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 2014  ottobre 22 Mercoledì calendario

IN IRLANDA DEL NORD OGNUNO PIANGE SOLO I SUOI MORTI


[Note alla fine]

1. JEAN MCCONVILLE ERA UNA VEDOVA di Belfast, madre di dieci figli. Nel 1972 si diffuse la voce che la donna fosse un’informatrice delle forze di sicurezza e avesse accudito un soldato britannico ferito. Nel dicembre di quell’anno venne prelevata da casa da una ventina di membri dell’Ira, armati e mascherati. Ai suoi ragazzi i rapitori dissero che sarebbe stata di ritorno in poche ore, invece venne giustiziata con un colpo alla testa e fatta sparire. Il suo corpo sarebbe stato ritrovato, per puro caso, solo tre decenni dopo [1]. Ad oggi, nessuna condanna definitiva per l’omicidio è stata ancora formulata [2].
È questa una delle numerose pagine oscure che segnano il periodo dei Troubles (Disordini): una guerra civile che ha martoriato l’Irlanda del Nord per trent’anni, scaturita dal malessere sociale, economico e politico della minoranza cattolica e dalle tensioni tra quest’ultima e la maggioranza protestante.
Nel 2014, a sedici anni dalla conclusione formale del conflitto con il Good Friday Agreement (Gfa), la storia di McConville è tornata improvvisamente in primo piano nell’attualità dell’Irlanda del Nord e dell’intero Regno Unito. Lo scorso aprile Gerry Adams, presidente del Sinn Féin (oggi il principale partito nazionalista nord-irlandese, che per decenni ha costituito il braccio politico dell’Ira) è stato arrestato e tenuto in custodia dalla polizia per quattro giorni in relazione all’assassinio della vedova di Belfast. Secondo le rivelazioni di alcuni ex paramilitari dell’Ira raccolte dai ricercatori di un istituto statunitense e da poco rese pubbliche, a ordinare l’omicidio sarebbe stato proprio Adams [3].
Questi ha negato con decisione le accuse, ed è stato infine rilasciato senza essere perseguito, almeno per il momento [4]. Ma l’arresto di una delle figure storiche del fronte repubblicano-nazionalista nord-irlandese, nonché personaggio chiave del processo di pace, ha fatto riemergere di colpo lo spettro di una stagione buia che sembrava alle spalle. Poco dopo l’arresto, il Sinn Féin ha minacciato di ritirare il suo appoggio alle forze di polizia [5], sostegno che costituisce un cardine del percorso di riconciliazione avviato a fine anni Novanta; il suo venir meno avrebbe quasi certamente fatto crollare il governo di coalizione faticosamente messo insieme da nazionalisti e lealisti, con il rischio di riportare indietro il paese di decenni.
Jean McConville è solo uno dei tanti fantasmi del passato che perseguitano l’Irlanda del Nord, ostacolando la cicatrizzazione delle ferite profonde che lacerano sia la comunità protestante sia quella cattolica. Negli ultimi mesi, tali fantasmi sono apparsi più irrequieti che mai. Oltre al riemergere della vicenda McConville e degli altri disappeared rapiti e uccisi dall’Ira negli anni Settanta e Ottanta, l’intero Regno Unito è anche stato scosso dalla vicenda dei cosiddetti on-the-runs.
Durante il processo per un attentato repubblicano del 1982 in piena Londra, che uccise undici soldati britannici, è emerso che negli anni successivi al Good Friday Agreement il governo di Tony Blair offrì a quasi duecento membri dell’Ira fuggiti dal Regno Unito (dunque on the run, alla macchia) la garanzia di non perseguirli per via giudiziaria in caso di un loro rientro [6].
Tali rivelazioni hanno suscitato reazioni indignate in tutto il Regno e soprattutto negli ambienti unionisti d’Irlanda del Nord. Peter Robinson, primo ministro nord-irlandese, ha sprezzantemente definito le lettere di garanzia dei «buoni uscita di prigione gratuiti» [7].
Il premier britannico David Cameron si è affrettato ad avviare un’inchiesta giudiziaria su quello che appare un vero e proprio patto segreto tra l’esecutivo Blair e il Sinn Féin, e il suo segretario di Stato per l’Irlanda del Nord ha parlato di «gravissimo fallimento nel modo in cui il progetto è stato gestito» [8].

