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 2014  ottobre 18 Sabato calendario

MARCO GIALLINI: «LA VITA RICOMINCIA GRAZIE A UNA BUONA STELLA»

Ha un’anima graffiante come il Terribile nella serie tv Romanzo criminale e il poliziotto di A.C.A.B, e comica, come nei due film di Carlo Verdone, Lei, lui e Lara e Posti in piedi in Paradiso. Con Tutta colpa di Freud, commedia di Paolo Genovese, nei panni di uno psicoanalista ha vinto il Premio Flaiano 2014 come migliore attore: «Ho fatto un buon lavoro, è il ruolo dove sono meno riconoscibile».
Dopo vent’anni di carriera, oggi sono in tanti a riconoscere Marco Giallini: ne siamo stati testimoni - il tempo di una sigaretta prima dell’intervista - vicino a Piazza Navona, dove è arrivato con la sua moto, una Buell. Il 30 ottobre sarà di nuovo al cinema con Confusi e felici di Massimiliano Bruno: «In questa commedia sono tornato a fare quello per cui sono stato partorito: il bandito romano», però stavolta viene psicoanalizzato da Claudio Bisio. Poi, dal 27 novembre, farà ridere ancora - «senza dire neanche una parolaccia» - in Ogni maledetto Natale di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo (i creatori della serie tv Boris).

Tra la sua anima graffiante e quella comica, quale prevale?
Coesistono. Ma amo i film noir, e i film francesi. Da Jean Pierre Melville in poi, li ho visti tutti. Vorrei tanto lavorare con Gerard Lanvin, Daniel Auteuil, questa gente qui. Succederà, so che succederà.

Lo dice con convinzione, ma anche con un certo distacco.
Io sono contentissimo. Ma la vita può essere tosta, durissima, può accadere che tu non ce la faccia più, e allora - anche se arrivasse il Presidente della Repubblica - non conterebbe niente.

Lei è un sopravvissuto.
Ero praticamente morto dopo l’incidente in moto che ho subito prima di iniziare le riprese di Romanzo criminale, però ero e sono così forte che dall’American Hospital i tetti della Prenestina mi sembravano i tetti blu di Parigi (ride). Quando ho visto quel biondino di mio figlio Diego tutto riccio, e Rocco, mi sono detto: come faccio a morire?

Tre anni fa ha perso sua moglie, madre dei suoi figli. Come si supera, se mai è possibile, un dolore così grande?
No, non si può superare. Ci siamo conosciuti quando eravamo quattordicenni e per i primi due anni della nostra relazione ci siamo sfiorati solo la mano. Quando è così, dopo 30 anni insieme, è impossibile. Loredana era tanta, in ogni senso. Bella davvero. E sapeva fare qualsiasi cosa: studiava, lavorava, cucinava. Rocco e Diego sono bravi in tutto, proprio come lei. Alle volte ci basta uno sguardo: loro vedono il mio dolore, e io il loro, e rimaniamo attaccati. Poi ognuno ha il suo modo, il suo metodo molto personale, per uscirne. È così, la vita.

E il suo metodo qual è?
Io ho detto: vado, con la mia moto e basta, non ci rinuncio. Come ha detto, credo, Lester Bangs: «Avrei potuto suicidarmi, ma poi mi sarei perso l’ultimo disco dei Rolling Stones». Anche se a me dei Rolling Stones non me ne importa niente.

Preferisce il punk.
Sono punk. Un belligerant. Ho una ricchissima collezione di dischi e tra i miei preferiti ci sono quelli dei Clash, degli Who, dei Sex Pistols, degli Stoogies.

Con i suoi figli condivide la passione per la musica?
Quando torno a casa a Roma - nella casa di sempre sulla Nomentana, dove viviamo con gli zii materni, persone importantissime - ci piace suonare insieme. Basso, chitarra, batteria, mentre Diego balla. Ci piace tantissimo, quasi quanto dormire tutti e tre nel lettone (fa una pausa, sorride). E adesso ho una fidanzata, che è Stella. Ci siamo conosciuti due anni fa. Mi piace. È anche amica dei miei figli. Ha 52 anni ma ne dimostra 11.

E a sorpresa la chiama. Stella compare dalla stanza accanto. È bionda, ha gli occhi azzurri, e non dimostra 11 anni, ma neanche più di 25. In realtà ne ha 35. «Perché non le fai vedere le foto dell’ultimo concerto al quale siamo andati tutti insieme?». Gli si siede accanto sulla poltrona, spostandogli la mano dove sull’anulare è tatuato un cuore indelebile, e gliela stringe.