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 2014  ottobre 31 Venerdì calendario

STORIA DI ALICE CHE FU LA TALENT-SCOUT DI MARIA MONTESSORI


Si chiamava Alice Hallgarten Franchetti e Wikipedia le dedica mezza riga, per definirla “moglie di”.
Eppure è stata lei a lanciare Maria Montessori. È lei che l’ha scoperta, sostenuta, finanziata. Lei lo “spirito superiore” che ha spinto un’idea verso il libero volo. «Ero rimasta nell’oscurità, senza aiuto», scrive la stessa Montessori nel Corso di pedagogia scientifica, 1909, «nessuno aveva compreso lo sforzo, a volte tragico, per sollevarmi, per sorreggermi, in questo lavoro umano, arduo come tutti quelli che nel mondo non hanno ancora il loro posto (...). Molti visitavano la Casa dei bambini per ritemprarsi in quel bagno spirituale: solo la baronessa Franchetti ha compreso che quell’acqua avrebbe rinvigorito l’umanità».
Chi è Alice Hallgarten? Nata nel 1874 negli Stati Uniti da una famiglia dell’alta borghesia tedesca di origini ebraiche, cresce fra Francoforte e New York come una qualsiasi facoltosa figlia della Belle Époque, fra viaggi e musica, esposizioni universali e filantropia. Ha una buona formazione cosmopolita, è curiosa, sensibile, nutrita di una forte spiritualità. Ma nulla di più fino all’incontro con le plebi agricole dell’alta valle del Tevere. E con il barone Leopoldo Franchetti, deputato del Regno d’Italia, intellettuale conservatore ma attento ai problemi sociali. Leopoldo ha quasi trent’anni più di Alice e un carattere chiuso e solitario, tendente alla depressione. L’incontro con la giovane Hallgarten, a Roma, gli scompiglia la vita: nel 1900 il barone la sposa, mettendo terre e patrimonio a disposizione del vibrante umanitarismo della moglie, ben lieto di farsi trascinare dalla sua energia.
Davanti alla miseria dei contadini, e soprattutto alla disperata condizione delle donne, la carità velatamente aristocratica di Alice si impregna di un imprevisto senso di giustizia: meglio il lavoro dell’elemosina, solo un’attività retribuita può affrancare dal bisogno e restituire dignità a vedove, lavandaie, ragazze-madri. Solo liberando dall’analfabetismo i loro figli si può costruire una società più degna.

