Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 22/10/2014, 22 ottobre 2014
DAGLI STATI GENERALI DELLA LINGUA: IL DIGITALE PUÒ SALVARE L’ITALIANO, ABBIAMO UN PATRIMONIO MAL CUSTODITO, RISCHIAMO DI PERDERE UN TESORO LIBRARIO CHE NON HA PARI AL MONDO PER PARALISI AMMINISTRATIVA
Non è una notizia il fatto che la nostra lingua e la nostra cultura sono molto amate all’estero, e non è una notizia il fatto che l’Italia finora non se n’è accorta. Ora la prima edizione degli Stati Generali della lingua italiana nel mondo, che si è aperta ieri a Palazzo Vecchio di Firenze e si chiuderà oggi, sembra un ottimo segno di consapevolezza.
La quinta (forse la quarta) lingua più studiata al mondo lo meritava. E così il Ministero degli Esteri, in coincidenza con la Settimana della lingua italiana nel mondo, ha deciso di convocare le parti interessate: università, scuole, studiosi, gestori di corsi per le comunità italiane all’estero, ambasciate, lettorati, istituti di cultura eccetera. Con l’intento di fare delle proposte operative che servano a intensificare la presenza della nostra lingua, ben sapendo che, come ha fatto notare il linguista Mir-ko Tavoni, professore a Pisa e presidente del Consorzio interuniversitario ICoN (Italian Culture on the Net), difendere la diffusione della lingua equivale ad aiutare l’economia italiana: «Nel mondo la competizione nel sostenere la lingua nazionale è una battaglia politica ed economica che coinvolge le relazioni internazionali e i rapporti commerciali, e che ha dunque notevoli conseguenze nel Pil e nei posti di lavoro. Per esempio, non rendere disponibili in italiano le informazioni normative dell’Unione europea si traduce in un danno economico ingente e in un vantaggio enorme per i madrelingua inglese».
Fior di economisti della lingua l’hanno dimostrato: le oligarchie linguistiche (nella Ue, la triade inglese-francese-tedesco) producono discriminazioni anche economiche. Dunque la difesa dell’italiano è tutt’altro che una nobile sfida idealistica, relegata alle nostalgie di una tradizione culturale aurea. Per questo ha ragione lo stesso Tavoni a stupirsi nel constatare una macroscopica lacuna in questi Stati Generali: «Giusto che se ne sia fatta carico la Farnesina, giusto che gli Esteri agiscano in collaborazione con il Miur, ma l’assenza del Ministero dello Sviluppo economico rischia di rendere tutto molto meno efficace: il problema è che la politica di promozione dell’italiano non è una vera politica del governo. Per tradurre in realtà i buoni propositi il sistema Italia dovrebbe essere un vero sistema. E sarebbe necessario che gli uomini d’azienda, nel parlare con enfasi del made in Italy, capiscano finalmente di essere debitori della cultura italiana, del Rinascimento, di Leonardo eccetera».
È ciò che sostiene con simpatica forza espressiva (ed emotiva) anche un osservatore esterno, come Klaus Kempf, direttore della Bayerische Staats-bibliothek di Monaco, che vanta il fondo librario italiano più cospicuo all’estero: «Quel che mi meraviglia è che la cultura, l’arte e la lingua italiane, che per noi sono l’immagine stessa dell’Italia, siano sottostimate dalla politica, considerate un patrimonio indipendente dall’economia: la fase di transito verso l’era postindustriale dovrebbe invece valorizzare tutto questo patrimonio straordinario, magari anche attraverso i muovi strumenti digitali». Nel suo intervento, Kempf — che come bibliotecario si definisce protagonista del nuovo — ha fatto un appello ai politici italiani perché realizzino un vero sistema Italia («sistema»). Chiede di concentrarsi sulle strutture culturali e formative, sui musei, sugli archivi, sulle biblioteche. Quando parla delle biblioteche italiane, Kempf si mette le mani nei capelli: «Non è possibile tenere nascosti o lasciar andare alle ortiche gli immensi tesori librari che avete». Fa qualche esempio, ma preferisce che non venga citato. «La grande creatività individuale italiana trova ostacoli nella mancanza di sistema, nella paralisi amministrativa». Si sorprende, Kempf, quando viene a sapere i numeri illustrati da Andrea Meloni, direttore generale per la promozione del sistema paese («sistema», ancora una volta), secondo cui la Germania è in cima alla classifica degli iscritti a corsi di italiano. E a proposito di numeri, non sorprende invece il milione e mezzo complessivo di studenti di lingua italiana all’estero: «Ma si può fare molto di più», dice lo stesso Meloni.
E proprio passando al «fare», la ministra Stefania Giannini, che da linguista mostra familiarità con l’argomento, ha annunciato iniziative che farebbero inorridire Salvini: «Non possiamo trascurare che la lingua deve essere uno strumento di integrazione, per questo istituiremo una nuova classe di concorso per formare docenti che insegnino l’italiano come seconda lingua ai bambini figli di immigrati». Un riconoscimento istituzionale e un’abilitazione ad hoc da inserire nella riforma. Sempre restando alle proposte operative, il sindaco di Firenze Dario Nardella ha avanzato tre idee: lanciare un programma di Erasmus delle arti in Italia; promuovere rassegne di cinema italiano negli Istituti di cultura; favorire la circolazione di musica italiana colta e pop nel mondo, essendo un veicolo linguistico fondamentale. Pane per i denti di Renzo Arbore, che dall’alto della sua ventennale Orchestra Italiana, non si è lasciato sfuggire l’occasione: «Ho imparato l’inglese ascoltando Frank Sinatra e il francese con Trenet e Aznavour: facciamo ascoltare di più Modugno, Battisti, Gaber, De Andrè, Dalla, De Gregori, Conte, i risultati saranno incredibili…».
Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 22/10/2014