2. Nel 2014, dunque, gli eventi legati ai Troubles sono riaffiorati prepotentemente in superficie. Ciò sembra anche dovuto, seppure indirettamente, a una certa difficoltà da parte della sfera pubblica britannica e nord-irlandese a trovare un approccio coerente per fare i conti col passato e con la memoria di quelle esperienze.
Certo, la sfida appare immane. Trent’anni di conflitto hanno prodotto una serie infinita di atrocità da una parte e dall’altra, e circa 3 mila 500 morti, per la maggior parte civili senza alcun legame con le formazioni paramilitari [9]. Inoltre, per ciascun episodio di violenza le varie parti in causa hanno sposato in genere versioni completamente contrastanti.
In questo contesto, i possibili approcci per gestire la memoria collettiva di ciò che è stato si articolano all’interno di due estremi. Da un lato, la via di un’amnistia estesa e alla luce del sole per gli episodi di violenza risalenti al conflitto, senza andare a scavare troppo in profondità per stabilire una volta per tutte la verità dei fatti. Dall’altro, la via giudiziaria, per affrontare senza reticenze e in tempi rapidi tutti gli episodi ancora oscuri, nell’intento di dare una parziale risposta alla sete di giustizia dei familiari delle vittime.
L’idea di un’amnistia generale per tutti i crimini commessi nel periodo dei Troubles non manca di sostenitori, come l’ex segretario di Stato all’Irlanda del Nord Peter Hain [10]. Nel complesso però, essa si è rivelata politicamente impercorribile. Nel 2005, una nuova legge sulle «offese in Irlanda del Nord», che costituiva di fatto un’amnistia per tutti gli atti connessi al conflitto su cui ancora non era stata fatta luce, ha dovuto essere rapidamente ritirata dopo aver suscitato un’ondata di proteste, in primo luogo da parte di organizzazioni di parenti delle vittime [11]. Nella presente legislatura, il governo Cameron si è rivelato anch’esso un duro oppositore a questo tipo di soluzioni, come dimostra l’atteggiamento assunto nella vicenda degli on-the-runs.
Una generale propensione da parte delle autorità a scegliere la strada della rivisitazione del passato sembrerebbe confermata dall’istituzione in seno alla polizia nord-irlandese, nel 2005, dello Historical Enquiries Team (Het): un’unità cui è stato attribuito l’immane incarico di riesaminare tutti i decessi legati ai Troubles nel periodo 1968-98, riaprendo i procedimenti giudiziari per i quali siano emersi nuovi elementi.
Tuttavia, la capacità di questa squadra speciale di investigare con imparzialità tutti gli abusi in questione, inclusi quelli commessi dalle forze di sicurezza, è stata messa in dubbio [12]; attualmente, non è affatto certo che la Het possa acquisire il grado di credibilità trasversale necessaria per permetterle di contribuire realmente all’elaborazione di una memoria condivisa.
Più in generale, gli sforzi giudiziari e istituzionali per chiarire le responsabilità di trent’anni di violenze appaiono ancora insufficienti agli occhi di molti, specialmente quando gli abusi in questione sono quelli commessi da esercito, polizia e movimenti unionisti. Sono decine le uccisioni, nella maggior parte dei casi ad opera delle forze di sicurezza o di paramilitari lealisti, per le quali vi sono ancora dei procedimenti aperti. Negli ambienti nazionalisti nord-irlandesi rimangono forti i malumori per quello che viene considerato un deliberato tentativo da parte delle autorità di rallentare i processi in tutti i modi. Secondo Mark Thompson, direttore di un’ong che fornisce supporto ai parenti delle vittime, la strategia è quella di «negare, negare, negare, poi rallentare, rallentare, rallentare» [13].
Un caso tipico è quello riguardante uno degli episodi più tristemente noti della guerra civile nord-irlandese, il Bloody Sunday [14]. Il 30 gennaio 1972, i paracadutisti del primo battaglione Parachute Regiment – un’unità d’élite nota per la sua durezza nei confronti della popolazione cattolica dell’Ulster e certo più adatta al combattimento puro che non a operazioni di peacekeeping e di mantenimento dell’ordine pubblico – aprirono il fuoco indiscriminatamente su una manifestazione a Derry in difesa dei diritti civili dei cattolici, uccidendo quattordici persone e ferendone altre dodici.