Maestre inglesi per i figli dei contadini. Così nel 1901 – ben prima di incontrare la Montessori – la baronessa Franchetti apre la sua prima scuola rurale sulle colline di Città di Castello, al secondo piano della villa della Montesca, di sua proprietà. L’anno successivo viene inaugurato un secondo istituto nella tenuta di Rovigliano. Per offrire istruzione elementare gratuita ai figli dei contadini, Alice raccoglie quanto di meglio esista in fatto di educazione infantile, e chiama a insegnare pedagogiste europee e americane d’avanguardia, da Lucy Latter a Vida Dutton Scudder. Le 6 classi delle scuole elementari Franchetti diventano una fucina di sperimentazioni, incontri, dibattiti. Un’accademia fertile di nuove metodologie. Quella che entra in classe è una sorta di scuola-giardino, luogo in cui l’infanzia cresce accudita da maestre-giardiniere. I bambini sono spinti all’osservazione diretta delle cose, e alla loro riproduzione attraverso il disegno. Si impegnano nello studio della natura, delle scienze e della geografia, coltivano orti e giardini, si dedicano al canto e alla tessitura. Pensando a San Francesco – ma sfiorando Marx – la Franchetti fonda anche il Laboratorio Tela Umbra (tutt’oggi in funzione), un’officina che riuscirà a salvaguardare negli anni l’antica arte della tessitura. L’azienda nasce come «aiuto alle madri bisognose attraverso l’offerta di lavoro»: 40 telai, due grandi saloni, persino l’asilo nido per i bimbi delle lavoranti, che vengono salariate e partecipano agli utili dell’impresa. «Quello che oggi balza agli occhi ha dell’incredibile», scrive il critico storico Ivan Teobaldelli, «c’è stato un tempo, un luogo e dei protagonisti che si sono miracolosamente fusi insieme, e non è successo a New York o a Londra, ma nelle campagne dell’Alta Valle del Tevere, dove agli inizi del Novecento i Franchetti sperimentano le istanze radicali di Sabatier, di Murri, le intuizioni didattiche della Montessori…».
L’incontro fra Alice Franchetti e Maria Montessori avviene a Roma, sul divano della scrittrice Sibilla Aleramo, femminista, attiva nell’educazione dei bambini dell’Agro pontino. Sono anni in cui molto si discute di promozione sociale dei contadini, di educazione popolare e riscatto femminile. Idee riformiste e rivoluzionarie si fronteggiano sul tema dell’emancipazione umana. La Montessori è una neuropsichiatra, studiosa di turbe del comportamento, molto attiva nel movimento femminista. Come prima donna italiana laureata in medicina è già famosa, ma la strada davanti a lei sembra troppo lunga e lenta per la sua fame di risultati. Nel 1907 la ristrutturazione del quartiere malfamato di San Lorenzo, a Roma, le dà l’occasione di aprire la prima Casa dei Bambini: un asilo-rifugio dove una cinquantina di figli della miseria proletaria vengono lasciati liberi di agire, pensare, costruire se stessi senza vincoli, senza il ricatto di premi e castighi. In una prodigiosa armonia.
Per Alice il nuovo metodo è una folgorazione. Nonostante sia imbevuta di idealismo quanto Maria lo è di positivismo scientifico (o forse proprio per questo), intuisce la potenza innovatrice dell’idea della pedagogista, visita la sua Casa dei Bambini e da quel momento decide di battersi per promuovere lei e il suo nuovo modello educativo. Cominciando dal marito. Capisce che l’appoggio di Leopoldo è fondamentale per qualsiasi iniziativa, deve quindi riuscire a mostrargli direttamente l’operato della Dottoressa, quei bimbi che – pur cresciuti nel degrado urbano – si muovono liberi, pacifici, creativi.
Per trascinare il barone a Roma – ricorda Anna Maria Maccheroni, amica e collaboratrice della Montessori, nel libro a lei dedicato (Come conobbi Maria Montessori) – Alice va addirittura a prenderlo in Sicilia, di ritorno da un suo viaggio in Africa. E riesce nell’intento, tant’è che Leopoldo in persona, nei corridoi di questa Casa a misura di bambino, si rivolge bruscamente alla Montessori, chiedendo: «Ma l’ha scritto un libro? Perché se lei morisse, tutto questo sarebbe perduto». No, non c’è un libro, non c’è niente, ancora. Solo un’idea che vaga di bocca in bocca. Da qui l’invito a trasferirsi a villa Montesca, per metter su carta il pensiero bizzarro e dirompente di uno sviluppo spontaneo e libero del bambino. A casa di Alice, Maria può lavorare in piena tranquillità, ha l’occasione di vedere le scuole Franchetti all’opera, di confrontarsi, di contaminarsi. In meno di un mese il manoscritto è pronto. Siamo nel 1909. «Al momento della stampa», racconta M. Luciana Buseghin, autrice del libro Alice Hallgarten Franchetti, «i coniugi decidono di non passare da una casa editrice, che potrebbe chiedere chissà quali cambiamenti, bensì di andare direttamente in tipografia. Del pensiero della Montessori non vogliono modificare neppure una virgola». Il manoscritto è portato dunque a mano nel piccolo stabilimento Lapi, a Città di Castello, dove il barone è ben conosciuto. È qui che la prima versione de Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione nelle Case dei bambini viene al mondo. Un’opera – stampata nella provincia italiana a spese di una nobildonna illuminata – destinata a rivoluzionare i destini dell’istruzione infantile in tutta Europa e oltre. Sarà tradotta in 36 lingue, e troverà applicazione in 58 Paesi.

