i grandi centri sopra i 250 mila abitanti la forchetta è comunque ampia: una media di 787, con minimi registrati a 283 euro e massimi a 1.782.
Sugli affitti gli sprechi sono evidenti e, pare, semplici da ridurre : nel dossier si legge che la Regione Sicilia ha scoperto di pagare canoni calcolati su valori pari al doppio di quelli rilevati dall’Osservatorio sul mercato immobiliare. E risparmiare il 15 per cento è stato relativamente facile. Richiamare chi esagera non basta, è l’analisi nel dossier dell’Anci, bisogna cambiare alcune leggi: bisogna obbligare le compagnie di assicurazione a fare tariffe differenziate per il settore pubblico e vietare agli amministratori di comprare “prodotti assicurativi più articolati (Kasko, furto incendio, assistenza...) e spesso per tramite di broker assicurativi, che introducono una commissione di intermediazione in contratti facilmente gestibili dal buon padre di famiglia”. Un primo passo per risolvere storture come quelle registrate oggi: in una Regione critica per il mercato assicurativo come la Campania, il 25 per cento dei Comuni più economici assicurano veicoli equivalenti per 462 euro, il 25 per cento più spendaccione per 1.119. In Veneto la media è 692 euro a veicolo, ma si arriva a picchi di 15.400.
Questo dossier si inserisce nel dibattito decennale sui costi standard. In un Paese ideale lo stesso servizio costerebbe uguale, o quasi, in tutti i Comuni. La legge sul Federalismo fiscale del 2009 prevedeva che si determinassero i costi standard, poi i “fabbisogni standard”, cioè di quante risorse ha bisogno ogni amministrazione per garantire i servizi a un livello considerato dignitoso. I Comuni che non riescono a raccogliere abbastanza risorse con le tasse, perché i contribuenti hanno redditi bassi e i cittadini che hanno bisogno di prestazioni sociali sono tanti, hanno diritto ai contributi “perequativi” pagati dalla fiscalità generale, cioè da tutti i contribuenti. A ottobre l’Istituto per la Finanza e l’Economia Locale, pensatoio dell’Anci, avvertiva che un ulteriore taglio lineare delle risorse comunali “comporterebbe il sostanziale snaturamento del significato e delle finalità originarie del progetto-fabbisogni”. Ma il governo ha deciso un nuovo taglio da 1,2 miliardi e il dossier consegnato a Carlo Cottarelli è stato dimenticato.
Stefano Feltri e Carlo Tecce, il Fatto Quotidiano 9/11/2014