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 2014  novembre 09 Domenica calendario

ARTE, DEBITI E SARCASMO PUNK BELLO ESSERE “POVERI MA SEXY”

Una posizione geografica, un destino. Dopo la caduta del Muro, disegnando una croce immaginaria sull’Europa allargata a Est, sembrava che Berlino non potesse diventare altro che il crocevia economico e finanziario del continente. E invece. Come altre volte nella storia, la capitale simbolo del Novecento ha scartato. Ha tirato fuori quello spirito ironico e musone che l’ha sempre caratterizzata e si è reinventata contro ogni pronostico come città povera nel Paese più ricco, creativa e indebitata. E non è un caso che il primo grande successo letterario post ’89 sia stato un romanzo satirico di un berlinese dell’Est cresciuto a pochi metri dal muro, Thomas Brussig. «Eroi come noi» narra le vicende di una sorta di Simplicissimus della Ddr, uno zelante, sfigato impiegato della Stasi che confessa a un giornalista del «New York Times» di aver abbattuto il Muro con un colpo d’anca, insomma col pene. Nella città attraversata per decenni da una ferita che doveva ricordarle sempre la violenza della guerra e dello sterminio di sei milioni di ebrei, il punk e una risata (amara) hanno seppellito tutto.
Chi la immaginava capitale palpitante del business tra Est e Ovest, chi la vedeva già trasformata nella Londra o nella Francoforte della nuova Europa, è stato deluso. I grandi investitori si sono tenuti alla larga, le banche sono rimaste a Ovest, persino la grande borghesia delle città anseatiche o del Sud non è mai approdata qui. Che è, tra l’altro, il problema principale degli artisti: vengono nella capitale in massa, attratti dai prezzi ancora bassi degli affitti e da una scena culturale ricchissima, ma faticano a vendere. Mancano i ricchi, a Berlino, mentre l’ultima inaugurazione della Berlin Art Week, con settemila persone e clima da concertone, mostra l’iperinflazione da artisti e presunti tali.
Piuttosto che a Francoforte, Berlino ha deciso di somigliare a New York. Con la sola ma significativa differenza che è sempre rimasta «povera e sexy» per citare il sindaco più rappresentativo della metamorfosi della città di Doeblin, Klaus Wowereit. Persino gli ebrei tornano perché poche altre città al mondo portano i segni della loro cultura come questa. «È la nuova Gerusalemme», ci disse l’israeliano Zeev Avrahami nel suo piccolo ristorante di Prenzlauer Berg, mostrandoci orgoglioso le foto dei due figli avuti con una donna tedesca.
È anche la capitale della rabbia, dove l’apertura degli archivi dei servizi segreti post ’89 scoperchiò il verminaio di delazioni e tradimenti che era la Ddr, e dove per esempio l’enfant prodige dei poeti di Prenzlauer Berg, Uwe Kolbe, scoprì che il padre era stato un alto ufficiale della Stasi ma anche che Sascha Anderson, figura di spicco di quella scena letteraria, li tradiva da anni nei suoi puntuali rapporti al ministero di Mielke. E se fino a pochi anni fa le cartine dimostravano, impietose, che i quartieri berlinesi dove vivevano gli alti funzionari dei servizi segreti più feroci d’Europa erano anche quelli dove la Linke raccoglieva più voti, si può comprendere perché la capitale si spacchi ancora quando il dissidente e più grande cantautore della ex Germania comunista, Wolf Biermann, insulta il partito di Gregor Gysi in Parlamento.
Recluso per anni nel suo appartamento berlinese, nella Chaussestrasse (che divenne anche il titolo del suo disco più bello), dove poi emerse che era stato spiato da molti amici e persino da un’amante, Biermann fu buttato fuori dal Paese da Honecker nel 1977. Nei giorni scorsi ha cantato nel Bundestag una canzone simbolo dei suoi anni da dissidente, «Non ti far indurire, in questi tempi duri» e ha insultato il partito di sinistra radicale erede della Sed comunista, chiamandolo «il miserabile resto della covata del drago». Ed è questo, forse, il volto più vero di Berlino, quello letterario, quello artistico, quello della continua riflessione su se stessa, della rigorosa ricostruzione storica. Una tradizione che affonda le radici nel Settecento, quando Federico II sbaragliava i nemici conquistando la Slesia ma amava soprattutto confrontarsi con Voltaire.
La capitale, inoltre, è da sempre, ma soprattutto da quando le miriadi di gru e i tubi colorati della ricostruzione ne riempivano l’orizzonte negli Anni Novanta, terreno di sperimentazione musicale, roccaforte della techno e dell’elettronica ma anche orgogliosa patria di gruppi storici come gli Einstuerzende Neubauten che dagli Anni Settanta torturano secchi dell’immondizia e strumenti tradizionali cantando la capitale che sparisce e, ora, gli orrori della speculazione. Difficile dire cosa sarà Berlino tra dieci anni, ora che gli affitti aumentano vertiginosamente e che sta sparendo uno dei principali punti di attrazione della città. Ma forse è anche inutile chiederselo. Come scrisse Karl Scheffler all’inizio del secolo scorso, «Berlino è una città condannata per sempre a diventare e mai a essere».
Tonia Mastrobuoni, La Stampa 9/11/2014