Una prima commissione d’inchiesta, oggi largamente ritenuta un mero strumento di copertura per i militari, attribuì gran parte della responsabilità ai dimostranti, affermando che molti di loro avevano sparato sulle forze di sicurezza. Solo nel 2010 una seconda indagine, condotta da Lord Saville e durata tredici anni, ha dato ragione una volta per tutte ai parenti delle vittime, stabilendo che i paracadutisti fecero fuoco gratuitamente e senza avvertimento su civili inermi che non costituivano alcuna minaccia. Cameron si è scusato apertamente a nome del governo e del paese, dichiarando che «ciò che avvenne nel Bloody Sunday fu ingiustificato e ingiustificabile. Fu sbagliato» [15].
In molti altri casi, però, le vittime o i loro parenti non hanno ancora trovato pace. Le voci di insoddisfazione riemergono periodicamente, spesso con una sorta di effetto a cascata. Così, ad esempio, il riconoscimento ufficiale delle responsabilità dei paracadutisti nel Bloody Sunday ha intensificato le pressioni per l’avvio di nuovi procedimenti giudiziari su altri abusi in cui lo stesso reparto era stato coinvolto, come l’uccisione di 11 persone nel quartiere cattolico di Ballymurphy, a Belfast, nel 1971 [16].
Le ferite del passato ancora aperte non mancano neppure dall’altro lato della barricata: si è già citato ad esempio il tema dei disappeared, i cui parenti spesso sono ancora in cerca di giustizia. In vari casi gli stessi corpi delle vittime non sono mai stati ritrovati [17].
In assenza di un’azione realmente convincente e decisa da parte delle autorità di Belfast e Londra, il processo di gestione della memoria si è sviluppato in seno alla società civile in maniera profondamente frammentata e settaria: ciascuna comunità si adopera perché sia fatta luce sui crimini di cui i propri membri sono stati vittime, ma appare spesso disinteressata o sospettosa nei confronti delle inchieste in senso opposto. Così, sul fronte nazionalista sono numerose le organizzazioni che si adoperano contro l’insabbiamento degli abusi da parte delle forze di sicurezza, mentre le loro equivalenti nate in seno alla popolazione protestante si concentrano su temi quali i disappeared o il rilascio anticipato di membri dell’Ira fatti prigionieri. In generale, le organizzazioni della società civile che affrontano il tema della memoria e del lutto da un punto di vista politicamente non allineato, che pure esistono, sono certamente minoritarie [18].

3. Le difficoltà nella rielaborazione della memoria condivisa sono in gran parte dovute alla profondità dei risentimenti prodotti da trent’anni di violenza. Ma secondo molti studiosi le ragioni vanno cercate anche nella natura del Good Friday Agreement [19], l’accordo che nel 1998 ha posto le basi per una sostanziale (seppure non totale ne costante) cessazione delle ostilità e per l’avvio di un lento e faticoso riavvicinamento fra i partiti nazionalisti e unionisti.
Per molti versi, il Gfa costituisce un vero e proprio capolavoro di equilibrismo politico. Da un lato afferma che l’Irlanda del Nord è parte del Regno Unito; dall’altra riconosce la legittimità degli obiettivi politici dei nazionalisti, prevedendo la possibilità futura di un cambiamento nello status costituzionale del paese in caso di un voto favorevole da parte della maggioranza della popolazione nord e sud-irlandese.
Ma lo sforzo di preservare la dignità di aspirazioni tanto distanti è inevitabilmente andato a discapito della creazione di un terreno comune. Non a caso, soprattutto subito dopo la firma, il Gfa è stato oggetto di interpretazioni estremamente divergenti da parte delle due parti in causa, o almeno di alcune delle forze politico-militari che le rappresentavano.
Così, per Gerry Adams del Sinn Féin il patto costituiva un primo passo verso l’indipendenza: «Questa è una fase della nostra lotta», dichiarò Adams quel 10 aprile 1998. «Quella lotta», spiegò, «deve continuare finché non raggiungerà il suo obiettivo finale» [20]. Dall’altro lato della barricata, David Trimble, leader dell’Ulster Unionist Party (Uup) e primo capo di governo del periodo post-Troubles, descrisse l’accordo in termini opposti: come un fondamentale rafforzamento dell’Unione.
In altre parole il Gfa è stato in buona parte un «accordarsi sull’essere in disaccordo» [21], per usare l’espressione di Feargal Cochrane. Almeno nelle fasi iniziali del processo di pace, esso è stato accettato e venduto dai negoziatori di ciascuna delle due parti come il frutto di un sostanziale prevalere delle proprie ragioni, non di una volontà di compromesso con i nemici di sempre.
