Teresa Ciabatti, IoDonna 18/10/2014, 18 ottobre 2014
SANDRO VERONESI: «SONO INTEGRO, MA NON DEL TUTTO»
A otto anni da Caos calmo, Sandro Veronesi torna con lo stesso protagonista, Pietro Paladini: Terre rare (Bompiani) è il romanzo di un uomo in fuga che scopre nello sfacelo della sua vita l’approdo. Un romanzo straordinario che mentre narra la nuova vicenda di Paladini, ci dà conto del mondo otto anni dopo.
Che rappresenta per lei Paladini?
Il personaggio perfetto per raccontare questo tempo. Integro ma non del tutto. Ha principi ma li vìola.
Che tempo è questo?
Opaco. Di cose mai limpide, di persone mai limpide. Paladini ha debolezze e qualità che non combinano in un punto preciso. È fuori dall’omologazione. Come quando fai il millefoglie, inizi con due punti distanti che a furia di ripiegarli trovi che coincidono.
Paladini è il suo alter ego?
No. Io sarei andato appresso alla figlia.
Lei è uno scrittore che s’interroga sulla rettitudine.
M’interrogo su come fare a mantenerla. Quando uno si sforza di mantenerla e non ci riesce, è uno di noi. Paladini è uno di noi.
E come uomo?
Vorrei che sulla mia tomba scrivessero “era un uomo buono”, ma se non gli viene di scriverlo vorrà dire che non lo sono stato.
Il padre e le madri di questo libro si preoccupano della loro tomba - il luogo più bello, vicino all’amato - perché?
Per me le generazioni si alternano: alla commedia segue la tragedia. I nostri padri erano commedia, noi siamo tragedia. A loro, molto più che a noi, rompeva le scatole morire. Noi diciamo: chissenefrega, quando sarò morto sarò morto. Loro no, erano felici di vivere, più felici di noi, e quindi pretendevano il controllo fino alla fine. Tomba vista mare.
La differenza tra Caos Calmo e Terre rare è dichiarata nel primo capitolo: “accadono cose a me, e cose davanti a me.”
Caos Calmo è centripeto, tutto torna nella sfera di Paladini. Terre Rare è centrifugo. Paladini si perde, basta uno spostamento d’aria. L’arma di Paladini è il racconto. Caos Calmo era la versione di Paladini, noi dovevamo credere a lui.
Terre rare invece?
Qui non è come dice lui.
A metà Paladini scopre come lo chiamano i soci: “il minchione”. Cosa pensa che gli altri dicano di lei?
Sono terrorizzato dall’idea di alzare il citofono mentre gli amici escono da casa mia. Se fossi pazzo, oltre che minchione, lo farei. La gente quando esce da casa tua è nel pieno del giudizio su di te e sulla serata.
Non vuole sapere cosa pensano gli altri di lei?
La situazione più intima dove questo accade è nel rapporto padre-figlio. I figli inchiodano i padri a cose che loro non sanno, con intento vendicativo. Io lo facevo con mio padre. Eppure oggi sono le cose che mi mancano di lui, perché sono quelle l’identità vera del padre.
I suoi figli inchiodano lei?
Il problema di oggi sono i video. I miei figli mi riprendono senza che io me ne accorga. C’è il video di Natale dove tento di montare la cucinetta di Nina. Quello dove smonto e rimonto la stampante che non funziona. C’è anche il video in cui mi si rompe Sky.
E che succede?
Mi sfogo con gli oggetti, diciamo. Solo che oggi con questi telefonini rimane tutto.
Paladini dice: “le cose non devono sempre ribaltarsi su quelle vecchie”, il passato può diventare un problema?
Se non riesci a trovare una posizione anche fisica rispetto al passato, lo riproduci. C’è gente che si rimette coi fidanzati dell’adolescenza. Significa: preferisco quello che so già rispetto a quello che non conosco.
La mamma che cucina è il ricordo di serenità di Paladini, per lei qual è l’immagine del passato che torna?
Vivere nei luoghi dove sei stato fanciullo facilita. Io mi sono ritrovato ad aspettare mio figlio fuori scuola. La stessa scuola dove mia madre aspettava me. Aspettando mio figlio, rivedevo mia madre col vestito sbracciato.
Il passato di Sandro Veronesi?
Dopo sette anni dalla loro morte, sto svuotando casa dei miei genitori.
Che si fa davanti ai ricordi?
Devi scegliere. Io ho trovato ricordi d’infanzia dei miei. Il diario del liceo di mio padre, che lui aveva quasi buttato, stava abbandonato in uno scatolone. Perché avrei dovuto tenerlo? I ricordi dei miei genitori non passano attraverso i loro ricordi dove non c’ero io.
Quindi?
Diario buttato.
Suo fratello era d’accordo?
Lui avrebbe mandato una squadra a svuotare tutto, non voleva vedere niente. Poi però ho trovato l’orsacchiotto Biribì, il suo di quando aveva due anni. Senza un occhio, infeltrito, praticamente vuoto. Gliel’ho ridato. Se lo vuole buttare, lo facesse lui.
E lui?
Se l’è tenuto.
Nei suoi romanzi la famiglia è il centro delle storie, lo è anche nella vita?
Questa mia famiglia non è la replica della mia d’origine. È un modello ignoto. Cinque figli. Tre grandi, due piccoli. Manuela, mia moglie, che vive in un’altra città.
Una sola figlia femmina. Che padre di adolescente sarà?
Per tre generazioni i Veronesi hanno fatto solo maschi. Nina è la prima femmina. La genetica mi ha riservato una vecchiaia diversa dai miei avi. Non potrò replicare la loro.
Spaventato?
Il contrario: so che a una certa età, attraverso mia figlia, sarò fuori dalle esperienze precedenti. Saranno momenti emozionanti, perché tante prime volte. Poi prendere a cazzotti quello che la farà soffrire, se mai ci sarà, non lo escludo. O se, come sarebbe più giusto, riuscirò a limitare il mio intervento a un solido supporto affettivo-psicologico, dimodoché mia figlia trovi la forza di reagire lei stessa.
Nel romanzo la figlia adolescente lotta per liberarsi del “suo essere solitario”, è questo l’augurio che fa ai suoi figli?
Diderot diceva: ognuno si costruisce una statua interiore, e lo fa nel momento peggiore della propria vita, da adolescente, quando non sa ancora nulla di sé e del mondo. Poi passa il resto della vita a fare i conti con questa statua, la conserva o la distrugge. Se tu hai deciso che sei quello che non balla alle feste, dopo è complicato ballare. Bisogna riuscire a far questo, liberarsi dell’essere solitario, di quella statua interiore.
Un capitolo s’intitola "Non è facile essere verdi – Kermit La Rana", è davvero così difficile?
A diciott’anni ci riesci, a diciott’anni ce la fai a essere verde.