La visita della regina. Ma il libro è solo il primo passo. Pur essendo già malata, Alice è attivissima nella promozione della Montessori. Dai carteggi della baronessa appare chiara l’ostinazione con cui vuole condividere con Maria il proprio cenacolo, presentandole una cerchia di personalità che potrebbero esserle utili, fra cui Felicitas Buchner, pedagogista della corrente dell’attivismo, legata ad Antonio Fogazzaro, o il pastore calvinista Paul Sabatier, personaggio carismatico del riformismo religioso e sociale. O addirittura la regina Margherita, che proprio grazie alla Franchetti conoscerà la Casa dei bambini a San Lorenzo.
Il libro si diffonde. Per un (breve) periodo si parla addirittura del Metodo Franchetti-Montessori, anche perché la nuova pedagogia – nata per gli asili – viene introdotta alla Montesca, trovando per la prima volta applicazione in una scuola elementare. I tempi sono maturi per una conferenza, qualcosa che incida, che spinga alla divulgazione dell’“educazione nuova”. Nell’agosto del 1909 le porte della villa si aprono ancora una volta, per ospitare il primo “Corso di pedagogia scientifica”, organizzato dalla Montessori per maestre e direttrici di scuole infantili di tutta Italia. Il patrocinio è ancora Franchetti. «Ho l’onore di presentare la dottoressa Montessori», afferma il barone Leopoldo nel suo discorso di apertura del Corso, «venuta fra noi per parteciparci i frutti degli studi con cui fa progredire la pedagogia sulla via aperta dai grandi educatori degli ultimi secoli…».
Ma non basta. È ancora Alice – sempre nel 1909 – a scrivere un articolo sul The London Journal of Education per magnificare i risultati ottenuti nella Casa dei bambini: per la prima volta il Metodo varca le frontiere, provocando un gran dibattito nella stampa specializzata anglosassone, nonché numerosi viaggi a Roma di maestre americane e inglesi per osservare sul posto l’esperimento. Una di queste, Anna George, è la prima traduttrice del Metodo (nel 1912) e una volta tornata negli Stati Uniti mette in piedi la prima Scuola Montessoriana. Nel 1913 si tiene a Roma il primo “Corso internazionale di pedagogia scientifica”, con delegati da 17 Paesi.
Nel giro di pochi anni, tutto cambia: interviste, congressi, inviti all’estero, la Dottoressa è ormai lanciata. Ma Alice non c’è più, e non può assistere al trionfo della sua protetta. Si è spenta nel 1911 in un sanatorio svizzero, uccisa dalla tubercolosi, così come era successo al padre, al fratello, allo zio. Leopoldo Franchetti – che non riuscirà mai a riprendersi dalla morte della moglie – si suicida la notte del 4 novembre 1917, appena saputo della rotta di Caporetto. Lasciando tutte le sue terre ai contadini.

Un nome dimenticato in fretta. Viene da chiedersi come mai Maria Montessori dimentichi presto una donna cui – in fondo – deve tantissimo. Nella sua opera, il nome Franchetti scompare in pochi anni. Se la prima edizione del Metodo «che è stato da loro voluto e che per opera loro esce oggi alla vita del pensiero» è chiaramente dedicata alla baronessa e al marito, nella seconda edizione (1913) la dedica diventa un secco “Alla cara memoria della baronessa” e nella terza (1926) Alice svanisce del tutto. Cadendo nell’oblio. Anche della Montesca non si trova gran traccia nel lavoro della Montessori. Perché? Forse alla base c’è il carattere della pedagogista, accentratrice per natura (e un po’ anche per necessità). O forse è forte l’urgenza di lasciarsi il passato alle spalle, per proiettarsi altrove, dove c’è un grande destino da costruire. Dopo aver cercato una consacrazione nazionale appoggiandosi (anche) al regime, negli Anni ’30 la Montessori decide di tutelare le istanze di libertà e universalità della propria opera tagliando i ponti con Mussolini e rifugiandosi all’estero. Dove riceverà sempre più attenzioni e meno critiche che in patria. Fino a mettere in piedi una sorta di multinazionale dell’educazione, un gigante che conta oggi 20 mila scuole in tutto il mondo e che annovera fra i suoi alunni di maggior successo anche gli odierni guru di Internet.
Sorte incomparabile quella delle piccole scuole Franchetti, che pur tuttavia lasciano un segno. Siamo nella prima metà degli Anni ’20, Alice è scomparsa da tempo, quando Giuseppe Lombardo Radice, pedagogista hegeliano, direttore generale per l’istruzione elementare sotto il ministro Gentile, eleva il laboratorio della Montesca addirittura a bandiera della sperimentazione italiana, additandolo come esempio per il lavoro scolastico del resto della penisola. «Nella riforma del 1923», afferma Sante Bucci, professore emerito di pedagogia all’Università di Roma, «il calendario delle scuole Franchetti viene citato espressamente nei programmi ministeriali per la 5ª elementare, in particolare per quanto riguarda il disegno». Le attività espressive messe in piedi da Alice e dalla sua cerchia pedagogica escono dalla villa per insinuarsi fra i banchi di tutta Italia. Ed è sicuramente lei, la baronessa Franchetti – sepolta al cimitero Acattolico di Roma fra Keats e Shelley, Gramsci e Gadda – la prima a scoprire Maria Montessori e a credere nella forza visionaria della sua “pedagogia della libertà”. È lei la talent-scout pronta a nutrire un’idea offrendogli un posto nel mondo, in cambio di niente. Neppure il ricordo.
Forse ce n’è abbastanza per aumentare quelle righe su Wikipedia (creata da Jimmy Wales, che ha studiato Montessori pure lui…).