Anche il modo in cui il Gfa ha definito la condivisione del potere politico da parte delle due comunità non sembra aver favorito una reale convergenza [22]. Seguendo princìpi rigidamente consociativi, l’accordo ha previsto una suddivisione delle cariche (in particolare nell’esecutivo e nell’assemblea) rigidamente basata sull’appartenenza etnico-religiosa. Se i sostenitori di tale approccio hanno sottolineato come sia stato un primo e necessario passo per tenere sotto controllo le tensioni nel breve termine, non mancano i critici secondo cui il consociativismo rischia di congelare permanentemente le identità settarie. Il sistema politico partorito dal Gfa, in cui ai membri dell’assemblea, al fine del bilanciamento nelle rappresentanze, viene chiesto di classificarsi come «nazionalisti», «unionisti» o «altro», è stato accusato di aggravare la polarizzazione in seno alla società civile [23].
Il Good Friday Agreement ha avuto dunque un certo peso nel perpetuare nell’odierna Irlanda del Nord le vecchie divisioni settarie, che a loro volta alimentano memorie storiche contrastanti e mutuamente esclusive. Ma la sua influenza sul modo in cui gli irlandesi guardano oggi al proprio passato si deve anche a un’altra ragione, ben più diretta: raccordo evita il tema quasi completamente.
Nella fase di preparazione del testo, la sfera pubblica nord-irlandese era già permeata da una pluralità di dibattiti sulle questioni irrisolte del passato, quali i disappeared, la creazione di una nuova commissione d’inchiesta sul Bloody Sunday, il rilascio dei prigionieri e gli episodi di collusione tra le forze di sicurezza e i paramilitari lealisti. Tuttavia, il Gfa non ha dedicato nulla più di qualche formula generica al problema del superamento dei vecchi rancori. Il testo afferma la necessità di «riconoscere e occuparsi della sofferenza delle vittime di violenze», di cui va difeso «il diritto a ricordare nel quadro di una più ampia promozione di una cultura della tolleranza a ogni livello della società» [24]. Ma al di là di queste linee guida, il documento non specifica in che modo tali obiettivi vadano perseguiti.
Per Patricia Lundy e Mark McGovern, si trattò di una scelta ben consapevole: «L’ambiguità costruttiva che definì il processo di pace insistette sulla necessità di evitare di toccare argomenti potenzialmente divisivi, quali la definizione di un meccanismo per fare i conti col passato» [25].
Tale logica appare perfettamente comprensibile nel contesto di negoziati difficilissimi che non riuscirono mai a coinvolgere allo stesso tempo tutti gli attori che erano stati protagonisti della scena politica nord-irlandese dei decenni precedenti. Il radicale Democratic Unionist Party (Dup), in particolare, abbandonò i colloqui a seguito dell’ingresso del Sinn Féin e non diede il suo sostegno all’accordo finale. Ma rimane il fatto che un problema profondamente sentito a livello sociale venne sostanzialmente ignorato e lasciato libero di incancrenirsi.

4. La tragedia di trent’anni di conflitto è quindi ancora ben lungi dall’essere elaborata. Questa mancata riappacificazione delle due comunità con la propria memoria si intreccia anche con il permanere, e in alcuni casi col riemergere, del settarismo.
Le attività terroristiche non sono cessate del tutto. Ad oggi rimangono attive svariate organizzazioni che rifiutano i termini del Good Friday Agreement, considerato una svendita della causa nazionalista. Gruppi paramilitari come il nazionalista Real Ira o gli unionisti Uff (Ulster Freedom Fighters) e Uvf (Ulster Volunteer Force) esercitano ancora un forte controllo su intere aree di Belfast e Derry [26].
Gli ultimi mesi e anni non sono stati caratterizzati solo dalla ricomparsa di fantasmi tormentati, ma anche da nuovi episodi di violenza che ricordano in maniera preoccupante la pagina nera dei Troubles. Tra il dicembre 2012 e il gennaio successivo, ad esempio, l’intera Irlanda del Nord è stata attraversata da un’ondata di proteste unioniste spesso violente, in risposta alla decisione del Consiglio municipale di Belfast di ridurre il numero di giorni annuali in cui esporre la bandiera del Regno Unito fuori dal municipio della città. In alcuni casi i lealisti, inferociti per quello che consideravano un attacco alla Britishness dell’Irlanda del Nord, non si sono scontrati solo con la polizia ma hanno anche ingaggiato vere e proprie battaglie urbane con dimostranti nazionalisti [27].
Anche le tradizionali parate annuali di organizzazioni protestanti e unioniste come l’Orange Order, da sempre scintilla di feroci violenze, continuano a causare forti tensioni con la comunità cattolica [28]. La parata del 12 luglio 2014 a Belfast ad esempio, pur considerata pacifica se paragonata a quella dell’anno precedente, ha comunque visto un accoltellamento e otto arresti durante gli scontri scoppiati la notte della vigilia [29].
In quegli stessi giorni il ministro della Giustizia nord-irlandese David Ford ha messo in guardia contro il rischio di una nuova ondata di radicalizzazione in seno alle giovani generazioni lealiste, annunciando un’impennata di arresti legati proprio a controversie quali bandiere e parate. Il trend è stato confermato, in questo caso con toni entusiastici, anche da Ian McLaughlin, studioso di un centro di ricerca legato al gruppo paramilitare unionista Ulster Defence Association (Uda): «Riteniamo che le recenti dispute sulle bandiere e sulle parate abbiano risvegliato una nuova leva di giovani lealisti che vogliono conoscere la propria storia. (...) Sono decisi nell’apprendimento del proprio passato» [30].
Come si vede, la storia o la sua ricostruzione a posteriori continua a giocare un ruolo chiave nell’attualità nord-irlandese.

5. Con questo non si intende tracciare un quadro eccessivamente cupo della situazione dell’Ulster. I progressi compiuti dalla stagione dei Troubles a oggi sono evidenti. Il periodo che si è aperto con la firma del Good Friday Agreement ha visto una netta riduzione tanto di sparatorie e attentati quanto del numero di morti.
Ma allo stesso tempo, la media di circa 260 incidenti di questo tipo verificatisi ogni anno tra il 1998 e il 2011 [31] indica che la discontinuità con il passato è meno netta di quanto si sarebbe tentati di credere; specie considerando che i Troubles sono stati per decenni un conflitto a bassa intensità, il cui numero di morti e feriti non è probabilmente mai stato l’indicatore ideale per misurarne l’impatto sulla società.
Per quanto riguarda le divisioni e le ostilità settarie, alcuni segnali sono certamente incoraggianti. Nemici storici siedono ormai fianco a fianco nelle stesse sedi istituzionali e nello stesso esecutivo. I due partiti che hanno tradizionalmente costituito l’espressione radicale del nazionalismo e dell’unionismo, Sinn Féin e Dup, hanno intrapreso un faticoso percorso di riavvicinamento e di transizione a toni più moderati. A livello sociale, alcuni dati sembrano suggerire un lieve disgelo nel grado di attaccamento alle identità settarie. Le percentuali di quanti nelle comunità cattolica e protestante si identificano rispettivamente come nazionalisti e unionisti si è ridotta di una decina di punti nei dodici anni successivi al Gfa; un sondaggio del 2010 ha rilevato che due terzi del pubblico vedevano un miglioramento nelle relazioni tra cattolici e protestanti nei cinque anni precedenti [32].
Ciononostante, il settarismo rimane forte, come i recenti episodi di violenza già citati stanno a indicare. Le due comunità che compongono la società nord-irlandese hanno perlopiù smesso di farsi la guerra ma non si sono fuse tra loro. Si assiste semmai a una sorta di «apartheid benevolo», una «coesistenza sospettosa» [33].
In tale quadro, appare evidente che le questioni irrisolte del passato si intrecciano profondamente con i malesseri del presente. Ma se è lecito sottolineare le mancanze del processo di pace nell’ambito dell’elaborazione di una memoria collettiva condivisa, non bisogna dimenticare che l’adozione di un approccio coraggioso nei confronti delle tragedie dei Troubles può ancora dare un sostanziale contributo all’alleviamento delle tensioni attuali.
Si pensi al grande valore catartico dell’inchiesta Saville sul Bloody Sunday e delle storiche scuse presentate da Cameron. Tale processo ha permesso alla comunità cattolica nord-irlandese di rimarginare una volta per tutte una ferita che bruciava da quarant’anni e di chiudere un grosso conto in sospeso con lo Stato britannico [34].
Malgrado la comprensibile tentazione di non voler «svegliare il can che dorme», tornando a occuparsi di eventi al tempo spesso lontani e tremendamente divisivi, in Irlanda del Nord (e forse nell’intero Regno Unito) un più deciso sforzo di rielaborazione di una memoria condivisa, anche e soprattutto per via processuale, rimane più che mai necessario. Non solo per lubrificare un percorso di riconciliazione sociale ancora titubante, ma anche per costruire consenso sull’equità e sulla legittimità delle istituzioni. I fantasmi del passato possono rimanere quiescenti anche per decenni, ma non trovano pace finché non li si guarda negli occhi. Mentre «troppo spesso tentativi falliti di amnesia hanno costituito i semi di successivi conflitti» [35].



Note:
1. M. PUNCH, State Violence, Collusion and the Troubles, London 2012, Pluto Press, p. 206.
2. «Jean McConville’s Daughter: “If I Give Up Fishting, They’ve Won”».., The Observer, 6/7/2014.
3. Ibidem.
4. «Gerry Adams Freed without Charge after Questioning over McConville Case», The Guardian, 4/5/2014.
5. Ibidem.
6. «IRA on-the-Runs «Cannot Rely on Letters to Escape Prosecution”», The Guardian, 3/9/2014.
7. «What Do Controversial on The Run Letters Really Say?», Bbc News, 27/2/2014.
8. «Ira on-the-Runs...», cit.
9. J. TONGE, Comparative Peace Processes, Cambridge 2014, Polity Press, cap. 6.
10. «“Delay, Delay, Delay”: Northern Ireland Troubles Inquests still Outstanding», The Guardian, 13/4/2014.
11. P. LUNDY, M. McGOVERN, «Telling Stories, Facing Truths: Memory, Justice and Post-Conflict Transition», in C. COULTER, M. MURRAY (a cura di), Northern Ireland after thE Troubles: A Society in Transition, Manchester 2008, Manchester University Press.
12. Unsolved Troubles Murder Reports to Be Withheld until Future of Historical Enquiries Team Sorted», Belfast Telegraph, 15/1/2014.
13. «”Delay, Delay, Delay”», cit.
14. Cfr. A. SANDERS, I.S. WOOD, Times of Troubles: Britain’s War in Northern Ireland, Edinburgh 2012, Edinburgh University Press e F. COCHRANE, Northern Ireland: The Reluctant Peace, Yale University Press 2013, New Haven.
15. «Bloody Sunday Report: David Cameron Apologises for “Unjustifiable” Shootings», The Guardian, 15/6/2010.
16. «Campaigners Angry at Rejection of Public Inquiry into Ballymurphy Deaths», The Guardian, 20/6/2012.
17. «Timeline: The Disappeared», Bbc News, 27/8/2014.
18. P. LUNDY, M. MCGOVERN, op. cit.
19. Cfr. C. COULTER, M. MURRAY, Introduction, in C. COULTER, M. MURRAY (a cura di), op. cit., e F. COCHRANE, Op. Cit.
20. F. COCHRANE, op. cit., cap. 7.
21. Ibidem.
22. J. TONGE, «From Conflict to Communal Politics: The Politics of Peace», in C. COULTER, M. MURRAY (a cura di), op. cit..
23. Ibidem.
24. P. LUNDY, M. MCGOVERN, op. cit.
25. Ibidem.
26. F. COCHRANE, op. cit., cap. 9.
27. «Union Flag Protests: Twenty-nine Officers Hurt in Belfast», Bbc News, 12/1/2013, www.bbc.com/news/uk-northem-ireland-20998867
28. «Man Stabbed in Belfast Ahead of Orange Order March», International Business Times, 12/7/2014, www.ibtimes.co.uk/man-stabbed-belfast-clashes-ahead-orange-order-march-1456404
29. «Grange Order March in Belfast Begins Peacefully», The Guardian, 12/7/2014, e «Orange Order: Thousands Take Part in Annual Twelfth Parades», BBC News, 12/7/2014.
30. «Hundreds of Loyalists Convicted of Rioting in Belfast, Says Minister», The Guardian, 11/7/2014.
31. Dati riferiti al periodo 1998-2011, cfr. J. TONGE, Comparative Peace Processes, cit., cap. 6.
32. J. TONGE, Comparative Peace Processes, cit., cap. 6.
33. Ibidem.
34. F. COCHRANE, op. cit., cap. 10.
35. P. LUNDY, M. MCGOVERN, op. cit.